L'unità della filosofia e la molteplicità
delle filosofie
Svolgimento, contraddizione e conciliazione
La lunga e
intensa attività di insegnamento che Hegel svolge a partire dal 1805 (e sino
alla sua morte, avvenuta nel 1831) nelle università di Jena, Heidelberg,
Berlino è direttamente testimoniata da alcune voluminose raccolte di Lezioni
(di storia della filosofia, di filosofia della storia, di estetica, di
filosofia della religione) ordinate e pubblicate dagli allievi dopo la morte
del maestro.
Di importanza
non secondaria rispetto ai saggi teoretici, questi corsi testimoniano l'attenzione
di Hegel per le diverse attività dello spirito e il suo impegno per ricostruire
la linearità storica che le governa. Un impianto storico domina infatti lo
studio hegeliano delle forme dell'arte, della religione, della filosofia: in
esse lo spirito si è venuto manifestando nel tempo, esprimendosi di volta in
volta nei prodotti artistici, nelle rappresentazioni religiose, nelle verità
fìlosofìche.
Come già la
Fenomenologia dello spinto e l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, anche le
lezioni universitarie e in particolare quelle di storia della filosofia (in cui
esplicitamente è affrontato il tema della storicità della ragione filosofica)
assumono la dialettica come forma dello svolgersi del cammino dello spirito
verso la propria autocoscienza.
Nelle lezioni di
storia della filosofia Hegel ricostruisce il cammino che la verità ha percorso
per conoscere se stessa. La storia della filosofia è, infatti, per Hegel una
progressiva manifestazione della verità: le molteplici filosofie storiche sono
momenti necessari, tappe successive dello svolgersi della verità nel corso del
tempo: tale svolgimento ha il suo pieno compimento nel momento - che Hegel
identifica con l'idealismo - in cui la verità raggiunge la propria
autocoscienza, si riconosce nel percorso storico compiuto, ritrova se stessa
nelle diverse forme storiche che ha via via assunto nel tempo, vede in tale
percorso un'unità coerente, un ordine necessario.
In polemica con
i tradizionali sistemi filosofici che attribuiscono solo a se stessi la verità
e respingono le precedenti dottrine, giudicandole false, erronee, Hegel
attribuisce verità assoluta all'intero svolgimento storico dell'idea
filosofica; nella pluralità dei sistemi non si deve vedere opposizione
insondabile, ma lo sviluppo dialettico della verità che si manifesta in diversi
tempi e momenti: tutte le filosofie sono dunque nella verità in quanto ciascuna
di esse è un momento della verità, è la «verità del tempo».
Il succedersi
dei sistemi filosofici non è casuale, né arbitrario: ogni filosofia costituisce
un momento necessario del cammino dell'idea verso la consapevolezza di sé: alla
verità assoluta il pensiero giunge solo dopo aver ripercorso le tappe del suo
divenire storico, riconoscendo ciascuna di esse come «grado», «momento», «parte»
di sé. Liberate dalla loro parzialità e conservate nella filosofia, ciascuna
con un posto preciso e una funzione necessaria, le singole determinazioni
storiche dell'idea esprimono l'ordine sistematico della filosofia stessa.
Compito dello
storico della filosofia sarà allora ripercorrere l'itinerario seguito dall'idea
filosofica nel raggiungere la conoscenza di sé e individuare nei momenti della
sua storia uno sviluppo necessario e razionale: la filosofia non è che questa
ricostruzione del-la storia del pensiero; essa coincide dunque con la storia
della filosofia.
In occasione
dell'apertura del corso accademico dell'anno 1816, dedicato al concetto di
storia della filosofia, Hegel illustra agli studenti dell'Università di
Heidelberg i motivi del rinnovato interesse della cultura tedesca per la storia
della filosofia: «noi riteniamo -spiega nel discorso inaugurale - che questo
sia il compito cui ci chiama lo spirito più profondo della nostra epoca:
opporci a questa superficialità, cooperare con la serietà e l'onestà che sono
proprie dei tedeschi, per trar fuori la filosofia dal deserto in cui si è
rifugiata. Salutiamo l'aurora d'una più bella età, in cui lo spirito, sinora
trascinato verso l'esterno, possa ripiegarsi in sé e tornare a se stesso e
conquistarsi spazio e terreno per il suo regno particolare, dove gli animi si
possano sollevare sopra gli interessi d'ogni giorno e divengano sensibili al
vero, all'eterno, al divino e capaci di contemplare e intendere le cose più
alte».
Ora che lo
spirito perviene alla propria autocoscienza e la storia della filosofia giunge
al proprio compimento, il filosofo può ripensare la molteplicità delle
filosofie storiche, ritrovando in esse la linearità e razionalità che ne
determinano lo svolgersi. La filosofia si fa storia della filosofia;
l'insegnamento filosofico di Hegel si ripropone come insegnamento storico
della filosofia.
«E essenziale
alla natura dell'idea lo svolgersi, il comprendere se stessa»
E senz'altro un fatto indiscutibile che vi furono e vi sono molte filosofie; ma la verità tuttavia è una sola e l'istinto della ragione mantiene questa fede o questo sentimento invincibile. «In tal caso soltanto una filosofia dev'essere la vera e poiché le filosofie sono così diverse, tutte le altre - si conclude - devono essere false; sennonché ognuna di esse assicura, sostiene e dimostra di essere la vera.» Questo è il solito ragionamento ed è una concezione apparentemente giusta, propria di chi ragiona freddamente col buon senso[1]. Ma, quanto a questa freddezza e sobrietà di pensiero, per usare una espressione corrente, sappiamo dall'esperienza quotidiana riguardo alla sobrietà del mangiare che, quando siamo sobri, sentiamo contemporaneamente o subito dopo la fame. Invece quel freddo pensare ha il talento e l'abilità di condurre non alla fame, al desiderio, bensì ad essere e rimaner sazio di se stesso. Ma allora questo pensiero, che ragiona in tal modo, non è altro che morto intelletto: giacché soltanto ciò che è morto può essere digiuno ed insieme essere e rimanere sazio. Al contrario la vitalità fisica, come quella spirituale, non rimane soddisfatta del digiuno, bensì sente lo stimolo di giungere, attraverso la fame e la sete, alla verità, alla conoscenza di essa, e aspira a soddisfare questo stimolo, né si lascia quietare e saziare da riflessioni simili a quella suddetta.
Per esaminare poi più precisamente queste riflessioni, si può subito notare che, per quanto le filosofie siano così diverse, tuttavia hanno pur sempre questo in comune, di esser filosofie. Perciò chi ha studiato e compreso una filosofia, se pur questa è solo una delle filosofie, ha tuttavia con ciò compreso la filosofia. Quel pretesto e quel ragionamento, che guardano solo alla diversità, per il disgusto e la paura del particolare, in cui in realtà esiste l'univer-sale, non vogliono comprendere e riconoscere questa universalità[2]. Altrove ho paragonato questo ragionamento ad un ammalato, a cui il medico abbia consigliato di mangiar frutta e che abbia davanti a sé ciliege o prugne o uva, ma che per pedanteria intellettualistica rifiuti di prenderle, perché esse non sono «frutta», ma ciliege, prugne o uva.
Ma occorre invece essenzialmente avere un concetto più profondo di ciò
che sia questa diversità dei sistemi filosofici. La conoscenza filosofica di
ciò che sono la verità e la filosofia ci fa riconoscere che questa diversità
riveste un significato ben diverso da quel-lo di un'opposizione astratta tra la
verità e l'errore. Le mie spiegazioni su questo punto ci sveleranno il significato
dell'intera storia della filosofia. Mi propongo di mostrare che questa
molteplicità di diverse filosofie non solo non pregiudica la filosofia stessa,
cioè la possibilità della filosofia, ma che anzi essa sia e sia stata assolutamente
necessaria all'esistenza della scienza della filosofia e che è ad essa
essenziale[3].
Certo in questa
considerazione noi partiamo dal presupposto che la filosofia, pensando la
verità, abbia lo scopo di comprenderla concettualmente e non di constatare che
non v'è nulla da cono-scere, o anche che non è possibile conoscere l'autentica
verità ma soltanto una verità transitoria, finita (cioè una verità che è al tempo
stesso non vera[4]); inoltre partiamo dal presupposto che nella
storia della filosofia abbiamo a che fare con la filosofia stessa. Possiamo
comprendere tutto ciò che riguarda questo punto nell'unica idea dello
«sviluppo». Se essa ci sarà chiara, tutto il resto non sarà che una conseguenza
e un risultato di quell'idea. Giacché i fatti che costituiscono la storia della
filosofia non sono avventure, allo stesso modo che la storia universale non è
un romanzo; non sono una collezione di fatti contingenti, di viaggi di
cavalieri erranti, che vadano intorno per conto proprio e si affatichino senza
scopo e la cui attività non lasci alcuna traccia. E neppure nella filosofia uno
ha escogitato arbitrariamente una cosa, un altro un'altra, ma vi è una
connessione essenziale nel movimento dello spirito pensante ed esso procede
razionalmente[5]. Con questa fede nello spirito universale
dobbiamo avvicinarci alla storia e in particolare alla storia della filosofia.
L'affermazione
suddetta che la verità è soltanto una è stata sinora astratta e formale. E, in
senso più profondo, il riconoscimento di quest'unica verità è il punto di
partenza e lo scopo della filosofia. Ma essa va riconosciuta al tempo stesso
come la fonte da cui deriva tutto il resto, tutte le leggi di natura, tutte le
manifestazioni della vita e della coscienza, di cui esse sono solo il riflesso;
oppure, con procedimento in apparenza opposto, nel ricondurre tutte queste
leggi a quell'unica fonte, ma per comprenderle in vista di essa, cioè per
comprendere come siano derivate da essa[6]. L'essenziale è dunque il riconoscere che la
verità unica non è un pensiero semplice e vuoto, bensì è un pensiero in sé
determinato. Per raggiungere questa conoscenza, dobbiamo occuparci di alcuni
concetti astratti, che sono quindi generici e aridi: essi sono i due concetti
di svolgimento e di concreto. Il prodotto del pensare è il pensato in generale;
mentre il pensiero è formale, il concetto è il pensiero più determinato e infine
l'idea è il pensiero nella sua totalità[7] e nella sua determinazione in sé e per sé.
Quindi l'idea è il vero e solo il vero. Ora, è essenziale alla natura dell'idea
lo svol-gersi, il comprendere se stessa solo attraverso lo sviluppo e i
divenire così ciò che essa è.
Il concetto di
svolgimento è ben noto, ma è proprio una caratteristica della filosofia di investigare
ciò che il senso comune ritiene noto. Giacché ciò che si maneggia e si adopera
senza riflettere, ciò di cui ci si serve nella vita, è proprio l'ignoto per chi
non ha cultura filosofica. La discussione più particolareggiata di questi
concetti appartiene alla scienza logica. Che infatti l'Idea debba diventare
soltanto ciò che essa è, sembra a prima vista una contraddizione; e si potrebbe
dire che essa è ciò che è. Ma per comprendere che cosa sia lo svolgimento,
bisogna distinguere, per così dire, due stati diversi. Il primo è ciò che si indica
generalmente come attitudine, capacità, l'essere in sé (come io lo chiamo), potentia,
dynamis. Il secondo momento è l'esser per sé, l'effettualità (actus, enérgheia)[8]. Se ad esempio diciamo che l'uomo è per natura un essere ragionevole,
vogliamo dire ch'egli possiede la ragione in potenza, in germe. In tal senso
l'uomo possiede ragione, intelletto, fantasia, volontà sin da quando nasce,
anzi già in grembo alla madre. Ma, poiché il bambino, per quanto sia un uomo in
potenza, possiede solo l'attitudine e la possibilità reale del la ragione, è
come se non avesse ragione; la ragione non esiste ancora in lui, poiché egli
non può ancor compiere nulla di razionale ed è privo di coscienza razionale.
Solo quando l'uomo diventa per sé, l'uomo acquista al riguardo un'autentica
realtà, è realmente razionale ed è solo per la ragione.
E, più
precisamente, che cosa significa ciò? Ciò che è in sé deve diventare oggetto
per l'uomo, deve giungere alla sua coscienza; così diviene per l'uomo[9]. Ciò che è diventato oggetto per l'uomo è
proprio ciò che egli è in sé. Soltanto attraverso questo processo l'uomo
diventa per sé, si sdoppia, pur rimanendo se stesso e non diventando un altro.
Così l'uomo è
pensante quando pensa il suo pensiero; in tal modo l'oggetto del pensiero è il
pensiero stesso, così la razionalità pro duce il razionale, la ragione è
oggetto di se stessa. (Che poi il pensare possa degradarsi fino ad essere
irrazionale, ciò è cosa che qui non ci riguarda.) Può sembrare che l'uomo, in
sé ragionevole, divenendo ragionevole per sé non sia progredito affatto, dal
momento che non è aggiunto alcun contenuto nuovo: tuttavia questa forma
dell'esser per sé costituisce una differenza enorme. Su questa differenza si
basa ogni distinzione che si presenta alla storia universale. Ad esempio, pur
essendo tutti gli uomini ragionevoli per natura e pur essendo la libertà la
forma necessaria di questa razionalità, e benché questa sia la sua natura,
tuttavia è esistita ed in parte esiste ancora la schiavitù presso molti popoli
e questi popoli ne sono soddisfatti. Così l'unica differenza tra i popoli africani
e asiatici da un lato e i greci, i romani, i moderni dall'altro risiede nel
solo fatto che questi sanno di essere liberi per sé e lo sono, mentre quelli,
per quanto lo siano, non lo sanno e quindi non vivono in libertà. Ciò
costituisce l'immensa differenza delle loro relative condizioni. Ogni sapere,
ogni apprendere, ogni scienza ed anche la stessa azione non mira ad altro se
non a render espresso e manifesto ciò che è intimo ed in sé, e quindi
oggetti-varsi a sé.
L'in sé, quando entra nell'esistenza, passa bensì attraverso la variazione, ma rimane tuttavia uno e lo stesso perché è esso che re gola l'intero processo. Così la pianta non si perde puramente in una variazione infinita. Ciò si vede fin dal suo germe: in esso non si discerne ancor nulla, ma è presente in esso l'impulso a svilupparsi, giacché esso non può tollerare di esser soltanto in sé. Questo impulso infatti contiene una contraddizione, poiché è sol tanto in sé e non deve esserlo. Così l'impulso si estrinseca nell'esistenza. In tal modo vien fuori una molteplicità, che però era già interamente contenuta nel germe, se non in modo sviluppato, tuttavia implicitamente e idealmente. Mentre si compie questo estrinsecarsi, esso si pone uno scopo[10]. La sua più alta perfezione e il fine preordinato è infatti il frutto, cioè la produzione del seme, il ritorno allo stato primitivo. Il seme vuoi soltanto estrinsecare se stesso e tornare a sé. Esso esplica ciò che è in lui e poi ritorna nuovamente in se, stesso e si raccoglie di nuovo in quell'unità, da cui era sorto. E vero però che nell'ambito della natura si verifica che il soggetto che ha cominciato e l'esistenza finale (il seme e il frutto) sono due individualità separate; lo sdoppiamento ha il risultato apparente di scindersi in due individui, che però sono la stessa cosa quanto al loro contenuto. Così nella vita animale, genitore e figlio sono individui diversi, per quanto siano della stessa natura.
Invece, nella vita dello spirito, la cosa è diversa. Lo spirito è coscienza, libertà, perché in lui coincidono il principio e la fine. E bensì vero che anche lo spirito, come il germe nella natura, dopo essersi fatto un altro, si raccoglie nuovamente ad unità; ma in esso ciò che è in sé diventa per lo spirito ed egli diventa così per sé. Invece il frutto e il nuovo seme contenuto in esso non diventano per il germe primitivo, bensì soltanto per noi. Al contrario nello spirito non solo entrambi i momenti sono in sé la stessa natura, ma si verifica in essi un esser per l'altro e, appunto per questo, un esser per sé. Ciò per cui l'altro è, è uguale a quell'altro; solo così lo spirito è conciliato con sé nel suo altro[11]. Lo svolgimento dello spirito risiede dunque nel fatto che egli, mentre si estrinseca e si scinde, contemporaneamente torna a se stesso[12].
Questa conciliazione con sé dello spirito, questo suo tornare a se stesso può esser considerato come il suo scopo supremo ed assoluto: ciò soltanto egli vuole e null'altro. Tutto ciò che avviene, che avviene eternamente in cielo e sulla terra, la vita di Dio e tutto ciò che si compie nel tempo, tende soltanto allo scopo che lo spirito conosca se stesso, che faccia di sé il proprio oggetto, che di venti per se stesso, che si concili con sé. Egli è sdoppiamento, alienazione, ma solo al fine di poter trovar se stesso e di poter ritornare a sé. Solo questa è autentica libertà: giacché è libero so lo ciò che non si riferisce ad altro, né dipende da altro. E lo spirito, mentre torna a se stesso, ottiene appunto di esser libero, Solo qui vi è autentico possesso di se stesso, vera ed autentica convinzione: in ogni altra cosa che non sia pensiero lo spirito non raggiunge tale libertà. Infatti, ad esempio, nell'intenzione, nei sentimenti, io mi trovo determinato, non esisto liberamente, ma sono così, anche se ho la coscienza di questa mia sensazione. Anche nella volontà si hanno scopi determinati, interessi particolari. Io sono bensì libero, in quanto questi scopi, questi interessi sono i miei, ma questi scopi contengono sempre qualcosa d'altro o comunque qualcosa che è altro da me, come impulsi, inclinazioni ecc. Solo nel pensiero ogni cosa estranea diviene trasparente, si dilegua: lo spirito è qui libero in modo assoluto. In tal modo appare evidente l'interesse che presenta l'Idea e la filosofia[13].
Quanto allo
svolgimento, ci si può chiedere: che cosa si svolge? che cosa è il suo contenuto
assoluto? Giacché lo svolgimento si rappresenta in genere come un'attività formale,
senza contenuto. Ma l'azione non ha altra determinazione che l'attività: e il
carattere generale del contenuto già si determina attraverso essa. Poiché i
momenti dell'attività sono l'essere in sé e l'esser per sé: l'azione consiste
nel contenere in sé questi momenti distinti. L'atto è tuttavia essenzialmente
unico e proprio: questa unità dei due momenti differenti costituisce il
concreto[14]. Non soltanto l'azione è concreta, ma lo è
anche l'in sé, il soggetto dell'attività, quello che inizia: il prodotto è
altrettanto concreto quanto l'attività e il soggetto cominciarne. Il corso
dello svolgimento costituisce anche il contenuto, l'Idea stessa, la quale
appunto consiste nel fatto che v'è l'un opposto e v'è l'altro, ma entrambi sono
una cosa sola; essa è il terzo, poiché l'uno è nell'altro restando sempre in
sé, non fuori di sé.
E un comune
pregiudizio l'opinione che la scienza fìlosofica abbia soltanto a che fare con
astrazioni, con vuote generalità, mentre invece l'intuizione, la nostra
autocoscienza empirica, il sentimento di noi stessi, il senso della vita
sarebbero invece il concreto in sé, la ricchezza di ciò che è determinato in
sé. In realtà la filosofia vive nell'ambito del pensiero: essa quindi ha a che
fare con universalità: il suo contenuto è astratto, però solo secondo la forma,
secondo l'elemento; mentre invece l'Idea in se stessa è essenzialmente
concreta, poiché essa è l'unità di determinazioni differenti. Proprio in
questo la conoscenza razionale differisce dalla pura conoscenza
intellettualistica: ed è appunto compito della filosofia il dimostrare, contro
l'intelletto, che il vero e l'Idea non consistono in vuote generalità, bensì in
un universale, che è in se stesso il particolare, il determinato. Se il vero è
astratto, esso non è vero. La sana ragione umana, il buon senso, mira solo al
concreto; soltanto la riflessione dell'intelletto forma una teoria astratta,
priva di verità, giusta soltanto nel cervello ed inoltre impraticabile, la
filosofia è quanto mai nemica dell'astratto e riconduce al concreto[15].
L'Idea è in se stessa concreta nel suo contenuto ed è così concreta in sé, che è suo interesse render per lei ciò che essa è in sé. Se mettiamo in relazione il concetto del concreto con quello dello svolgimento, abbiamo il movimento del concreto. Essendo l'in sé già concreto in se stesso e poiché noi poniamo solo ciò che già esiste in sé, si aggiunge solo la nuova forma, per cui ora appare distinto ciò che prima era racchiuso nell'unità originaria[16]. Il concreto deve diventare per sé: esso è differente solo in sé, in quanto non è ancor posto come distinto, bensì è ancora nell'unità (e questa contraddice la distinzione). Il concreto è dunque semplice e insieme diverso. Questa sua contraddizione inferiore è proprio ciò che stimola allo svolgimento. Attraverso essa la differenza giunge all'esistenza. Ma anche alla differenza vien riconosciuto il suo diritto. Esso consiste nell'esser riassorbita e quindi superata: poiché la sua verità è solo d'essere nell'unità. Questa è la vitalità, tanto quella naturale quanto quella dell'Idea, dello spirito in sé. Se l'idea fosse astratta (come invece non è), essa sarebbe soltanto l'essenza suprema, della quale non si può dire null'altro; ma questo Dio è un prodotto dell'intellettualismo del mondo moderno. Il vero Dio è invece movimento, processo, ma contemporaneamente quiete. La differenza consiste solo nel fatto che è il passaggio alla piena, concreta unità.
Per chiarire ulteriormente questo concetto del concreto, possiamo citare come esempi oggetti sensibili[17]. Il fiore, per quanto abbia molte qualità, come profumo, sapore, forma, colore ecc., è tuttavia un'unità; nessuna di queste qualità può mancare neppure in un petalo del fiore: e ogni parte di questo petalo possiede tutte le peculiarità dell'intero petalo. Così l'oro in ogni suo punto ha indivise e non disgiunte le sue proprietà. Nell'ambito del sensibile si ammette facilmente che elementi diversi coesistano insieme; invece nel mondo spirituale il differente si considera di preferenza come l'opposto. Infatti non troviamo contraddittorio, ne ci meravigliamo che l'odore e il sapore del fiore, per quanto diversi l'uno dall'altro, siano tuttavia senz'alerò in un'unità, ne li contrapponiamo l'uno all'altro. Solo l'intelletto invece e il ragionamento intellettualistico trovano inconciliabili due elementi diversi, ad esempio che la materia sia composta e contemporaneamente unita, o che lo spazio sia continuo ed insieme interrotto. La materia è composta di parti, la si può anche spezzare e si può continuare a dividerla all'infinito; in tal caso si dice che la materia è composta di atomi e di punti e che quindi non è continua. Cosi si Hanno le due determinazioni in una sola cosa (la continuità e la suddivisione in punti) e l'intelletto li ritiene escludentisi reciprocamente: «o la materia è del tutto continua o è divisibile m punti». Essa invece possiede entrambe le determinazioni. Altrettanto noi sogliamo dire dell'uomo che esso ha libertà; ma esiste anche l'altra determinazione, la necessità: «Ma se lo spirito è libero - obietta l'intelletto - non è soggetto alla necessità e, viceversa, se il suo volere e il suo pensare soggiacciono alla necessità, allora non è libero; l'uno esclude l'altro». Così le differenze vengono considerate come se Luna escludesse l'altra e non come costituenti una realtà concreta: ma invece la verità, lo spinto, e concreto e le sue determinazioni sono la libertà e la necessita. V'è infatti una concezione più alta, che ci dice che lo spirito è libero nella sua necessità, e che solo in essa trova la sua libertà, come la sua necessità riposa solo nella sua libertà. Ma cosi ci riesce più difficile il porre l'unità che non nelle cose naturali. La libertà può bensì essere astratta e priva di necessità: ma siffatta libertà è l'arbitrio: e quindi è l'opposto della libertà, è anzi un inconscia servitù, una vuota opinione di libertà, è la libertà puramente formale.
Il terzo momento, il frutto dello svolgimento, è il risultato del movimento; ma, in quanto è risultato di un dato grado di sviluppò, così è come l'ultimo di questi gradi, e insieme è il punto di partenza e il primo termine di un altro grado di sviluppo. Goethe dice giustamente in qualche luogo: «ciò che è formato diventa sempre nuovamente materia». La materia, che è già stata plasmata e possiede una forma, diventa materia per una nuova forma. Lo spirito si ripiega su se stesso e si rende oggetto a se stesso e la direzione del suo pensiero sopra di sé gli da la forma e la determinazione del pensiero. Il concetto in cui lo spirito si è compreso e che è la sua stessa natura, questa sua formazione, questo suo essere, nuovamente separato da lui, egli se lo rende ancora proprio oggetto e dirige nuovamente verso esso la sua attività. Così questo movimento, in quanto è concreto, forma una serie di svolgimenti, che non deve essere concepita come una linea retta diretta verso un infinito astratto, bensì come un circolo che ritorna su di sé. Questo circolo* ha alla sua periferia una grande quan-tità di circoli, il cui insieme costituisce una grande serie di svolgimenti, che si volgono su se stessi.
[18]Dopo aver spiegato e illustrato così in generale la natura del concreto, aggiungo quanto al suo significato che il vero, così determinato in se stesso, ha la tendenza di svilupparsi. Soltanto ciò che è vivo, ciò che è spirituale si muove in se stesso, si sviluppa. Perciò l'Idea, in quanto è concreta e si svolge in se stessa, è un sistema organico, una totalità, che contiene in sé molti gradi e momenti.
La filosofia è appunto per sé la conoscenza di questo svolgimento e, in quanto è pensiero concettuale, è essa stessa questo svolgimento pensante: quanto più questo svolgimento è rigoroso, tanto più perfetta è la filosofia.
Inoltre questo sviluppo non è diretto verso l'esterno, nell'esteriorità, ma, mentre si esplica, si rivolge verso l'interno: cioè l'Idea universale rimane come base e come ciò che tutto abbraccia ed è immutabile. Poiché l'estrinsecarsi dell'idea filosofica nel suo sviluppo non è un mutarsi, non è un diventar altro, bensì è, invece, un internarsi, un approfondire se stessa: perciò questo progresso rende l'Idea, che era generica e indeterminata, più determinata in se stessa. L'ulteriore svolgimento non è dispersione ne dissoluzione, bensì è, invece, coesione, la quale è tanto più potente ed intensa quanto più l'estensione, ciò che si riunisce insieme, è più ricca e più vasta. Queste sono le proposizioni astratte intorno alla natura dell'Idea e del suo svolgimento. Così la filosofia, che si è formata, è costituita in lei stessa: essa è un'unica idea nel tutto e in tutti i suoi mèmbri, proprio come nell'individuo vivente: v'è una sola vita e un solo polso che batte. Tutte le sue parti e la loro sistemazione provengono solo da quest'idea unica; tutti questi particolari sono soltanto riflesso e immagine di questa unica vitalità. Solo in questa unità essi sono reali e le loro differenze e le loro diverse qualità sono solo espressione dell'Idea, son solo la forma in essa contenuta. In tal modo l'Idea è il punto centrale, che è insieme la periferia, la sorgente luminosa, che in ogni espansione non esce mai da se stessa, ma resta sempre presente ed immanente in se stessa: perciò essa è il sistema della necessità, o meglio, della sua caratteristica necessità, che è insieme la sua libertà. Così la filosofia è sistema in svolgimento e altrettanto la storia della filosofia: questo è il punto fondamentale, è il concetto fondamentale, che la presente trattazione di questa stona metterà i in luce.
G.W.F. Hegel, Introduzione alla storia della filosofia, pp.
54-67, tr. di A. Plebe, Laterza, Bari 1987
«Lo svolgimento dello spinto risiede nel fatto che, mentre si
estrinseca e scinde, torna a se stesso»
Al fine di illustrare la natura dialettica della filosofìa, Hegel
presenta, nella sua Introduzione, le nozioni di «svolgimento» e di
«concreto». Di tali nozioni egli dapprima dà una definizione teorica; successivamente
mostra l'intreccio delle due nozioni nella vita dell'idea e della filosofia. Riprendendo
da più punti di vista i temi dello svolgimento e della concretezza, Hegel
fornisce sia un'analitica presentazione dei momenti e della natura della
dialettica, sia una convincente dimostrazione della natura dialettica della
filosofia.
La filosofia, se vuole adempiere al compito di cogliere l'intima unità
del reale, deve assumere forma dialettica, superare l'apparente isolamento e
staticità delle singole determinazioni, svelare il dinamismo che caratterizza
il movimento interno al reale e al pensiero (in quanto pensa la realtà).
Per cogliere la natura dialettica del reale è dunque necessario superare
il primo momento in cui l'intelletto pone le singole determinazioni e le lascia
sussistere come isolate, limitandosi a contrapporle nella forma dell'opposizione;
è necessario infatti superare questo primo momento e collocare ciascuna
determinazione entro il movimento dialettico che caratterizza pensiero e
realtà.
Molla di questo processo e della comprensione dialettica di ciascun
momento è la contraddizione. Ogni ente si definisce infatti per opposizione a
ciò che esso è; la negazione di sé svela la natura intima di ogni ente: nel
rapporto con la propria alterità ciascuna determinazione svela la sua natura in
quanto l'altro costituisce il limite che definisce e determina (anche in senso
etimologico: de-fìnisce, de-termina) qualcosa nella sua forma logica e reale.
La ragione filosofica deve dunque dissolvere ogni determinazione finita
nella sua alterità, inserendola così nel sistema della totalità: il secondo
momento della dialettica è quello della contraddizione, in forza della quale la
ragione supera l'isolamento in cui l'intelletto aveva posto ogni determinazione
e avvia al terzo momento dello svolgimento, quello speculativo, in cui la
determinazione iniziale, negata nella sua unilateralità, non viene solo tolta,
ma anzi superata, conciliata nella sintesi conclusiva.
Illustra la nozione di svolgimento presentata da Hegel. Ricorda, a tale
scopo, come egli richiami la distinzione aristotelica tra potenza e atto che
ndefinisce con i binomi: «in sé» - «per sé»; «inconsapevole» -«cosciente»:
«intimo» - «espresso».
Riprendendo la distinzione hegeliana tra intelletto e ragione illustra
le nozioni di «astratto» e «concreto» e spiega perché l'intelletto non sia in
grado di cogliere la verità filosofica.
Ricostruisci il movimento dialettico dell'idea indicando: a) quali ne sono i momenti; b) quale ruolo vi svolge la «contraddizione»; c)
quale ne è il «risultato»; d) perché tale movimento può essere paragonato a un
circolo.
«La molteplicità di diverse filosofie è assolutamente necessaria alla
filosofia»
Affermandosi depositarla della verità, ciascuna filosofia si contrappone
alle altre, cui nega valore di verità e, di conseguenza, dignità filosofica.
Contro tale modo tradizionale di intendere il rapporto tra filosofia e verità,
tra filosofia e filosofie, Hegel presenta alcune considerazioni preliminari
sulla «diversità delle filosofie» dichiarando che tale pluralismo non solo non
pregiudica la filosofia, ma anzi, le è essenziale, necessario. Riprendendo la
distinzione tra conoscenza intellettiva (che isola le determinazioni dal
processo entro cui sono inserite cogliendone solo l'astratta staticità) e
conoscenza razionale (che mette in luce l'interno, concreto dinamismo delle determinazioni
del processo), Hegel pone la nozione di sviluppo in stretta connessione con
quella di concreto e presenta la filosofia come svolgimento dell'idea nel
concreto, nelle diverse determinazioni storiche. Il suo obiettivo è
salvaguardare come fattore positivo il pluralismo delle filosofie, mostrando
come ciascuna filosofia non sia che un momento storico, necessario del processo
di svolgimento dell'idea verso la conoscenza di sé.
1.
«Un concetto più
profondo di ciò che sia questa diversità». Illustra il differente significato
che la tradizione (da una parte) ed Hegel (dall'altra) attribuiscono alla
nozione di «diversità» e in relazione ad essa, alla molteplicità dei sistemi
filosofici.
2.
«Il vero ha la
tendenza a svilupparsi». Illustra la nozione di verità che Hegel pone alla base
della sua concezione della filosofia e dei suoi molteplici momenti storici; in
particolare, servendoti delle nozioni di «svolgimento» e «concreto», spiega
perché la verità sia «una» mentre le filosofie siano molteplici.
3.
«La filosofia è
sistema in svolgimento e altrettanto la storia della filosofia». Ricostruisci
l'intero ragionamento con cui Hegel giunge ad affermare l'identità di filosofia
e storia della filosofia.
[1] Prima di introdurre il proprio punto di vista riguardo alla diversità delle filosofie, Hegel richiama qui una apparente contraddizione: poiché la verità è una, come possono esservi molteplici filosofie, ciascuna delle quali rivendica a sé la verità? La contraddizione, spiega Hegel, è apparente; tale modo di ragionare (già condannato da Hegel nella Prefazione alla fenomenologia dello spinto) è tipico di quei filosofi che si affermano depositari della verità e respingono le filosofie dei predecessori ritenendole tutte erronee; nella diversità essi vedono solo contrapposizione tra singolarità isolate anziché momenti di un unico processo, gradi dello svolgersi di un'unica verità, Se si abbandona questa prospettiva che tende ad astrarre, isolare (tipica dell'intelletto) e si assume invece la prospettiva razionale, che mira a trovare nella molteplicità il movimento dialettico di un unico svolgersi della verità, pluralità delle filosofie e unicità della verità cessano di apparire come nozioni contraddittorie, incompatibili,
[2] Ciascun momento storico della filosofia è pur sempre filosofia in quanto esprime in forma particolare e in un determinato momento dello sviluppo storico, l'universale,
[3] Alla luce della concezione positiva della diversità dei sistemi filosofici, Hegel intende evidenziare la dimensione storica della filosofia: nel pluralismo delle filosofie si esprime la storicità della verità, Compito dello storico della filosofia sarà dunque ricostruirne lo sviluppo mettendone in luce la razionalità e la necessità, Se ciascun sistema filosofico partecipa della verità esprimendo un momento della verità stessa (la verità del proprio tempo), la filosofia assoluta, intesa come sviluppo dei sistemi filosofici, esprime la verità assoluta,
[4] Il fine dello studio storico della filosofia è la comprensione concettuale, cioè l'individuazione del processo globale di cui ciascun sistema filosofico è un momento storico (il concetto è, infatti, l'universale concreto, l'unità organica delle molteplici determinazioni particolari); tale ricerca poggia sul rifiuto dello scetticismo (per il quale «non v'è nulla da conoscere») e di quelle filosofie tradizionali che pervengono a una conoscenza relativa, isolata o parziale; questa conoscenza non è verità, poiché vero è l'intero, il processo nell'unità organica dei suoi momenti,
[5] Lo svolgersi nel tempo della verità e della filosofia si rivela, a giudizio di Hegel, nella forma della connessione (cioè dell'intimo legame), del movimento (cioè del processo), della razionalità (cioè della necessità),
[6] Lo spirito permea di sé tutte le forme (artistiche, etiche, religiose, politiche) di un'età; riconoscendo in tali forme lo spirito dell'epoca, la filosofia è in grado di ricondurre le molteplici forme dell'arte, della religione ecc, alla loro fonte spirituale o, all'opposto, ritrovare nella fonte spirituale l'origine delle manifestazioni della realtà
[7] La verità che il filosofo ricerca non è (quella del pensiero astratto, formale, in sé, ma quella dell'idea in sé e per sé, dell'idea nell'unità organica dei suoi momenti, Oggetto della storia della filosofia è la conoscenza dello svolgersi dell'idea nella concretezza delle determinazioni storiche che essa ha via via assunto,
[8] con i termini «in sé» e «per sé», posti in correlazione con i concetti aristotelici di «potenza» e «atto», Hegel indica due momenti dello svolgimento dell'idea, Il primo costituisce il momento della pura soggettività, che tiene raccolte in sé tutte le proprie potenzialità, il secondo è il momento della manifestazione oggettiva, del farsi attuale delle potenzialità, Solo nel terzo momento dello svolgimento dialettico l'idea giunge a comprendersi, divenendo consapevole di ciò che essa è in sé e per sé; l'idea sviluppa, in tal modo, con pienezza assoluta la pro pria natura logica e la propria realizzazione oggettiva.
[9] nello svolgimento ciò che è in sé, nella sua potenzialità, si fa «per l'uomo» che ne diviene consapevole; l'uomo, in sé ragionevole, si fa ragionevole per sé quando manifesta la propria razionalità, di venendone consapevole, In tale passaggio vi è un innegabile progresso (anche se non esteriormente percepibile): quanto esisteva in sé e dunque non consapevole delle proprie possibilità, si fa per sé, si manifesta e si rende cosciente di sé.
[10] l'impulso che mette in moto lo svolgimento dialettico è la contraddizione: l'in sé (in quanto potenzialità) sente di non poter permanere nella sua soggettività, nella sua unilateralità e deve farsi altro, contraddirsi nella oggettività, nella molteplicità, A questo primo moto di «estrinsecazione» seguirà quello di ritorno in sé in cui si attua la consapevolezza del fatto che tutte le determinazioni sono espressione dell'in sé; grazie a questo movimento l'idea si costituisce come unità consapevole, in sé e per sé, che raccoglie i momenti del processo. Nel processo di estrinsecazione, l'in sé non si disperde, ne perde la sua unità; semplicemente si manifesta in forme che erano implicitamente e idealmente in lui e in tal modo si da e realizza il proprio fine.
[11] nell'ambito della natura, l'ente che da vita al processo e il suo esito sono distinti e separati (il seme e il frutto, il padre e il figlio), pertanto ciò che è in sé non diviene mai per sé, ma solo per noi, per le coscienze esterne che ne prendono atto; nell'ambito della vita dello spirito invece il principio e il fine coincidono: ciò che è in sé diviene per sé, si fa consapevole dell'unità che governa il processo del farsi altro da sé per poi raccogliersi nuovamente in sé.
[12] a differenza di quanto avviene per la natura, nel processo dello spirito si verifica un ritorno a sé m forza del quale l'intero sviluppo viene considerato come cammino unitario e i singoli momenti come concrete determinazioni dello spirito. La consapevolezza dell'intero processo porta lo spirito a conciliarsi con se: i momenti estremi dello sviluppo, quello iniziale 'in sé' e quello finale per sei, si definiscono reciprocamente e, nel loro rimandarsi, ognuno trova piena realizzazione, si costituisce «per sé».
[13] nel farsi altro da sé i alienandosi I per poi ritrovare se stesso, il soggetto si fa consapevole di sé e della propria libertà.Tale libertà è piena e assoluta solo nell’ambito del pensiero i e dunque della filosofia: invece nell'ambito della volontà, dei sentimenti, la libertà e limitata dalla presenza di impulsi e inclinazioni esterne di cui si può essere consapevoli, senza per questo esserne mai pienamente liberati.
[14] mentre alla nozione di svolgimento si è soliti attribuire un valore puramente formale come se lo svolgimento rosse un puro processo indifferente alla sostanza che si svolge, si trasforma, Hegel attribuisce allo svolgimento un carattere concreto: lo svolgimento è un processo nel quale ciascun momento si definisce m relazione agli altri momenti, e l'intero sviluppo contiene e compone in se organicamente ogni determinazione.
[15] si serve in questo passaggio delle coppie concettuali astratto/concreto, intelletto/ragione cui attribuisce significati specifici. Astratto è ciò che l'intelletto isola, definisce a prescindere dalle relazioni necessarie che esso ha con i momenti del processo dialettico di cui è parte; concreto è invece ciò che la ragione coglie nell'ambito del processo dialettico. La filosofia si serve di forme astratte, e cioè universali, elaborate dall'intelletto (in tal senso Hegel può affermare che «il suo contenuto è astratto, però solo secondo la forma»); la ragione filosofica mira però solo al concreto, poiché solo li vi è la verità («se il vero è astratto, allora non è vero»; il vero, spiega altrove Hegel, è solo l'intero).
[16] nel suo svolgersi l’in sé si fa per sé, si mani_festa cioè in una forma distinta da quella iniziale, nella quale tuttavia era già racchiusa «nell'unita originaria»!, Nel processo la torma iniziale in sé si mantiene unitaria 'non si disperde, non si annulla pur assumendo una torma distinta, differente: essa non si oppone come estranea all'in sé: Hegel rimprovera anzi alla tradizione di intendere la nozione di «diversità» come opposizione inconciliabile, separazione insanabile, dal punto di vista hegeliano la diversità e invece momento di un processo («la differenza consiste _ dirà Hegel più avanti _ nel ratto che e il passarlo alla piena, concreta unità») e pertanto mantiene una pro pria unita con ti principio di cui è svolgimento.
[17] a illustrazione della nozione di diversità e concretezza, Hegel introduce alcuni esempi tratti dal mondo sensibile: m esso si ammette facilmente che la diversità convive nell'unità (le parti di un bore sono diverse e tuttavia in ciascuna vi sono le qualità del fiore: l'odore e il colore del bore sono distinti, ma sono tuttavia m un'unita, quella del fiore), Questo principio non viene solitamente applicato al mondo spirituale, nel quale l'intelletto individua solo opposizioni, contraddizioni inconciliabili: in realtà, invece, anche nel mondo spirituale, come in quello sensibile, le diversità non sono che determinazioni di uno stesso processo.
[18] in quanto lai realtà è svolgimento dell'idea, l'idea non esce mali da sé stessa, ma resta immanente alla realtà di cui è «sorgente»; nel processo graduale e necessario del suo farsi consapevole di sé, l'idea si determina, «si interna», «approfondisce se stessa» (come un circolo che ruota su di sé); tutte le manifestazioni nelle quali si determina sono dunque riflesso di «un'unica vitalità» in cui esse hanno realtà, in cui le differenze non si presentano come opposizioni prive di relazione, ma come momenti distinti di un unico processo, La filosofia, che studia l'idea nei suo farsi cosciente, si dispiega nella molteplicità dei momenti storici nei quali l'idea si è espressa, la filosofia si presenta così come un sistema in svolgimento, come storia della filosofia.