Hegel, Lo Stato nella storia

Lo Stato è l’unità della volontà soggettiva e di quella universale, è la totalità etica e, in quanto oggetto della volontà, non potrà mai essere considerato un mezzo, bensì un fine della razionalità umana che vuole la libertà. Lo Stato è la sintesi somma di un popolo libero: il carattere universale dello Stato è pur rispettando tutte le determinazioni particolari è trasforma una molteplicità di individui in “popolo”. Il popolo è un individuo spirituale e ha un suo proprio spirito.

 

G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, II, 3

 

Ma la volontà soggettiva ha pure, come si è mostrato, una vita sostanziale, una realtà nell’àmbito della quale essa si muove nell’essenziale, ed ha questo stesso come scopo della sua esistenza. Ora, questo essenziale, l’unità della volontà soggettiva con quella universale, è la totalità etica e, nella sua forma concreta, lo Stato. Quest’ultimo è la realtà in cui l’individuo ha e gode la sua libertà, in quanto però esso individuo è scienza, fede e volontà dell’universale. Cosí lo Stato è il centro degli altri aspetti concreti della vita, cioè del diritto, dell’arte, dei costumi, delle comodità. Nello stato la libertà è realizzata oggettivamente e positivamente. Ciò però non è da intendere nel senso che la volontà soggettiva del singolo si attui e soddisfi mercé la volontà universale, e che quindi quest’ultima sia per essa un mezzo. Lo stato non è neppure una convivenza degli uomini, in cui debba esser limitata la libertà di ogni singolo. La libertà è concepita solo negativamente, quando la s’immagina come se il soggetto limitasse rispetto agli altri la sua libertà, in modo che questa limitazione collettiva, il vicendevole impacciarsi di tutti, lasciasse a ciascuno il piccolo posto in cui potersi muovere. Sono piuttosto il diritto, la morale, lo Stato, e solo essi, la positiva realtà e soddisfazione della libertà. L’arbitrio del singolo non è, infatti, libertà. La libertà che vien limitata è l’arbitrio, concernente il momento particolare dei bisogni.

Solo nello Stato l’uomo ha esistenza razionale. Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fine, e quelli sono i suoi strumenti. Peraltro tale rapporto generale di fine a mezzo non è, in questo caso, rispondente. Lo Stato non è infatti una realtà astratta, che si contrapponga ai cittadini: bensí essi sono momenti come nella vita organica, in cui nessun membro è fine e nessuno è mezzo. L’elemento divino dello Stato è l’Idea, com’è presente sulla Terra [...].

Nella storia del mondo non si può trattare che di popoli i quali costituiscano uno Stato [...] L’Idea universale appare, si manifesta, nello Stato [...].

Noi concepiamo dunque un popolo come un individuo spirituale, e in esso mettiamo anzitutto in rilievo non il lato esteriore, ma ciò che è anche stato chiamato lo spirito del popolo, cioè la sua autocoscienza circa la propria verità e il proprio essere, circa ciò che, in generale, ha per esso valore di verità: le forze spirituali, che vivono in un popolo e lo governano. L’universale, che si manifesta e viene a coscienza nello Stato, la forma sotto cui vien ridotto tutto ciò che è, è ciò che costituisce in generale la cultura di una nazione [...].

Lo Stato è con ciò l’oggetto piú specificamente determinato della universale storia del mondo, quello in cui la libertà acquista la sua oggettività e vive nel godimento di essa. Giacché la legge è l’oggettività dello spirito e la volontà nella sua verità; e solo la volontà che ubbidisce alla legge è libera: ubbidisce infatti a sé stessa, è presso sé stessa, e dunque è libera. In quanto lo Stato, la patria, costituisce una comunità di esistenza, in quanto la volontà soggettiva degli uomini si sottomette alle leggi, il contrasto fra libertà e necessità vien meno. Ciò che è razionale è necessario in quanto è ciò che è sostanziale, e noi siamo liberi riconoscendolo come legge e seguendolo come la sostanza della nostra propria natura: ed ecco che volontà oggettiva e volontà soggettiva sono conciliate, e formano un unico complesso senza turbamento.

 

(G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1961, vol. I, pagg. 104-110)