Altro testo famoso di Gorgia è questo Encomio di Elena: il tema è
scelto allo scopo di dimostrare la forza persuasiva del ragionamento e del
linguaggio. Il brano nel suo insieme può essere considerato come esempio del
tipo di lavoro, in questo caso di esercizio retorico, di arte della
persuasione, che veniva svolto nelle scuole dei sofisti.
Fr 82 B
11 DK
1 (1)
È decoro allo stato una balda gioventú; al corpo, bellezza; all’animo,
sapienza; all’azione, virtú; alla parola, verità. Il contrario di questo,
disdoro. E uomo e donna, e parola ed opera, e città e azione conviene onorar di
lode, chi di lode sia degno; ma sull’indegno, riversar onta; poiché è pari
colpevolezza e stoltezza tanto biasimare le cose lodevoli, quanto lodar le riprovevoli.
(2) È invece dovere dell’uomo, sia dire rettamente ciò che si addice, sia
confutare <il contrario;
e dunque è giusto confutare> i detrattori di Elena, donna sulla quale consona e
concorde si afferma e la testimonianza di tutti i poeti, e la fama del nome,
divenuto simbolo delle fortunose vicende. Pertanto io voglio, svolgendo il
discorso secondo un certo metodo logico, lei cosí diffamata liberar
dall’accusa, e dimostrati mentitori i suoi detrattori e svelata la verità, far
cessare l’ignoranza.
2 (3)
Che per nascita e stirpe fosse prima tra i primi – uomini e donne – la donna di
cui ora parliamo, non c’è chi lo ignori. Noto è infatti come sua madre fu Leda,
e padre autentico un dio, putativo un mortale: Tindaro e Zeus; di cui questi,
pel fatto che era, fu ritenuto suo padre; quegli, pel fatto che appariva, fu
messo in dubbio; l’uno il piú potente tra gli uomini, l’altro il supremo
dominatore di tutti gli esseri. (4)
Da tali generata, ebbe bellezza di dea, e, avutala, non nascose d’averla. Ché
in moltissimi moltissime brame d’amore suscitò, e con una sola persona molte
persone attirò di eroi superbi per superbi vanti: chi avea profusion di
ricchezza, chi lustro d’antica nobiltà, chi pregio di innato valore, chi
superiorità di sapienza acquisita; e tutti vennero, indotti da amore avido di
vittoria e da invitta avidità di onore.
3 (5)
Ma chi fu, e per qual motivo, e in che modo appagò l’amore colui che conquistò
Elena, non lo dirò: ché il dire, a chi sa, ciò che sa, aggiunge fiducia, ma non
porta diletto. E però, varcato ora, col discorso, il tempo d’allora, mi rifarò
dal principio del discorso propostomi, ed esporrò le cause per le quali era
naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia.
4 (6)
Infatti, ella fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata
decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta
con parole, <o presa da amore>. Se è per il primo motivo, è giusto che s’incolpi chi ha colpa; poiché
la provvidenza divina non si può con previdenza umana impedire. Naturale è
infatti non che il piú forte sia ostacolato dal piú debole, ma il piú debole
sia dal piú forte comandato e condotto; e il piú forte guidi, il piú debole
segua. E la Divinità supera l’uomo e in forza e in saggezza e nel resto. Che se
dunque al Caso e alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va dall’infamia
liberata.
5 (7) E se per forza fu rapita, e contro legge violentata,
e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la colpa, in quanto
oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subí una sventura. Merita
dunque, colui che intraprese da barbaro una barbara impresa, d’esser colpito e
verbalmente, e legalmente, e praticamente; verbalmente, gli spetta l’accusa;
legalmente, l’infamia; praticamente, la pena. Ma colei che fu violata, e dalla
patria privata, e dei suoi cari orbata, come non dovrebbe esser piuttosto
compianta che diffamata? ché quello compí il male, questa lo patí; giusto è
dunque che questa si compianga, quello si detesti. compianta che diffamata? ché
quello compí il male, questa lo patí; dunque è giusto che questa si compianga,
quello si detesti.
6 (8)
Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è
difficile a scusarsi e a giustificarsi cosí: la parola è un gran dominatore,
che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere;
riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la
gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. (9) Perché
bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie
forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi l’ascolta è invaso
da un brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una
struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo
proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere.
Ma via, torniamo al discorso di prima. (10) Dunque, gli ispirati incantesimi di
parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi infatti,
alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto, questa la blandisce e
persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due
arti, consistenti in errori dell’animo e in inganni della mente. (11) E quanti,
a quanti, quante cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! Che
se tutti avessero, circa tutte le cose, delle passate ricordo, delle presenti
coscienza, delle future previdenza, non di eguale efficacia sarebbe il medesimo
discorso, qual è invece per quelli, che appunto non riescono né a ricordare il
passato, né a meditare sul presente, né a divinare il futuro; sicché nel piú
dei casi, i piú offrono consigliera all’anima l’impressione del momento. La
quale impressione, per esser fallace ed incerta, in fallaci ed incerte fortune
implica chi se ne serve. (12) Qual motivo ora impedisce di credere che Elena
sia stata trascinata da lusinghe di parole, e cosí poco di sua volontà, come se
fosse stata rapita con violenza? Cosí si constaterebbe l’imperio della persuasione,
la quale, pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità, ne ha tuttavia la
potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una mente, costringe la mente
che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei fatti. Onde chi ha
persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è colpevole; mentre chi fu
persuasa, in quanto costretta dalla forza della parola, a torto vien diffamata.
(13) E poiché la persuasione, congiunta con la parola, riesce anche a dare
all’anima l’impronta che vuole, bisogna apprendere anzitutto i ragionamenti dei
meteorologi, i quali sostituendo ipotesi a ipotesi, distruggendone una,
costruendone un’altra, fanno apparire agli occhi della mente l’incredibile e
l’inconcepibile; in secondo luogo, i dibattiti oratorii di pubblica necessità
[politici e giudiziari], nei quali un solo discorso non ispirato a verità, ma
scritto con arte, suol dilettare e persuadere la folla; in terzo luogo, le
schermaglie filosofiche, nelle quali si rivela anche con che rapidità
l’intelligenza facilita il mutar di convinzioni dell’opinione. (14) C’è tra la
potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso rapporto che tra
l’ufficio dei farmaci e la natura del corpo. Come infatti certi farmaci
eliminano dal corpo certi umori, e altri, altri; e alcuni troncano la malattia,
altri la vita; cosí anche dei discorsi, alcuni producon dolore, altri diletto,
altri paura, altri ispiran coraggio agli uditori, altri infine, con qualche
persuasione perversa, avvelenano l’anima e la stregano.
7 (15)
Ecco cosí spiegato che se ella fu persuasa con la parola, non fu colpevole, ma
sventurata. Ora la quarta causa spiegherò col quarto ragionamento. Che se fu
l’amore a compiere il tutto, non sarà difficile a lei sfuggire all’accusa del
fallo attribuitole. Infatti la natura delle cose che vediamo non è quale la
vogliamo noi, ma quale è coessenziale a ciascuna; e per mezzo della vista,
l’anima anche nei suoi atteggiamenti ne vien modellata. (16) Per esempio, se
mai l’occhio scorge nemici armarsi contro nemici in nemica armatura di bronzo e
di ferro, l’una a offesa, l’altra a difesa, subito si turba, e turba l’anima,
sicché spesso avviene che si fugge atterriti, come fosse il pericolo imminente.
Poiché la consuetudine della legge, per quanto sia salda, viene scossa dalla
paura prodotta dalla vista, il cui intervento fa dimenticare e il bello che
risulta dalla legge, e il buono che nasce dalla vittoria. (17) E non di rado
alcuni, alla vista di cose paurose, smarriscono nell’attimo la ragione che
ancora possiedono: tanto la paura scaccia e soffoca l’intelligenza. Molti poi
cadono in vani affanni, e in gravi malattie, e in insanabili follie; a tal
punto la vista ha impresso loro nella mente le immagini delle cose vedute. E di
cose terribili molte ne tralascio; ché sono, le tralasciate, simili a quelle
anzidette. (18) D’altro lato i pittori, quando da molti colori e corpi
compongono in modo perfetto un sol corpo e una sola figura, dilettano la vista.
E figure umane scolpite, figure divine cesellate sogliono offrire agli occhi un
gradito spettacolo. Sicché certe cose per natura addolorano la vista, certe
altre l’attirano. Ché molte cose, in molti, di molti oggetti e persone
inspirano l’amore e il desiderio. (19) Che se dunque lo sguardo di Elena,
dilettato dalla figura di Alessandro, inspirò all’anima fervore e zelo d’amore,
qual meraviglia? il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dèi la divina
potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli? e se poi
è un’infermità umana e una cecità della mente, non è da condannarsi come colpa,
ma da giudicarsi come sventura; venne infatti, come venne, per agguati del
caso, non per premeditazioni della mente, e per ineluttabilità d’amore, non per
artificiosi raggiri.
8 (20)
Come dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia
che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da
parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da costrizione
divina, in ogni caso è esente da colpa?
9 (21)
Ho distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio
propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di
un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso,
che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico.
(I Presocratici, Laterza, Bari, 19904, pagg. 927-933)