Ludovico
Geymonat (1908-1991) ha rappresentato nel nostro paese uno dei punti di
riferimento per lo studio della filosofia della scienza. In queste pagine mette
in evidenza come la molla che ha spinto Descartes a “inventare” la geometria
analitica è la stessa che lo ha spinto alla ricerca della mathesis
universalis e alla fondazione di una nuova metafisica: superare la
frammentazione del sapere scientifico degli antichi e al tempo stesso ostacolare
una analoga tendenza alla perdita di unità presente nella filosofia moderna. Il
confronto rispetto alla geometria analitica fra l'atteggiamento di Descartes
(tendente al massimo dell'astrazione) e quello del matematico Pierre de Fermat
(preoccupato soprattutto dei risvolti pratici) conferma l'aspirazione di
Descartes a trovare i fondamenti di un nuovo sapere “universale”. Questo
obiettivo generale, però, non impedisce a Descartes di dare un contributo
significativo anche nell'ambito piú strettamente scientifico; e Geymonat
illustra chiaramente i nuovi orizzonti aperti dalla sua ricerca in campo
matematico.
L.
Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. II, sez. IV, capp. 2, VIII e 9, III
Cartesio
eleva alcune serie critiche alla matematica greca. Queste possono cosí
riassumersi: le indagini geometriche erano svolte dagli antichi con
procedimenti diversi, facenti uso di artifici variabili da un caso all'altro,
non di rado oscuri e ambigui. Se siamo in grado di seguirne passo passo le
argomentazioni controllandone l'indubbia coerenza, non riusciamo però a
renderci conto del motivo per cui in un caso si facesse ricorso a un tipo di
dimostrazione, in un altro caso ad un altro. Restiamo quindi disarmati di
fronte a un qualsiasi problema nuovo, dovendo procedere per tentativi, senza
alcuna guida sicura.
Per
eliminare questi inconvenienti, Cartesio introduce l'uso sistematico degli assi
coordinati (ancora oggi solitamente denominati “assi cartesiani”) che
permettono di rappresentare i punti con coppie o terne di numeri e le relazioni
geometriche fra punti con relazioni algebriche. Cosí i problemi geometrici
possono venire tradotti in problemi algebrici e risolti con le regole in certo
senso automatiche dell'algebra. Questa traduzione presenta due notevoli
vantaggi: per un lato, di rendere pressoché uniforme la trattazione di tutte le
questioni geometriche; per l'altro, di far scomparire d'un tratto le differenze
inessenziali tra figura e figura permettendo cosí di raggiungere risultati di
amplissima generalità.
La
geometria diviene, in tal modo, una scienza essenzialmente analitica nella
quale ogni problema ben formulato diventa, se di grado non superiore al quarto,
automaticamente risolubile. Cartesio è tanto sicuro dell'efficacia del proprio metodo
da scrivere che non si sofferma a “spiegare minutamente” tutte le questioni,
solo per lasciare ai posteri la soddisfazione di “apprenderle da se stessi”.
“Ed io spero che i nostri nipoti mi saranno grati, non solo delle cose che io
ho spiegato, ma anche di quelle che ho volontariamente omesso, allo scopo di
lasciar loro il piacere di inventarle”. [...]
Fra i
risultati piú importanti ottenuti da Cartesio con i procedimenti testé
accennati, merita una particolare menzione la determinazione generale della
normale a una qualsiasi curva algebrica piana in un suo punto qualunque e la
conseguente determinazione della tangente. Questa determinazione risolveva uno
dei problemi geometrici piú discussi nel Seicento; essa si prestava inoltre a
molte applicazioni, nel cui studio Cartesio diede ripetute prove di una
perfetta padronanza delle regole algebriche (contribuendo anzi a migliorarle in
parecchi punti di notevole interesse). Egli ebbe pure il merito di comprendere
che il procedimento seguito nella determinazione della normale a una curva
piana poteva essere esteso a una curva gobba; commise tuttavia l'errore di non
avvedersi che una curva gobba ammette, in un punto generico, non una ma
infinite normali. [...]
Abbiamo
visto il significato “filosofico” generale attribuito da Cartesio alla
geometria analitica, la quale, traducendo in termini algebrici le nozioni di
punto, retta, piano e le relazioni intercorrenti fra essi, risulterebbe in
grado di rendere chiara e uniforme la trattazione di tutti i problemi geometrici
e rappresenterebbe quindi una tappa del tutto nuova rispetto alla matematica
greca (che non aveva saputo indicare una via davvero evidente per
l'impostazione di tali problemi, limitandosi a risolverli caso per caso con
ingegnosi accorgimenti, senza dubbio efficaci per le singole questioni, ma di
portata intrinsecamente circoscritta).
Pressoché
antitetica è l'interpretazione della geometria analitica avanzata da Pierre de
Fermat [1601-1665]; egli vi scorge, sí, un metodo efficacissimo per dare forma
algebrica a molti problemi geometrici e per porci quindi in grado di utilizzare
- nella loro trattazione - gli strumenti recentemente acquisiti dall'algebra,
ma non è disposto a riconoscerle alcuna funzione di autentica rottura. Osserva,
infatti, e con ragione, che già gli antichi avevano compiuto molti passi verso
la nuova disciplina; anzi, a saperle leggere, si ritrovano già nelle loro opere
(in particolare nelle Sezioni coniche di Apollonio) quasi tutti i
princípi e gli accorgimenti usati ora in modo sistematico dalla geometria
analitica. Né la validità di questi princípi e accorgimenti può - secondo
Fermat - venire stabilita a priori; in verità essa risulta provata
soltanto dagli effettivi successi conseguiti in relazione a problemi
particolari, che i vecchi metodi non erano riusciti a risolvere.
Questi
temi di fondo costituiscono il punto di vero dissenso fra i due autori della
grande invenzione; anche esso appare spesso mascherato da altri dibattiti,
concernenti soprattutto la priorità dell'invenzione stessa. Oggi è fuori dubbio
che Cartesio e Fermat vi pervennero indipendentemente uno dall'altro e anzi per
vie del tutto diverse; come pure è fuori dubbio che l'interpretazione -
concreta, operativa - datane da Fermat risulta assai piú valida di quella - filosofica,
per non dire metafisica - sostenuta da Cartesio. Eppure non si può negare che
nel Seicento fu proprio quest'ultima ad ottenere il maggiore successo: riuscí
infatti a suscitare intorno al nuovo metodo l'interesse generale degli
studiosi, ponendolo in grado di influire sullo sviluppo generale di tutte le
piú importanti teorie matematiche dell'epoca, ivi inclusa l'analisi
infinitesimale.
Prescindendo
dai numerosi risultati particolari che l'applicazione sistematica della
geometria analitica consentí di raggiungere agli studiosi del Seicento, la
svolta piú importante che essa impresse al pensiero matematico concerne senza
dubbio la nozione di curva. I Greci avevano avuto al riguardo delle idee non
molto precise: ed infatti, una volta incluse in tale nozione le coniche, erano
però rimasti assai perplessi circa la possibilità di considerare come
autentiche curve geometriche anche quelle definibili soltanto per via
meccanica, come la quadratrice di Ippia e altre analoghe; proprio questa
perplessità aveva loro impedito di ritenere soddisfacenti le risoluzioni dei
tre famosi problemi - duplicazione del cubo, trisezione dell'angolo, quadratura
del cerchio - raggiunte mediante curve non tracciabili con riga e compasso. Il
punto di vista instaurato dalla geometria analitica riesce di un tratto a
portare sul fondamentale argomento una luce del tutto nuova: ogni equazione
algebrica in due variabili, stabilendo una ben determinata relazione fra le
ascisse e le ordinate di un piano, individua su di esso una “curva”, suggerendo
cosí per questo termine una nozione che potrà poi venire generalizzata al caso
in cui l'anzidetta relazione non risulti definibile per via algebrica. Né
basta; il metodo analitico suggerisce anche - per la nozione ampliata di curva
- alcune classificazioni fondamentali: innanzitutto la distinzione fra curve
algebriche e non algebriche, e poi, nell'ambito delle curve algebriche, la loro
classificazione in ordini diversi, secondo il grado dell'equazione cui si deve
far ricorso per definirle. Una volta stabilito che le curve di secondo ordine
sono le coniche, sorgerà pertanto il problema di studiare sistematicamente
quelle di ordine superiore; risulterà in tal modo aperta la via alla cosiddetta
“geometria algebrica”. Spetterà a Newton il merito del primo studio sistematico
intorno alla generazione delle curve del terzo ordine (cubiche) e alla loro
ulteriore suddivisione in vari tipi.
L'influenza poco sopra accennata della geometria analitica
sull'analisi infinitesimale è per l'appunto connessa a questa generalizzazione
della nozione di curva, e ai nuovi problemi che tale generalizzazione fa
sorgere.
Questo per esempio: come potrà venire definito, per una
curva nel senso generalizzato del termine, il concetto di tangente? E come si
potrà, fissato un punto generico di una curva, trovare l'equazione di una retta
tangente (alla curva considerata) passante per quel punto?
Gran parte dello sviluppo della matematica durante il
Seicento si svolse lungo la seguente via: definita, in qualche modo
intuitivamente accettabile, una curva (per esempio definita la cicloide o roulette
come la curva descritta da un punto bene determinato di un cerchio allorché
questo rotoli su di una retta prefissata), trovare innanzitutto l'equazione
della curva e poi, a partire da questa equazione, studiarne le proprietà
geometriche fondamentali. La roulette di Cartesio
Era una nuova messe di problemi, che si aprivano di un
tratto alla mente umana: la geometria analitica ebbe il merito di farli
scoprire, ma per avviarne in modo sistematico la trattazione era necessaria
un'altra disciplina: l'analisi infinitesimale.
(L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e
scientifico, Garzanti, Milano, 1970, vol. II, pagg. 291-292 e 464-466)