Nella sua
ricerca di un fondamento epistemico al conoscere, Gioberti arriva alla scoperta
del “primo filosofico”, che è l’Ente reale. Esso non è il risultato di un
giudizio soggettivo, ma di una realtà oggettiva. L’uomo non è libero di pensare
o non pensare l’Ente; ciò equivarrebbe alla sua possibilità di pensare il
nulla.
V. Gioberti, Introduzione allo studio della
filosofia, tomo II, cap. IV
La costruzione della formola ideale si connette colla ricerca di ciò che io chiamo Primo filosofico. Coloro che per lo addietro attesero alla speculazione, si travagliarono intorno a due inchieste, che in sostanza ad una sola si riducono, cercando alcuni di essi la prima idea, ed altri la prima cosa. La prima idea e la prima cosa sono quelle, da cui tutte le altre idee nell’ordine dello scibile, e tutte le altre cose nell’ordine del reale, in qualche guisa dipendono; e dico in qualche guisa, perché intorno alla special ragione di questa dipendenza i filosofi si partono in molte sette. Io chiamo Primo psicologico la prima idea, e Primo ontologico la prima cosa; ma siccome la prima idea e la prima cosa, al parer mio, s’immedesimano fra loro, e perciò i due Primi ne fanno un solo, io dò a questo principio assoluto il nome di Primo filosofico, e lo considero come il principio e la base unica di tutto il reale e di tutto lo scibile.
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Il Primo filosofico è adunque l’Ente reale, che come idea madre, e cagion principe di tutte le cose, riunisce le proprietà degli altri due Primi. In questa locuzione composta la prima voce accenna particolarmente alla relazione psicologica e la seconda all’ontologica, benché i due concetti si compenetrino insieme, e si unizzino perfettamente. La quale si potrebbe esprimere col solo vocabolo di Ente, giacché l’Ente senza piú, non è l’ente possibile, ma bensí il reale e assoluto. E noi la piglieremo spesso in questo senso, contentandoci di aggiungervi l’epiteto di reale, ogni qual volta potrebbe nascere qualche equivocazione.
L’idea dell’Ente, come l’abbiam dichiarata, contiene un giudizio. Egli è impossibile che lo spirito abbia l’intuito primitivo dell’Ente, senza conoscere che l’Ente è; giacché nel caso contrario, l’essere sarebbe il niente, e l’Ente reale non sarebbe reale; il che ripugna. Né la realtà dell’Ente si affaccia allo spirito, come una cosa contingente, relativa, che può non essere; ma sí bene, come necessaria, assoluta e tale, che il contrario non è pensabile, non che fattibile. Infatti l’uomo non può pensare il nulla: e questa impotenza non è meramente subbiettiva, e derivante dalla contraddizione, che v’ha a pensare senza alcun termine intellettuale, ma eziandio obbiettiva; imperocché lo spirito conosce che il nulla è non pure inescogitabile, ma impossibile in sé stesso. Laonde il detto giudizio si può significare dicendo: l’Ente è necessariamente, purché si noti che il concetto espresso dall’ultimo vocabolo non fa altro che dichiarare una proprietà inerente all’Ente stesso, come Ente. Che se spesso è opportuno d’indicar questa nota con un vocabolo distinto, qual si è quello di ente necessario, ciò accade, come vedremo ben tosto, perché la prima di queste voci è abusata nel comune linguaggio, e può riuscire equivoca, quando si adopera separatamente.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, l97l, vol. XX, pagg. 247
e 252-253