GROZIO, LA RAZIONALITA' DEL DIRITTO

 

Ma nell'uomo adulto, che sa coordinare le proprie azioni così da comportarsi in modo analogo in circostanze analoghe, è il caso di riconoscere, oltre che una spiccatissima tendenza alla vita sociale - per realizzare la quale egli, unico fra gli esseri animati, possiede il mezzo appropriato, ossia il linguaggio - anche la facoltà di conoscere e di agire secondo principi generali: e quanto si riferisce a tale facoltà non è certo comune a tutti gli animali, ma è proprio della natura umana. Questa attività, conforme alla ragione umana, rivolta a conservare la società, che abbiamo testé grossolanamente delineata, è la fonte del diritto propriamente detto; il quale comprende l'astenersi dalle cose altrui, la restituzione dei beni altrui e del lucro da essi derivato, l'obbligo di mantenere le promesse, il risarcimento del danno arrecato per colpa propria, e il poter essere soggetti a pene tra gli uomini. Da questa nozione del diritto ne è discesa un'altra più ampia: poiché infatti l'uomo possiede, al di sopra degli altri animali, non soltanto l'impulso dell'associazione di cui si è detto, ma anche il criterio - per valutare le cose - future oltre che presenti - piacevoli o nocive, e quelle che possono produrre l'uno o l'altro effetto, appare evidente essere conforme all'umana natura il seguire anche in ciò un giudizio rettamente conformato secondo la norma della ragione umana, senza farsi traviare dal timore, o dalla lusiga di un piacere attuale, e senza farsi trascinare da impulsi inconsiderati; ed è chiaro che ciò che palesemente contraddice a un tale giudizio è contrario al diritto di natura: della natura, s'intende, umana (...). Essendo poi norma di diritto naturale tener fede ai patti (perché era necessario che fra gli uomini vi fosse un mezzo per obbligarsi reciprocamente, e in verità non se ne può immaginare un altro che sia per natura) questa fu appunto la fonte da cui scaturirono i diritti positivi. Coloro infatti che si erano consociati in qualche gruppo, oppure si erano sottomessi a uno o più uomini, si erano esplicitamente impegnati, oppure, data la natura dell'accordo, avevano evidentemente assunto impegno tacito di uniformarsi a ciò che o la maggiornaza del gruppo, o coloro a cui il potere era stato deferito avrebbero stabilito. Ciò dunque, che non soltanto Carneade, ma altri ancora dicono: "Quasi madre del giusto e dell'equo è l'utilità", se parliamo con esattezza, non è vero: perché del diritto naturale è madre la stessa natura umana, la quale, anche se non avessimo bisogno di nulla, ci spingerebbe a ricercare i rapporti sociali; del diritto positivo poi è madre anche l'obbligazione consensuale e, dato che quest'ultima ripete la sua efficacia dal diritto naturale, può darsi anche che il diritto positivo ha la natura per bisavola. L'utilità tuttavia è accessoria al diritto naturale, perché l'Autore della natura ha voluto che noi, presi ad uno ad uno, fossimo deboli e bisognosi di molte cose per vivere bene, in modo che fossimo maggiormente spinti a praticare la vita sociale; quanto al diritto positivo, l'utilità ne fu la causa occasionale, perché quell'associazione o quella sottomissione di cui abbiamo parlato ebbe origine in vista di un vantaggio; quindi anche i legislatori sogliono, o debbono, proporsi come scopo qualche utilità.

 

(Ugo Grozio, Prolegomeni al De jure belli ac pacis)