GENTILE, IL CORPO E L'ANIMA

 

Intanto converrebbe riflettere prima di tutto, che il corpo di cui ognuno parla, è per l'appunto il suo corpo: quello cioè che egli dice suo, in quanto lo ha lì, nella sua coscienza, termine immediato del suo primo e fondamentale sentire, senza del quale egli non sentirebbe nulla mai. Questo primo ed elementare sentire, questa originaria coscienza che ogni uomo trova alla radice di sé medesimo, quando faccia astrazione di tutto il determinato contenuto della sua esperienza e si arresti a quel principio da cui questa esperienza deve avere preso le mosse per costituirsi gradualmente nella ricchezza delle sue attuali determinazioni, è essa l'anima per cui ognuno sa di esserci e vivere. Or bene, fin da questo suo modo più rudimentale, il sentire - che è l'anima - non è un sentire che sia vivere semplicemente, o meglio esser vissuti da un principio che trascenda la nostra individualità. Perché questo sentire noi lo troviamo proprio alla radice del nostro essere, ossia di noi: lì dove noi cominciamo per l'appunto a esser noi, con la nostra unica e inconfondibile individualità. Quel sentire è perciò sentirsi: oscuro sentirsi in cui però già si contrappone un senziente e un sentito, che sono identici e sono diversi: diversi fino a essere l'uno l'opposto dell'altro, e quindi la negazione dell'altro: ma, ciò nonostante, tutto uno stesso essere, perché la stessa loro identità dà un significato alla loro opposizione. L'anima pertanto dentro di sé stessa si sdoppia: ed è anima (sé stessa) e il suo opposto, il contrario di quel che sente: il corpo, che è sentito e non può sentire, perché è il termine interno al sentire dell’anima. Lì, nel profondo, alle origini della storia della propria vita psichica, l'uomo incontra per la prima volta il suo corpo, e comincia a conoscerlo. Alla prima occhiata, per dir così, ch'egli getta su sé medesimo, portato com'è a conoscere sé stesso (poiché tutto il suo essere è essere autocoscienza), ecco presentarglisi il corpo, in rapporto col quale gli si presenteranno tutti gli altri corpi, tutta la natura, l'universo fisico. Ed ecco perché il corpo è alla base della vita dello spirito: quel corpo che è unico e perciò infinito; ancora affatto indistinto e indeterminato; ma che si determinerà a mano a mano che si verrà sviluppando la vita psichica con l'arricchimento progressivo di tutte le sue determinazioni. Le quali non proverranno di certo all'anima ab extra (che sarebbe impossibile data la sua infinità, e l'infinità del suo stesso contenuto originario, o corpo), ma dal suo stesso ritmo di alienazione da sé, o sdoppiamento, e di ritorno a sé nell'unità della sua sintesi. In un secondo tempo pertanto ognuno costruirà dentro di sé o del pensiero un suo corpo fisico, anatomico e fisiologico sempre più differenziato; ma questo corpo ulteriore dell'anima sarà sempre svolgimento e trasformazione di quel corpo primitivo e immanente, che resterà sempre il nucleo di tutte le forme più differenziate. Svolgimento e trasformazione non dell'idea del corpo, ma di esso stesso corpo, che nasce per l'anima e dall'anima, e vive tutta la sua vita sempre per la virtù creatrice che è la vis interna dell'anima. E che è infatti la vita tutta dell'uomo se non una cura assidua e incessante, educatrice e spiritualizzatrice del proprio corpo, reso dal nostro volere strumento sempre più docile e veicolo sempre più rapido dei fini dello spirito, nel perpetuo processo di autoformazione onde questo trae sé stesso dal suo opposto - in cui egli ancora è sommerso e non viene a luce; in cui non egli è, ma la sua negazione; non è libertà, ma meccanismo; non il divenire che è dello spirito, ma l'immediato essere che è della natura? Corpo, natura, meccanismo: l'opposto della libertà, che è l'attributo dello spirito. Or come lo spirito può venire dalla sua negazione? Siffatta provenienza, a cui si lasciano adescare positivisti e naturalisti, è superficiale apparenza di qualcosa d'impossibile e assurdo. Apparenza che deriva dal vedere l'opposizione - che è opposizione rigidissima, che male positivisti e naturalisti si industriano di attenuare per vedere di rendere possibile l'impossibile - e non vedere l'unità che è alla radice degli opposti. Non dal corpo viene l'anima. L'anima viene dall'anima, come senso di sé originario, che contiene in sé l'antitesi del corpo e dell'anima in quanto la produce; ma la produce per risolverla nella sua attuosa unità, che importa bensì il corpo, e il corpo nella sua più netta opposizione all'anima in quanto questa è negazione del corpo; ma importa anche la negazione dell'opposizione, e quindi del corpo in quanto astratta negazione dell'anima. Il corpo dunque è un negativo che si nega: e se non si negasse, non avrebbe neanche il significato negativo che gli spetta. L'analisi che distingue nella sintesi gli opposti, e che fissa perciò astrattamente l'essere del corpo, si afferra bensì a qualche cosa di realmente esistente che concorre al concreto essere della sintesi; ma che in questa dimostra negativamente la propria esistenza come l'astratto che nel concreto entra negando (superando) la propria astrattezza. Scendere al di sotto della sintesi e quasi smontarla per dividere i momenti da cui essa logicamente risulta, è possibile e lecito; ma a patto di avvertire e tenere ben presente che questi momenti hanno la loro concreta realtà nella sintesi che li unifica, anzi unitariamente li pone nella loro stessa distinzione e opposizione. Nella loro astrattezza analitica non sono l'uomo, ma il subumano, che presuppone l'uomo; il quale trova in sé il subumano, ma è già sopra di esso, e con la sua superiore energia lo pone in essere e gli dà titolo per concorrere alla formazione dell'esistente. Tale la posizione del corpo, e della natura in genere. Non è umano, ma subumano: qualcosa che è lì sulla soglia; ma la soglia è già sorpassata. E sulla soglia ancora resiste e dice no a tutto ciò che è di qua, e può essere solo di qua dalla soglia. È spazialità e perciò tempo; è meccanismo perché molteplicità; è immediatezza, laddove di qua dalla soglia è mediazione, unità, libertà.

 

(G. Gentile)