GENTILE, IL GUSTO

 

Ma più interessa l'estetico il concetto del gusto, come quella facoltà che rende possibile l'appercezione dell'elemento artistico dell'opera d'arte, e senza la quale non ci sarebbe critica d'arte, né storia: e non ci sarebbe neanche arte, se arte è possibile solo in quanto la realtà spirituale in cui essa si attua, vigila su se stessa e si controlla, per quella libertà che, come abbiamo visto, è essenziale alla stessa soggettività dello spirito. In base all'osservazione che la bellezza dell'opera d'arte è un valore universale, che investe perciò non solo lo spirito dell'autore, ma ogni spirito che venga in relazione con questo e con questo comunichi e prenda quindi parte all'attività creatrice onde il valore dell'arte si realizza, venne postulata un'identità di atto del quale sarebbe compartecipi l'autore di un'opera bella e chi riesca ad apprezzarla e gustarne la bellezza: l'identità cioè del genio e del gusto. Ma questo postulato è rimasto nell'estetica contemporanea un'esigenza mistica più che un concetto filosofico; e non era possibile che diventasse vero e proprio concetto finché la relazione tra genio e gusto si ricercava nel campo affatto empirico, o fantastico che dir si voglia, in cui sono per solito collocati l'autore che crea e l'uomo di gusto: due uomini, che si dividono le parti, e poi si trova che, volere e no, debbono pur rappresentare la parte stessa. Una volta trasferita tale relazione sul suo proprio terreno, poteva non essere tanto difficile vedere se si trattava propriamente d'identità, e di quale specie d'identità. La verità è che i problemi filosofici dello spirito non possono avere la loro forma propria e definitiva sul fondamento empirico della molteplicità degli spiriti; poiché la filosofia è giunta a una posizione, che nessun idealista può più rifiutare, nella quale lo spirito è libero perché infinito, come non può essere certamente quello spirito particolare che ci si presenta nella fenomenologia dell'esperienza. Dunque, o niente gusto; o il gusto non deve nascere a opera fatta, fuori dello spirito del suo autore: il genio di qua e il gusto di là. La verità è che lo stesso genio senza gusto è inconcepibile. Perché gusto è quel giudizio che è appercezione e valutazione: non si ha il senso del bello, se questo non si distingue dal suo opposto. E infatti il sentimento, in cui noi abbiamo scoperto il principio del bello, non è assoluta immediatezza. È dialettica, libera dialettica; scelta. Posizione di sé in quanto esclusione del suo opposto. Quindi il sentimento che non riesca ancora a trionfare del contenuto della pura oggettività, che è il suo non-essere, e ne rimanga come oppresso, soppresso e negato, avverte un disagio che si converte in soddisfazione ove egli si disviluppi da cotali impacci e si drizzi nel suo libero essere soggettivo. Il che è distinguere in atto bello da brutto e scorgere il bello nel suo generarsi e apparire. Questo è il gusto. Il gusto dunque è lo stesso genio nella sua dialettica. E chi ha gusto, ha genialità; una genialità per cui partecipa al genio dell'artista, ma in quanto partecipa al suo gusto.

 

(G. Gentile)