La Natura, con la sua
indifferenza - e anche con la sua miseria (“solo cespugli deformi, muschi, un
terreno rivestito di un'erba miserevole ed addirittura spoglio”) - esalta, agli
occhi di Hegel, la volontà dell'uomo che cerca di strapparle ciò che può essere
a lui utile e non si arrende di fronte alla sua forza cieca.
G. W. F. Hegel, Diario di
viaggio sulle Alpi bernesi
A partire da Guttanen la strada
si fa sempre piú selvaggia, deserta, monotona. Da entrambi i lati non si hanno
che rocce ruvide e tristi. Talora si scorgono vette coperte di neve. Il
terreno, che è piú piatto e a tratti forma una valle, è interamente disseminato
di enormi blocchi di granito. La Aar forma alcune superbe cascate che
precipitano con una forza terribile. Su di una di queste si slancia un audace
ponte, passando sul quale si è completamente bagnati dall'acqua nebulizzata.
Qui uno può scorgere da vicino il possente infuriare delle onde contro le
rocce, chiedendosi come possano sostenere una furia simile. Da nessun'altra
parte uno può farsi un concetto altrettanto puro della necessità della natura
se non osservando l'eterno infuriare, privo di effetti, eppur sempre ripetuto,
di un'onda lanciata contro simili rocce! e tuttavia si vede che i loro angoli
acuti a poco a poco sono stati arrotondati. Inoltre si vede come la vegetazione
subisca sempre piú la maledizione di una natura priva di calore e di forza. Non
si incontrano piú abeti, ma solo cespugli deformi, muschi, un terreno rivestito
di un'erba miserevole ed addirittura spoglio, pochi tronchi di larici e cembri;
nei dintorni crescono molte genziane. Le radici di queste piante vengono
raccolte da una famiglia per distillarne il liquore. Questa famiglia trascorre qui
l'estate in completo isolamento dagli uomini ed ha costruito la propria
distilleria sotto blocchi turriformi di granito, che la natura ha gettato senza
scopo l'uno sull'altro, ma la cui posizione casuale gli uomini hanno saputo
sfruttare. Dubito che anche il teologo piú credulo oserebbe qui, su
questi monti in genere, attribuire alla natura stessa di proporsi lo scopo
dell'utilità per l'uomo, che deve invece rubarle quel poco, quella miseria
che può utilizzare, che non è mai sicuro di non essere schiacciato da pietre o
da valanghe durante i suoi miseri furti, mentre sottrae una manciata d'erba, o
di non aver distrutta in una notte la faticosa opera delle sue mani, la sua
povera capanna e la stalla delle mucche. In questi deserti solitari gli uomini
colti avrebbero forse inventato tutte le altre scienze e teorie, ma
difficilmente quella parte della fisico-teologia che dimostra all'orgoglio
dell'uomo come la natura ha preparato ogni cosa per il suo godimento e il suo
benessere; un orgoglio che al tempo stesso caratterizza la nostra epoca,
in quanto trova il suo appagamento piú nella rappresentazione per cui tutto è
stato fatto per esso da un'entità estranea che non nella coscienza per cui è
propriamente egli stesso che ha attribuito alla natura tutti questi scopi. Pure
gli abitanti di questi luoghi vivono nel sentimento della loro dipendenza dalla
forza della natura e ciò conferisce loro una quieta rassegnazione rispetto ai
suoi scatenamenti distruttivi. Se la loro capanna è distrutta, o sepolta da una
slavina, o spazzata via, ne costruiscono un'altra nello stesso posto o nei
pressi. Anche se spesso su un sentiero gli uomini sono stati colpiti da una
caduta di massi, continuano tranquillamente a percorrerlo, diversamente dagli
abitanti delle città che solitamente trovano distrutti i propri scopi solo
dalla loro stessa insipienza o dalla cattiva volontà altrui e diventano perciò
intolleranti e impazienti anche quando provano infine la forza della natura e
quindi hanno bisogno di conforto e lo trovano, ad esempio, nelle chiacchiere
che dimostrano loro che anche una sventura può forse riuscir loro vantaggiosa,
perché non possono sollevarsi al punto da abbandonare il proprio utile. Esigere
che rinuncino ad essere in qualche modo risarciti vorrebbe dire derubarli
del loro dio.
[...] Né l'occhio, né
l'immaginazione su questi massi informi trovano un punto su cui quello possa
sostare con piacere o quella possa trovare un'occupazione o uno spunto per il
suo libero gioco. Solo il mineralogista trova materia per rischiare avventate
congetture circa le rivoluzioni di queste montagne. La ragione nel pensiero
della durata di queste montagne, o nel tipo di sublimità che si ascrive loro,
non trova nulla che le si imponga e strappi stupore e meraviglia. La vista di
questi massi eternamente morti a me non ha offerto altro che la monotona
rappresentazione, alla lunga noiosa, del: è cosí.
(G. W. F. Hegel, Viaggio nelle
Alpi bernesi, Ibis, Como-Pavia, 1990, pagg. 54-57)