Fin
dall’inizio il marxismo si è caratterizzato per un alternarsi del prevalere di
“correnti che insistono sull’azione degli uomini” e di altre, che invece
insistono sull’“inerzia sociale, sulla resistenza dell’ambiente, sulle forze
materiali”.
L. Goldmann, Scienze umane e filosofia
Il pensiero dialettico pone l’accento sul carattere totale della vita sociale. Esso afferma l’impossibilità di separare il suo aspetto materiale dall’aspetto spirituale. Nondimeno, se si percorre la storia del pensiero marxista, si incontrano continui dibattiti fra le correnti idealiste, meccaniciste, ortodosse. Lasciando da parte le posizioni che coscientemente o incoscientemente si staccano dal marxismo (Bernstein, De Man, ecc.), non è meno vero che, all’interno stesso di ciò che si può chiamare l’ortodossia, si notano perpetue oscillazioni fra le correnti che insistono sull’azione degli uomini, sulle sue possibilità di trasformare il mondo o che, inversamente, insistono sull’inerzia sociale, sulle resistenze dell’ambiente, sulle forze materiali. Queste oscillazioni, non dovute al caso, esprimono anch’esse le trasformazioni sociali, i mutamenti nelle condizioni di azione del movimento operaio. Tutte le grandi opere marxiste che mettono l’accento sulle forze dell’uomo, sulle sue possibilità di trasformare con la sua azione la società e il mondo, si situano nelle grandi epoche rivoluzionarie, intorno agli anni 1848, 1871, 1905 in Russia e nel 1917. Basta ricordare gli scritti filosofici del giovane Marx (1841-1846), il suo opuscolo sulla guerra civile in Francia (1871), Stato e Rivoluzione di Lenin (1917), la Juniusbroschüre di Rosa Luxenburg (1916) e Storia e coscienza di classe di György Lukács (1917-22). Inversamente le epoche di stabilizzazione delle classi dominanti, epoche in cui il movimento operaio è costretto a difendersi contro l’avversario potente, a volte minaccioso e, in ogni caso, solidamente insediato al potere, producono naturalmente una letteratura socialista che insiste sull’elemento “materiale” della realtà, sugli ostacoli da superare, sulla scarsa efficacia della coscienza e dell’azione umana.
[...]
Infine, per concludere queste osservazioni, delle quali non ignoriamo affatto il carattere schematico, ricordiamo ancora che, intorno a un punto importante, l’aver studiato prevalentemente l’aspetto economico della vita sociale e l’aver trascurato lo studio delle ideologie, ci pare abbia prodotto un importante errore di valutazione. Intendiamo parlare della teoria del capitale finanziario e dell’imperialismo. Sul terreno economico gli studi di Hilferding e di Lenin erano notevoli. Ma a noi sembra che limitarsi all’aspetto economico della realtà ha sollecitato i pensatori del movimento operaio a vedere nell’imperialismo europeo degli anni 1900-1915 “ultimo stadio del capitalismo”. Un’analisi della vita ideologica di quell’epoca avrebbe permesso probabilmente di vedere meglio la realtà e in particolare la vitalità che il capitalismo dell’Europa occidentale possedeva ancora fino al 1925, al 1930 e, anche, fino al 1939, quando è cominciato il vero periodo di declino. Il trapasso, sul piano ideologico dai Nietzsche e dai Bergson a Heidegger, Jaspers, Sartre, la scoperta di Kafka e di Kierkegaard, sono sintomi che illuminano l’evoluzione della vita economica e sociale, benché il loro significato non possa essere capito, a sua volta, se non attraverso quest’ultima.
Aggiungiamo infine che oggi lo sviluppo della filosofia e della sociologia marxista si trova anch’esso, per lo meno in Europa, limitato da un insieme di fattori economici e sociali. L’aspetto concreto che assume ai giorni nostri la lotta fra il proletariato e la borghesia, le difficoltà in cui s’imbatte, dopo il 1925-26 (epoca in cui il regime capitalista ha superato la crisi del 1917-1918), il movimento rivoluzionario, l’importanza che nell’URSS ha assunto il problema militare e quello dei rapporti con i paesi capitalisti, l’influenza dell’URSS sulla vita ideologica del movimento operaio europeo, questo insieme di cose ha sviluppato nel proletariato un rigido spirito di disciplina, estremamente sfavorevole alla ricerca e alla vita intellettuale. Per cui, all’infuori delle grandi opere classiche del marxismo, anteriori al 1920, il numero di analisi e di ricerche, nuove e davvero importanti, è estremamente limitato e spesso è opera di ricercatori irregimentati o di pensatori che, come G. Lukács e Varga, arrivano persino a rinnegare le proprie opere.
L. Goldmann, Scienze umane e filosofia,
Feltrinelli, Milano, 1981, pagg. 87-91