L’acceso
dibattito sugli universali fra nominalisti, concettualisti e realisti viene
brillantemente riassunto in queste pagine di Giovanni di Salisbury.
Metalogicon, II, 17
1 Tutti trattano della natura degli
universali e si sforzano di risolvere una questione difficilissima e che esige
profonda ricerca, contro le intenzioni del suo autore. Uno dunque li fa
consistere nel suono delle parole [in vocibus], sebbene questa opinione
con il suo autore Roscellino sia ormai quasi del tutto tramontata. Un altro
considera le parole con significato [sermones] e interpreta in questo
senso tutto ciò che trova scritto sugli universali, dovunque sia: di questa
opinione fu il peripatetico di Palais, il nostro Abelardo che lasciò molti
seguaci e attestatori di questa dottrina, e ne ha ancora alcuni. Sono miei
amici, sebbene talora storcano talmente il senso del testo di cui si
impadroniscono da far piangere anche l’uomo di animo piú duro. Dicono che è mostruoso
predicare una cosa di una cosa, sebbene Aristotele sia autore di questa
mostruosità e affermi spessissimo che una cosa si predica di una cosa: il che è
manifesto, se non si vuol nasconderlo a chiunque lo conosce.
2 Un altro disserta sui concetti [in intellectibus],
e dice che generi e specie sono soltanto concetti. Costoro prendono occasione
da Cicerone e Boezio, i quali dichiarano Aristotele autore dell’affermazione
che generi e specie vanno ritenuti e detti nozioni. Dicono poi che la nozione è
la conoscenza non ancora esplicita [in un giudizio] che sorge dall’apprensione
della forma di una cosa. E altrove dice Boezio: “la nozione è una intellezione
e una semplice concezione dello spirito”. E tutto quello che trova scritto lo
interpreta cosí che tutti gli universali siano ridotti a intellezione o
nozione.
3 Molte poi sono e diverse le opinioni di
quelli che stanno attaccati alle res. Questi, poiché tutto ciò che è, è
numericamente uno, conclude che la realtà universale o è numericamente una, o
non è affatto. Ma poiché è impossibile che non siano nulla i predicati
sostanziali, mentre esistono i soggetti di cui sono attributi sostanziali,
concludono ancora che gli universali sono uniti ai singolari nell’essenza. E
allora distinguono gli status, seguendo Gualtiero di Mortagne, e dicono
che Platone in quanto Platone è individuo, in quanto uomo è specie, in quanto
animale è genere subalterno, in quanto sostanza è genere generalissimo. Questa
opinione ebbe alcuni assertori, ma ormai nessuno la professa piú.
4 Un altro ammette le idee, emulando Platone
e imitando Bernardo di Chartres, e dice che genere e specie non sono altro che
idee. L’idea, poi, come la definisce Seneca, è il modello eterno delle cose che
la natura produce. E poiché gli universali non sono soggetti alla corruzione né
si alterano per movimento, e invece mutano i singolari e quasi ogni momento
vengon meno, mentre altri prendono il loro posto, gli universali si dicono
propriamente e veramente essere. Le cose singole infatti sembrano indegne del verbo
essere in senso sostantivo, perché non stanno mai ferme e sfuggono né ci
danno il tempo di nominarle; tanto, infatti, variano nella qualità, nel tempo,
nel luogo e nelle molteplici loro proprietà, che tutto il loro essere appare
piú come mutevole transito che come uno stabile stato. Ora, afferma Boezio,
diciamo che sono le cose che né crescono per aumento né diminuiscono per
contrazione, ma si mantengono sempre salde per forza della loro natura. E
queste sono le quantità, le qualità, le relazioni, i luoghi, i tempi, i
rapporti e tutto ciò che in certo modo si trova riunito nei corpi, e sembrano
mutare perché sono unite ai corpi, ma restano invece immutabili nella loro
natura. Cosí, anche le specie delle cose restano identiche, mentre gli
individui passano, come resta il fiume mentre fluiscono le onde: si dice
infatti il medesimo fiume. Da ciò deriva quella frase riportata da Seneca, ma
non sua: scendiamo e non scendiamo due volte nel medesimo fiume. Ora queste
idee, ossia forme esemplari, sono i modelli eterni di tutte le cose, e non
patiscono né diminuzione né aumento, essendo stabili e perpetue; sí che se
anche tutto il mondo perisse, non verrebbero meno. Il numero di tutte le cose è
anch’esso un’idea, e, come sembra concludere sant’ Agostino nel De libero
arbitrio, poiché le idee sono sempre, anche se le cose temporali perissero,
il numero delle cose non diminuisce né aumenta.
5 Costoro promettono una gran cosa, e nota
ai filosofi che contemplano le cose piú alte; ma, come attestano Boezio e molti
altri autori, la loro teoria è del tutto aliena dalla filosofia di Aristotele.
Bernardo Di Chartres e i suoi scolari si adoperarono in ogni modo a conciliare
Aristotele e Platone, ma ho paura che siano venuti troppo tardi ed abbiano
faticato invano a riconciliare dei morti che, in vita, finché poterono,
dissentirono.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. IV,
pagg. 719-721)