Hegel, La conciliazione tra filosofia e religione

Filosofia e cristianesimo cercano entrambe la riconciliazione del soggetto con se stesso, ed esprimono - seppure in forme diverse - la stessa verità. Eppure tra filosofia e religione sono nati fraintendimenti e sospetti che hanno portato a un reciproco rifiuto. Il compito della filosofia della religione è dunque quello di portare chiarezza per superare i fraintendimenti e arrivare alla conciliazione tra filosofia e religione.

 

G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, Introduzione

 

Ora la filosofia della religione permette la conciliazione fra questi due lati, permette di far vedere l'infinito nel finito, il finito nell'infinito; la riconciliazione dell'animo con la conoscenza, del sentimento religioso puro con l'intelligenza. Questa è l'esigenza della filosofia della religione, come la necessità della filosofia in genere [...].

Nella religione cristiana questa esigenza della conciliazione è anche piú precisa che in qualsiasi altra religione; poiché essa comincia dalla stessa scissione assoluta e l'esigenza di riconciliazione si origina solo quando la coscienza è scissa. La religione pagana racchiude in sé fin dall'origine la serena riconciliazione. La religione cristiana non è altrettanto serena: essa stessa risveglia il bisogno, comincia dal dolore e lo ridesta, lacera la unità naturale dello spirito, l'unità dell'uomo con la natura, distrugge la pace naturale. Vi si trova fin dall'inizio il peccato originale: l'uomo è cattivo dall'origine; dunque è nel suo intimo qualche cosa di negativo nei confronti di sé stesso. Che l'uomo sia buono per natura è dottrina dei tempi moderni; dottrina che sopprime la religione cristiana, la scissione del soggetto, posta nella religione cristiana. Che l'Io sia spinto contro la sua essenza assoluta, infinita, proprio questo riporta in sé lo spirito e attua la riconciliazione [...].

Io sono altro, peccatore, allontanato, estraniato da Dio. La fede cristiana comincia da questa rappresentazione: io non sono sereno, non ho rapporto con la serenità greca. E la fede cristiana mi trae fuori dal dissidio solo attraverso la riconciliazione. Il soggetto però vuole anche sapere se ciò è reale, se è vero. Questa verità della riconciliazione, il rappresentato, è ritenuta vera dapprima sulla base dell'autorità. Io sono, come credente, trasportato in un mondo intellettuale, ho ricevuto la conoscenza; questa è la natura di Dio, queste le determinazioni, i modi dell'azione divina. Che le cose stiano cosí, ciò si fonda sulla intuizione, sulla conferma di un altro [...].

La religione cristiana non dice solamente che io debbo conoscere, ma il conoscere è nella sua stessa natura. Essa perciò è essenzialmente insegnamento, dottrina, fornisce rappresentazioni e pensieri e, se anche si tratta solo di rappresentazioni della natura di Dio e della sua attività, esse sono tuttavia rappresentazioni del contenuto e dell'oggetto universale e per questa ragione sono immediatamente pensieri [...].

La religione cristiana ha dunque essenzialmente in sé la conoscenza e l'ha spinta a svilupparsi in tutte le sue conseguenze come forma, mondo della forma, e ad opporsi in pari tempo alla forma nella quale quel contenuto è come verità data, ma solo per la rappresentazione e per il sentimento. In questa forma sta una contraddizione, perché il contenuto non è qui necessità interiore, vale a dire conoscenza, e perciò non è libero; e tuttavia è un contenuto sviluppato in rappresentazioni diverse e coerenti, dunque in pensieri necessari, non in rappresentazioni prive di pensiero. Su questo si fonda il conflitto della nostra epoca. La riflessione cólta deve addentrarsi nella religione ed in pari tempo non può mantenersi in essa ed è impaziente nei suoi confronti. E per contro la religione, il sentimento religioso, è diffidente verso la riflessione, verso la ragione, come la si chiama, verso la finitezza che è nella conoscenza, verso il tenersi fermo del soggetto in sé e nel suo essere per sé, e rimprovera perciò alla scienza la sua vanità. La conoscenza, la ragione, è diffidente verso la totalità che è propria del sentimento e che confonde nella sua unità ogni sviluppo o estensione. Ma è mancanza di libertà non opporsi a sé stesso come oggetto pensante ed è arbitrario stimare, ritenere vero e valido ciò che tuttavia resta indeterminato. Anche la riflessione lascia la religione per suo conto e la mette da parte come qualche cosa con la quale si vuole solo stare in pace oppure persiste nell'inconseguenza di ammetterla in qualche modo, aggiungendo che essa non si accorda con il resto della coscienza, con il modo, l'esigenza del conoscere.

Una volta nato il dissidio tra l'intelligenza e la religione, esso conduce, se non si risolve nella conoscenza, alla disperazione, che prende il posto della riconciliazione. Questa disperazione è una riconciliazione realizzata in modo unilaterale; si getta via un lato, si tiene fermo solamente l'altro e non si guadagna la vera pace. O lo spirito scisso in sé stesso rigetta l'istanza dell'intelligenza e vuole ritornare al sentimento religioso ingenuo. Questo può però avvenire solo se si fa violenza, perché l'autonomia della coscienza reclama soddisfazione e non si lascia respingere violentemente, né lo spirito sano può rinunciare al pensiero autonomo. Il sentimento religioso diventa nostalgia, finzione, e conserva il momento della insoddisfazione. Oppure si dà l'altro tipo di unilateralità, l'indifferenza religiosa; si lascia da parte la religione, la si abbandona a sé stessa oppure la si combatte. Questa è la consequenzialità logica di anime superficiali [...].

Ciò che ai tempi nostri sta contro la religione è la mancata riconciliazione con lei della conoscenza. Tra religione e conoscenza vi è ancora una parete divisoria. Il pensiero non vuole arrischiarsi nella seria considerazione della religione e prendere per essa un interesse fondamentale. La filosofia della religione ha il compito di far scomparire questa lacerazione, questo ostacolo; d'altra parte deve dare alla religione il coraggio della conoscenza, il coraggio della verità e della libertà.

 

(G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, Laterza, Bari, 1983, vol. I, pagg. 22-27)