GENTILE, ECONOMICITA' DELL'UOMO E DELLO STATO

 

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Nihil humani a me alienum puto. E poiché può pure dirsi che lo Stato è l'uomo, nulla di umano può essere estraneo all'essenza dello Stato. Ché lo Stato compendia, unifica e concretizza ogni elemento, forma o attività dell'umana natura; e manchevole sarà perciò ogni suo concetto a cui sfugga alcun elemento di codesta natura. Alla quale nessuno vorrà mai sottrarre l'agire che serva di mezzo a un fine, ossia quell'agire che è utile, che si configura come una forma peculiare dell'umano operare, e si fa oggetto dell'economia. Nessuno che tenga conto della più manifesta esperienza, potrà infatti negare che l'uomo nella ricerca o meglio nell'attuazione della finalità edonistica che gli è immanente, venga guidato dal criterio dell'utile. La questione sorge quando si vuol determinare il rapporto tra questo aspetto utilitario dell'agire umano e quella forma che è universalmente ritenuta propria del concreto operare dell'uomo, che è l'eticità. La recente soluzione che fa dell'utile un grado elementare del volere destinato ad attuarsi pienamente come volere etico, e le connesse dottrine del diritto e dello Stato come semplice forza o mera attività economica, ha molto di persuasivo come ogni pensiero che si presenta semplice, chiaro, inquadrato in un sistema di concetti che formalmente siano nettamente distinti; ma ha suscitato pure molte perplessità. E lo stesso autore è stato costretto da certo oscuro presentimento di una diversa verità a postulare una forma di attività etico-politica, che tende a unire quel che è stato violentemente diviso, per raffigurare la vita dello Stato come processo di una realtà essenzialmente etica.

2. - Umanità dell'operare economico
Conviene innanzi tutto osservare che l'utile considerato dall'estrinseco è comune all'uomo e agli animali inferiori che sono generalmente concepiti privi dell'essenziale attributo umano, la libertà. Anche l'operare dell'animale inferiore è finalistico e però utile: più stretto alla legge dell'utile che non sia quello dell'uomo, perché più immediatamente edonistico. E però infallibile a differenza dell'operare umano che fallisce non di rado al suo scopo. E la sua infallibilità è connessa al carattere fondamentale dell'operare utilitario dell'animale; che non è libero, ma meccanico, e in tal senso necessario; e però definito istintivo. L'istinto è operare razionale, e però sempre adeguatamente proporzionato al fine, ma di una razionalità inconsapevole e trascendente il soggetto operante. Razionalità della natura? di Dio? Certo, non propria del singolo animale che rincorre la preda che servirà alla soddisfazione della fame, o fugge innanzi al pericolo della minaccia che gl'incombe. Da rassomigliarsi perciò in certa guisa al funzionare degli organi particolari di un organismo vivente; il cui funzionamento è sempre razionale, in ragione della sua utilità al compimento del fine generale dell'organismo intero, e quindi del fine particolare e proprio di quell'organo determinato. Razionale per una legge inconsapevole, e però affatto priva di libertà. Né l'analogia tra l'istintivo operare del bruto e l'azione utilitaria dell'uomo viene meno per l'intervento dell'intelligenza in quest'ultima. Ché l'intelligenza non è estranea allo stesso agire degli animali inferiori, come è provato dalla complessità di certe azioni risultanti da molte azioni coordinate e tutte insieme ordinate a un fine determinato, e dal sottile accorgimento anzi dalla furberia lungimirante che in siffatti congegni attivi vien dimostrata. L'intelligenza bensì può essa stessa distinguersi tra l'intelligenza dell'animale bruto e l'intelligenza dell'uomo, abbassandosi in quello in una specie di meccanismo inconsapevole ed elevandosi in questo ad attività consapevolmente diretta dalla libera ragione e controllata dal libero giudizio del suo valore. Non importa. Perché l'intelligenza non sarà mai altro che un antecedente dell'azione economica, e potrà quindi servire soltanto a preparare nei suoi termini concreti il problema economico determinato da risolvere. Ma l'agire economico su questo più alto piano che l'intelligenza umana potrà aver preparato sia nella definizione più esatta del problema, sia nella più perfetta cognizione dei mezzi opportuni a cui ricorrere per la soluzione del problema stesso, sarà sempre una sorta di operare istintivo, necessario, meccanico, senza libertà. Che l'operare economico avvenga a un piano inferiore o superiore, non conta: ciò riguarderà le condizioni che l'astratta analisi potrà attribuire a tale operare, ma non toccherà la natura di esso.

3. - Operare utilitario o utile?
Bisogna invero distinguere con ogni cura il significato dell'umano, a cui appartiene certamente l'operare utile. Che sarà propriamente utile e non utilitario se non sunt multiplicanda entia sine necessitate. Giacché utilitario si dice comunemente distinguendo tra l'operare e l'effetto suo: questo ritenendo utile, e quello invece utilitario, ossia diretto all'utile. Laddove, anche qui, come in etica, l'effetto a cui l'azione s'indirizza non è da concepire con un che di esterno all'azione, ma come l'azione stessa. Utile non sarà certamente l'acqua per dissetarsi; perché codesta utilità non ci sarebbe mai se non ci fossero assetati; e una volta posto il rapporto tra il soggetto e la cosa, l'utilità non è più né nella cosa indipendente dal soggetto anteriormente al rapporto, né nella cosa comunque posta fuori del rapporto; ma nella cosa in quanto goduta e cioè assorbita nella sua relazione col soggetto che ne profitta. In questo caso, utile sarà il dissetarsi: ossia l'azione che, cambiando il preesistente rapporto tra l'uomo e il mondo circostante, fa di questo qualche cosa di partecipante al circolo della sua stessa vita, e crea perciò nell'uomo stesso un nuovo uomo: da assetato che era, dissetato. Noto il ridicolo, cioè l'assurdo, dei tesori nascosti e sottratti perciò a ogni uso. Ovvio che il denaro ha un valore economico soltanto se si spende e vale come mezzo per l'acquisto di beni goduti effettivamente, che l'uomo per mezzo del denaro si procura per la soddisfazione dei suoi bisogni e quindi la trasformazione del suo proprio modo di essere e il perfezionamento edonistico della sua persona. Trasformazione e perfezionamento che non sono bensì conseguenza dell'operare utile; ma questo stesso operare. Il quale infatti reca piacere, ma finché esso duri e sostenga con la sua attualità il senso di soddisfazione che è piacevole. E quando esso vien meno, succede la sazietà, la noia, la nausea: surgit de medio fonte leporum amari aliquid. E come bisogna aver sete per provar gusto a bere, il gusto cessa appena ci si disseta; ed è impossibile più bere. E però la gioia, la felicità è in noi, e non nelle cose; e appena si spenga quella vita interna che ci fa amare le cose e gli uomini e gioire di viverci in mezzo, insieme con quel nostro interno fervore cade la realtà che lo accendeva, il mondo si discolora perché si spegne la luce che lo illuminava dal centro del nostro cuore. Utili dunque non sono le cose naturalisticamente collocate innanzi a noi, né le cose come possono uscire dalle nostre mani, ma soltanto le azioni con cui, mediante le cose, ma sopra tutto mediante il nostro sforzo, riusciamo a creare un nostro modo di essere che senza il nostro sforzo non avrebbe potuto esserci mai: a creare quindi in noi un nuovo uomo. Questo l'utile di cui l'uomo può parlare: un utile che è causa sui.

4. - Umano e subumano
Ma questo utile causa sui che l'uomo sente alla base stessa della sua vita, appartiene egli all'attualità della sua vita spirituale? L'uomo è anima e corpo. Tutti ne sono persuasi e i dissensi e gli errori cominciano quando si vuol concepire il rapporto dei due termini. Ci sono i filosofi della copula indifferente (e), come sono stati chiamati, che irretiti nel dualismo di due autonome sostanze, non hanno modo di rendersi conto dell'unità, che è il dato certo della nostra costante e incontestabile esperienza. Se le sostanze sono due, ciascuna è infinita, e dall'una è assolutamente impossibile passare all'altra. E il corpo non può essere altro che obiectum mentis, come dice Spinoza, sicché la mente, non potendo uscire da sé, non ha modo di porre una sostanza corporea distinta dalla sostanza pensante, altro che per un dommatismo ignaro del suo arbitrio. Ma tutte le difficoltà sorgono dal fatto di aver voluto intendere l'idea del corpo senza cominciare dal ricercarne la genesi. Poiché tutti parlano del corpo come del fondamento della loro vita spirituale. Tutti lo vedono, lo toccano e pensano che nulla sia a loro più noto; onde vien fatto comunemente di ritenerlo come la pietra di paragone di tutto ciò che sia da conoscere con evidente certezza. Ma nessuno, in verità, sarebbe capace lì per lì di dire che cosa sia questo corpo che ognuno è sicuro di conoscere più e meglio di qualsiasi altra parte del mondo che gli è presente al pensiero.

 

(G. Gentile)