GENTILE, L'INGEGNO

 

Dal genio che è sintesi e creazione, va con ogni cura distinto l'ingegno, che è analisi e pensiero astratto: teoria senza pratica, puro intellettualismo. L'uomo d'ingegno, in teoria e in pratica, non crea perché si polarizza verso la molteplicità analitica del pensiero che non si riconosce nell'oggetto, e lo pensa perciò come opposto al soggetto: logo astratto. Non che il suo pensiero sia pura analisi (che non sarebbe possibile); ma tende all'analisi. Non che non produca e non crei; ma i suoi prodotti, le sue creazioni tendono a restare qualche cosa di puramente ideale, in cui si specchia la vita, ma da lungi e senza una ragione necessaria. Giacché chi ha ingegno e non genio, non si oblia nel suo oggetto; non ha tanta energia soggettiva da sentirsi impegnato in ogni momento nel mondo, e da sentire questo mondo come quello che non ci sarebbe senza di lui. Crede di esserne lo spettatore, o di dovere tutt'al più agire per conformarvisi e quasi non guastare il giuoco. E conoscere quindi, sopra tutto, e considerare per minuto le cose e gli aspetti delle cose: tanti problemi, da risolvere una alla volta. Tanti problemi, perché già la realtà, a considerarla così dall'esterno come può fare uno spettatore, si divide e frantuma in tante parti e particelle e facce diverse, all'infinito. E chi la conosce, e non è dentro di essa a partecipare alla sua vita e alla sua generazione creatrice di sempre nuove forme, non può che vederla così come una molteplicità infinita. La cui analisi è chiarezza di pensiero, è sapienza e finezza di tecnica, è dottrina ed erudizione, è acume d'intelligenza che scorge le cose più piccole, e i particolari meno appariscenti e i più fuggevoli aspetti. È compiutezza di descrizione. È arguzia e brio di chi, non essendo dentro alle cose, sente di esservi estraneo e sorride e leggermente passa e trasvola. Ma non è profondità di pensiero, non è calore d'ispirazione, non è forza che trascini impadronendosi degli animi e sollevandoli alla visione di un mondo superiore e non più veduto. L'ingegno è degli esegeti, il genio dei produttori. L'ingegno non aspira all'originalità, poiché, per esso, le cose già ci sono, e si tratta di bene distinguerle e conoscerle per filo e per segno. E viceversa, il genio non conosce cose che già ci siano: tormentato dall'ansia del mondo che è da creare, e che egli creerà. In quest'ansia, non cura particolari, non ha occhi per vedere le parti, fisso com'è all'insieme, alla sintesi degli elementi, al vivente. Nella sua profondità è oscuro: materia di studio ai commentatori, come la natura che dà tanto da fare ai suoi indagatori. L'ingegno è la fonte delle piccole virtù della scienza e della vita: necessarie anch'esse, ma futili se si scompagnano dalla grande fede, dalla robusta tempra, dalla possente umanità del genio, che crea il mondo, in cui le virtù piccole possono avere il loro punto d'appoggio per esercitare la loro azione benefica. L'ingegno è il manovale, e il genio è l'architetto. Entrambi necessari, com'è vero che l'attualità dell'arte è nella sintesi del pensiero dove il soggetto è autocoscienza.

 

(G. Gentile)