Il
sociologo e lo storico hanno compiti in parte diversi da quelli del fisico.
Essi devono tener conto di un fattore particolare, “il massimo di coscienza
possibile”, che è un elemento diverso dalla “coscienza reale”. L’esempio di
Lenin.
L. Goldmann, Scienze umane e filosofia
Nella sociologia la conoscenza si trova sul duplice piano del soggetto che conosce e dell’oggetto ch’egli studia, perché anche i comportamenti esterni sono comportamenti di esseri coscienti i quali giudicano e scelgono, con libertà piú o meno grande, il loro modo di agire. Ora, mentre il fisico non deve badare che a due livelli della conoscenza, la norma ideale, l’adeguazione del pensiero alle cose, e le conoscenze reali del proprio tempo il cui valore sarà in funzione della loro distanza rispetto a quelle, lo storico e, soprattutto, il sociologo sono obbligati a tener conto per lo meno di un fattore intermedio fra l’uno e l’altro, il massimo di coscienza possibile delle classi che costituiscono la società che è oggetto della loro analisi.
La coscienza reale è il risultato dei molteplici ostacoli e delle molteplici deviazioni che i diversi fattori della realtà empirica oppongono e fanno subire al realizzarsi di questa coscienza possibile. Tuttavia, come per la comprensione della realtà sociale è fondamentale non sommergere e non confondere l’azione del gruppo sociale essenziale, la classe, nell’infinita varietà e molteplicità di azioni degli altri gruppi e, anche, dei fattori cosmici, cosí è essenziale distinguere la coscienza possibile di una classe dalla sua coscienza reale in un certo momento della storia, risultato delle limitazioni e deviazioni che fanno subire alla coscienza di classi le azioni degli altri vari gruppi sociali e dei fattori naturali e cosmici.
L’uomo si definisce attraverso le sue possibilità, per la sua tendenza alla comunità con gli altri uomini e all’equilibrio con la natura. La comunità autentica e la verità universale esprimono queste possibilità per un lunghissimo periodo storico, la “classe per sé” (opposta alla classe in sé), il massimo di coscienza possibile, esprimono alcune possibilità sul piano del pensiero e dell’azione in una determinata struttura sociale. Alcuni esempi illustreranno l’importanza capitale di questa nozione nei diversi settori della vita e delle ricerche sociali.
Nell’azione sociale e politica è chiaro che le alleanze fra classi sociali non possono avvenire se non in base ad un programma minimo che corrisponda al massimo di coscienza possibile della classe meno avanzata. Quando nel 1917 Lenin, sollevando lo scandalo tra la maggioranza dei socialisti occidentali, pone il problema della distribuzione delle terre ai contadini, posizione apparentemente contraria ad ogni programma socialista, egli tiene conto semplicemente del fatto che al proletariato russo, per far trionfare la Rivoluzione, occorre la alleanza dei contadini poveri e dei braccianti agricoli e che la collettivizzazione della terra trascende la coscienza possibile dei contadini in una società non-socialista; allo stesso modo il nazionalismo del proletariato dei popoli coloniali e l’abbandono temporaneo delle sue rivendicazioni specifiche condizionano la collaborazione con la borghesia di quei paesi nella lotta per l’indipendenza; durante la Rivoluzione francese l’esigenza di uguaglianza giuridica rappresentava il massimo di coscienza possibile per la borghesia, la comprensione del fatto che l’uguaglianza giuridica è puramente formale e non garantisce affatto l’uguaglianza economica la quale trascende la coscienza possibile della borghesia rivoluzionaria.
L. Goldmann, Scienze umane e filosofia,
Feltrinelli, Milano, 19812, pagg. 138-141