Heine è un materialista e rifiuta ostinatamente il “cielo”, l’“eccelso” e il “santo”. Eppure il “deserto” della sua vita è inserito in qualcosa di grandioso, di “profondo” e di “immenso” che è come condensato nell’immagine della Vergine all’interno del duomo. Quella immagine consente al poeta-filosofo di appropriarsi del “cielo” e di portarlo inequivocabilmente in terra: il volto della Vergine è quello della sua amata. Come per i poeti dello Stilnovo, la donna amata costituisce un ponte fra la terra e il cielo, ma la direzione del percorso è rovesciata: l’immenso e il divino si fanno occhi, labbra e guance di una donna in carne ed ossa.
H. Heine, Intermezzo lirico, 11
Nei gorghi profondi del Reno,
il nostro bel fiume, si specchia
con il duomo suo immenso,
l’eccelsa e santa Colonia.
Dentro il duomo c’è un’immagine
dipinta su cuoio dorato;
che, nel deserto di mia vita,
affabilmente è penetrata.
Angioli e fiori volteggiano
attorno alla Vergine santa;
occhi, labbra e guance leggiadre
son quelle della mia adorata.
(H. Heine, Poesie d’amore, a cura di
S. Barbaglia, Newton Compton, Roma, 1989, pag. 79)