Secondo
G. W. F. Hegel il prorompere della dimensione immanente, del mondo terreno,
l’emergere dell’individuo, la centralità della politica e il rafforzamento
dello Stato sono alcune delle caratteristiche del Rinascimento, che è l’epoca
della soggettività che si “riconcilia” con il mondo. E si tratta di un mondo
“reale” e “presente”, non di un “al di là” che deve venire: ripartendo da sé e
dalla propria spiritualità, il soggetto scopre la spiritualità della natura e, in
genere, del mondo che lo circonda.
G. W.
F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, II, 2, Firenze, 1934,
vol. III, pagg. 196-199
Questo
è il rivolgimento che ebbe luogo nello spirito dei tempi: lo spirito abbandona
il mondo intellettuale e si ferma ora a guardare anche il suo mondo presente,
l’al di qua. Il cielo finito, il contenuto reso irreligioso lo spinse verso il
presente finito. Con questa conversione decade e si perde la filosofia
Scolastica, i cui pensieri stanno rivolti al di là del reale. Mentre finora la
Chiesa credeva di essere in possesso della verità divina, ora il reggimento
secolare, com’ebbe in sé ricevuto l’ordine e il diritto e si fu educato alla
dura disciplina della servitú, sentí d’essere istituito da Dio, di aver quindi
qui presente il divino, e di esser giustificato per sé di fronte al divino
della Chiesa, che doveva escludere da sé i laici. Siccome in tal modo il potere
secolare, la vita mondana, l’autocoscienza, ha accolto in sé il superiore
principio divino della Chiesa, la recisa opposizione è finita. La potenza della
Chiesa apparve come la rozzezza della Chiesa, poiché questa non deve operare
secondo la realtà, ma deve essere potente nello spirito. Sorse subito nel
laicato la coscienza del riempimento dei concetti astratti con la realtà del
presente, di modo che questa non era piú in se stessa il nulla, ma anche in se
stessa aveva verità.
Con
ciò si connettono poi il commercio e le arti. Nelle arti accade che l’uomo
produce da sé il divino. Poiché ora quegli artisti erano appunto tanto pii da
avere per loro principio come individui la rinuncia alla loro individualità,
cosí essi furon quelli dalle cui facoltà soggettive sorsero queste opere. Con
questo si collega che il secolo si sentisse in tal modo autorizzato ad attenersi
a determinazioni fondate sulla libertà soggettiva. Nell’industria e nel
commercio l’individuo non può far assegnamento che sulla propria attività, e
chi produce è lui: in tal guisa gli uomini pervennero a sapersi liberi, a far
riconoscere la loro libertà, ad aver la forza d’operare per i proprî interessi
e fini. Cosí lo spirito ritornò a sé, si raccolse nuovamente, e si affisò tanto
alle proprie mani quanto alla propria ragione. Questa Rinascita si suole
designarla come rinascimento delle arti e delle scienze, che attendono
alla materia presente: è l’età in cui
lo spirito acquista fiducia in se stesso e nella propria esistenza, e trova il
suo interesse nel suo presente. Esso è riconciliato in verità col mondo, non in
sé, al di là, nel vuoto pensiero, nel giorno del giudizio, in cui il mondo sarà
assunto nella gloria celeste, cioè quando non sarà piú realtà; ora s’ha a che
fare col mondo reale, non piú col mondo annichilito. L’uomo, spinto a indagare
che cosa fosse eticità, diritto, non li poté piú trovare dove li aveva cercati
finora, ma si guardò attorno per cercarli altrove. Il punto, cui fu indotto a
rivolgersi, fu lui stesso, il suo interno, e la sua natura esteriore:
nell’osservare la natura, lo spirito si sente, in sostanza, presente in lei.
Grande
Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI,
pagg. 150–151