Gioberti, Sul progresso

Per Gioberti quiete e moto, involuzione ed evoluzione sono due principi che devono coesistere ed armonizzare fra di loro. Ma le forze della conservazione non devono bloccare il movimento della storia, non devono divenire reazionarie. La lettura si conclude con un duro giudizio sui gesuiti.

 

V. Gioberti, Protologia, vol. II, 4, IV

 

La quiete e l’involuzione è il principio conservativo, come il moto e l’evoluzione è il principio progressivo. I due principii debbono unirsi per la perfezione del mondo. La stasi sola è morte, perché la vita è moto; il moto solo è anche morte, perché il moto, se non è regolato, è dissoluzione, e il passo è precipizio. La necessità della regola, della misura del moto, nasce dalle condizioni del mondo, come soggetto al cronotopo. Senza la misura il moto precipiterebbe talmente che il tempo sarebbe inutile, e tutto si farebbe in istanti. Ora le forze della natura hanno d’uopo del benefizio del tempo, come finite, perché un moto istantaneo sarebbe infinito e eguale alla quiete. La quiete in tal caso nell’essere finito pareggerebbe la morte. Le forze del mondo hanno d’uopo del discreto, e il discreto vuol ordine e misura, altrimenti lascia essere discreto, e diventa continuo, o per dir meglio essendo finito diventerebbe nulla. Che cos’è infatti il continuo se non un discreto infinito concentrato insieme? La forza rallentatrice è dunque necessaria alla società come alla natura. Nella natura è inerzia: nella società oggi dicesi conservazione. Ma non dee eccedere e impedire il moto. Or qual è la regola? Che la quiete non divenga forza retrograda. I retrogradi sono tanto funesti, quanto i conservatori utili. Questi regolano il progresso e quelli lo spengono. I Gesuiti sono la fazione piú retrograda del nostro tempo.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, l97l, vol. XX, pag. 305