Heidegger, Sulla verità

Heidegger ritiene che la verità delle cose sia un essere-scoperto da un essere-aperto. La “verità ontica” consiste in una connessione di rappresentazioni. A fondamento della conoscenza di tutti gli enti sta una comprensione dell’essere che si svela, in cui consiste la “verità ontologica”.

 

M. Heidegger, Vom Wesen des Grundes, [L’essenza del fondamento] Halle 1929, trad. it. di F. Volpi, Segnavia, Adelphi, Milano, 1987, pagg. 86-87 ( pag. 427)

 

La verità della proposizione ha le sue radici in una verità piú originaria (nella svelatezza), cioè nell'evidenza antepredicativa dell'ente alla quale diamo il nome di verità ontica. In corrispondenza ai diversi modi e ai diversi ambiti dell'ente, mutano il carattere della sua possibile evidenza e le rispettive modalità della sua interpretazione. È cosí, a esempio, che la verità di ciò che è meramente presente sottomano (come le cose materiali) si distingue in modo specifico, in quanto essere-scoperto (Entdecktheit), dalla verità dell'ente che noi stessi siamo, dall'essere-aperto (Erschlossenheit) dell'esserci che esiste. Per molteplici che possano essere le differenze tra queste due specie di verità ontica, vale per ogni evidenza antepredicativa che il manifestare non ha mai primariamente il carattere di un mero rappresentare (o intuire), neppure nel caso della contemplazione “estetica”. La tendenza a connotare la verità antepredicativa come intuizione nasce facilmente per il fatto che la verità ontica, assunta come verità autentica, viene determinata anzitutto come verità della proposizione, cioè come una “connessione di rappresentazioni”. Ciò che è piú semplice rispetto a quest'ultima è allora un rappresentare semplice, libero da connessioni. Certo, questo svolge una sua specifica funzione nell'oggettivazione dell'ente che, comunque, è già sempre necessariamente manifesto. Ma la manifestazione ontica, a sua volta, ha luogo in un sentirsi situati, caratterizzato da stati d'animo e da impulsi, che ci fa sentire in mezzo agli enti, in rapporto ai quali abbiamo comportamenti appetitivi e volitivi, fondati su quel sentirsi situati. Ma anche questi comportamenti, siano essi interpretati come predicativi o come ante-predicativi, non sarebbero in grado di rendere accessibile l'ente in se stesso, se il loro manifestare non fosse già da prima illuminato e guidato da una comprensione dell'essere (della costituzione d'essere: il “che cos'è” e il “com'è” dell'ente). Solo la svelatezza (Enthülltheit) dell’essere rende possibile l'evidenza (Offenbarkeit) dell’ente. Questa svelatezza, che è la verità dell'essere, la chiamiamo verità ontologica.

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A questa comprensione non ancora concettuale dell'essere diamo il nome  di comprensione pre-ontologica o ontologica in senso lato. Il concepire concettualmente l'essere presuppone che sia stata sviluppata la comprensione dell'essere e che l'essere in essa compreso, progettato e in qualche modo svelato sia divenuto espressamente tema e problema. Fra la comprensione pre-ontologica dell'essere e l'esplicita problematica del concepimento concettuale dell'essere vi sono vari gradi. Un grado caratteristico è, per esempio, il progetto della costituzione d'essere dell'ente, attraverso cui un campo determinato (natura, storia) viene contemporaneamente delimitato come ambito di una  possibile oggettivazione da parte della conoscenza scientifica. La determinazione preliminare dell'essere della natura in generale (ossia del “che cos’è” e del “come è”) si consolida nei “concetti fondamentali” della scienza corrispondente. In questi concetti sono definiti, per esempio, lo spazio, il luogo, il tempo, il moto, la massa, la forza, la velocità, ma non è posto esplicitamente il problema dell'essenza del tempo e del moto. La comprensione dell'essere dell'ente meramente presente sottomano è qui concettualizzata, ma le determinazioni concettuali dello spazio, del tempo ecc., cioè le definizioni, nella loro impostazione e nella loro estensione, sono regolate esclusivamente dalla posizione della domanda fondamentale che in ogni rispettiva scienza viene diretta all'ente. I concetti base della scienza odierna non contengono gli “autentici” concetti ontologici dell'essere dell'ente da essa preso in esame; ma questi non possono neppure essere ottenuti mediante un'estensione “adeguata” di quelli. I concetti ontologici originari devono essere acquisiti prima di qualsiasi definizione dei concetti scientifici di base. Infatti solo partendo dal concetti ontologici è possibile stabilire a prezzo di quali restrizioni e attraverso quali limitazioni effettuate ognora da un determinato punto di vista, i concetti base delle scienze colgono l'essere afferrabile nei concetti ontologici puri.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 283-284