GADAMER, VERITA' O METODO: TERTIUM NON DATUR
L’arte non ha davvero nulla a che fare con la conoscenza? Non c’è nell’esperienza dell’arte una rivendicazione di verità, diversa certo da quella della scienza, ma altrettanto certamente non subordinabile ad essa? E il compito dell’estetica non è proprio quello di fondare teoricamente il fatto che l’esperienza dell’arte è un modo di conoscenza ‘sui generis’, diversa beninteso da quella conoscenza sensibile che fornisce alla scienza i dati sulla cui base essa costruisce la conoscenza della natura, diversa altresì da ogni conoscenza morale della ragione e in generale da ogni conoscenza concettuale, ma tuttavia pur sempre conoscenza, cioè partecipazione di verità? Ciò è difficile da riconoscere se si continua a seguire Kant nel misurare la verità della conoscenza in base al concetto di conoscenza e di realtà proprio delle scienze della natura. E’ necessario pensare il concetto di esperienza in maniera più ampia di quanto abbia fatto Kant, in maniera che anche l’esperienza dell’opera d’arte possa venir intesa come esperienza. Per tale operazione possiamo rifarci alle ammirevoli lezioni di estetica di Hegel. In esse il contenuto di verità che si trova in ogni esperienza d'arte viene magistralmente riconosciuto e messo in rapporto con la coscienza storica. L’estetica diventa così una storia delle Weltanschauungen, cioè una storia della verità come essa si rivela nello specchio dell’arte. In tale modo viene riconosciuto in maniera radicale il compito che abbiamo indicato, cioè quello di giustificare teoricamente l’esperienza della verità anche nell’arte.
(Gadamer, Verità e metodo parte I)