“Una moltitudine di uomini si accorda”, e con un patto trasferisce
liberamente e autonomamente il proprio potere al sovrano (“qualsiasi uomo,
o assemblea di uomini”). Il sovrano non è dunque uno dei contraenti:
egli non ha nessun patto da rispettare o a cui venire meno. Il suo potere è assoluto
e coincide con la sua volontà.
Th. Hobbes,
Leviatano, II, cap. XVIII
Uno Stato
si dice che è istituito quando una moltitudine di uomini si
accorda e pattuisce, ognuno con ogni altro, che, a qualsiasi uomo,
o assemblea di uomini, sarà dato dalla maggioranza il diritto di
rappresentare le persone di tutti loro, il che vuol dire di essere il loro
rappresentante, e ciascuno di loro, sia colui che ha votato a favore sia
colui che ha votato contro, autorizzerà tutte le azioni e tutte le
decisioni di quell'uomo o di quell'assemblea di uomini allo stesso modo come se
esse fossero sue azioni e sue decisioni, e tutto ciò allo scopo di vivere in
pace fra loro e di essere protetti contro gli altri uomini.
Da
questa istituzione di uno Stato sono derivati tutti i diritti e le facoltà
di colui o di coloro a cui è stato conferito il potere sovrano da parte del
popolo riunito in assemblea.
Per
prima cosa, poiché gli uomini fanno un patto si deve intendere che essi non
sono obbligati da alcun patto precedente a qualche cosa che sia in contrasto
con quanto hanno ora pattuito. Di conseguenza coloro che hanno già costituito
uno Stato essendo cosí tenuti da un patto a riconoscere le azioni e le
decisioni di uno non possono legalmente fare un nuovo patto fra loro di
obbedire a un altro in una cosa qualsiasi senza il permesso di quello. E perciò
coloro che sono soggetti a un re non possono senza il suo consenso abolire la
monarchia e ritornare alla confusione di una moltitudine disordinata; né
possono trasferire la loro persona da colui che la rappresenta a un altro uomo
o a un'altra assemblea di uomini; poiché essi si sono impegnati fra loro a
riconoscere e a considerarsi autori di tutto ciò che colui che è già il loro
sovrano farà o giudicherà opportuno che sia fatto: cosicché se qualcuno
dissente, tutti gli altri verrebbero a rompere il loro patto stretto con lui,
il che è ingiustizia; essi d'altra parte hanno dato la sovranità a colui che rappresenta
la loro persona, e quindi se essi lo depongono gli tolgono ciò che ormai è suo,
il che è un'altra ingiustizia. Oltre a ciò se colui che tenta di deporre il suo
sovrano viene ucciso o punito da questo per tale tentativo, è lui stesso
l'autore della sua punizione poiché secondo il patto convenuto lui è autore di
tutto ciò che il sovrano farà, e poiché è un'ingiustizia per un uomo fare
qualche cosa per la quale egli possa essere punito per sua propria autorità,
egli è, anche a questo titolo, ingiusto. E dato che alcuni uomini si sono
appellati per la loro disobbedienza al sovrano a un patto stipulato non con gli
uomini ma con Dio, anche questo è ingiusto poiché non ci può essere un patto
stipulato con Dio, se non con la mediazione di alcuni che rappresentano la
persona di Dio, il che nessuno può fare se non il luogotenente di Dio il quale
ha la sovranità al di sotto di Dio. Ma questa pretesa di un patto fatto con Dio
è una menzogna cosí evidente anche nell'animo stesso di coloro che ci si
appellano, che è non solo atto di uomo ingiusto, ma anche di vile e inumana
disposizione.
In
secondo luogo poiché il diritto di rappresentare la persona di loro tutti è
data a colui che essi eleggono re per un patto stipulato soltanto fra loro, non
si può verificare una rottura del patto da parte del sovrano, e di conseguenza
nessuno dei suoi sudditi può, con il pretesto di una trasgressione da parte di
lui, considerarsi libero dalla sua soggezione. Che colui che è fatto sovrano
non stipula un patto con i suoi sudditi in anticipo, è una cosa evidente; e
infatti, in tal caso, egli dovrebbe farlo con l'intera moltitudine, convenuta
come parte per il contratto, oppure dovrebbe fare un singolo contratto con ogni
singolo uomo; ora con la totalità degli individui considerata come parte è
impossibile perché essi non costituiscono ancora una persona; se poi lui fa
tanti singoli contratti quanti sono gli individui questi contratti dopo che
egli ha la sovranità diventano nulli poiché qualunque atto possa essere
denunciato da qualcuno come una ragione di rottura del patto, è sempre un atto
da attribuirsi a lui stesso, e a tutti gli altri, poiché fatto nella persona e
in base al diritto di ciascuno di essi in particolare. Inoltre se qualcuno o
parecchi di loro pretendono che ci sia una rottura del patto compiuta dal
sovrano all'atto della sua istituzione, e altri o uno degli altri sudditi, o lo
stesso sovrano, sostengono che non ci sia tale rottura, non esiste in un caso
simile nessun giudice che possa decidere la controversia; si ritorna allora di
nuovo allo stato di guerra, e ognuno si riprende il diritto di proteggersi con
le proprie forze, contrariamente al programma che essi avevano nell'istituire
lo Stato. È una cosa vana quindi concedere la sovranità per mezzo di un
precedente contratto. L'opinione che un monarca riceva il suo potere in base a
un contratto, il che vuol dire in forma condizionata, deriva dal non intendere
questa semplice verità, e cioè che i patti essendo solo parole e fiato non
hanno la forza di obbligare, di reprimere, di costringere, di proteggere
alcuno, tranne quella che deriva loro dalla spada dello Stato, cioè dalle mani
libere di quell'uomo o di quell'assemblea di uomini che detiene la sovranità, e
le cui azioni sono avallate da tutti, ed eseguite dalla forza di tutti, uniti
nell'unica persona dello Stato. Ma se un'assemblea di uomini è resa sovrana,
allora nessuno immagina che un tale patto sia diventato una istituzione, poiché
nessuno è cosí stupido da dire, per esempio, che il popolo di Roma stipula un patto
con i Romani, per mantenere la sovranità a queste condizioni; se esso non
esegue i patti i Romani hanno il diritto di deporre il popolo Romano. Il fatto
che gli uomini non vedano la ragione per cui in una monarchia le cose stanno
allo stesso modo che in un governo popolare dipende dall'ambizione di alcuni, i
quali preferiscono il governo di un'assemblea della quale essi sperano di
potere fare parte al regime monarchico al quale non sperano di poter
partecipare.
In
terzo luogo, poiché la maggior parte ha eletto, esprimendo il proprio consenso,
un sovrano, colui che dissentiva deve ora consentire con il resto, cioè deve
adattarsi a riconoscere tutte le azioni che quello farà, o altrimenti a essere
giustamente ucciso dalla maggioranza. Infatti se egli entrò volontariamente
nella associazione di quelli che si erano costituiti in assemblea, egli
dichiara sufficientemente in questo modo la sua volontà, e perciò tacitamente
accetta di stare a tutto quello che la maggioranza possa ordinare; di
conseguenza se egli si rifiuta di sottostare a ciò, o protesta contro qualcuno
dei decreti di quelli, egli agisce contro il suo patto stesso, e perciò
commette ingiustizia. E faccia egli parte dell'associazione o no, e sia
richiesto o meno il suo consenso, egli deve o sottomettersi alle decisioni di
quella, o essere lasciato nella condizione di guerra nella quale si trovava
prima; nella quale condizione egli può, senza nessuna ingiustizia, essere
ucciso da chiunque.
In
quarto luogo poiché ogni suddito è in base a questa istituzione autore di tutte
le azioni e di tutte le deliberazioni di colui che è stato eletto sovrano ne
segue che qualunque cosa questi faccia non può essere considerata
un'ingiustizia verso i suoi sudditi, e nemmeno egli può essere accusato da
alcuno di essi di ingiustizia. Infatti colui che fa una cosa per autorità di un
altro non può fare ingiuria a colui per la cui autorizzazione agisce; ora in
base all'istituzione di uno Stato ogni individuo è autore di tutto ciò che il
sovrano fa e per conseguenza colui che si lamenta di una ingiuria fattagli dal
suo sovrano si lamenta di ciò di cui è lui stesso autore, e perciò non può
accusare altri che se stesso; ma nemmeno può accusare se stesso di un'ingiuria,
poiché fare ingiuria a se stessi è una cosa impossibile. È vero che coloro che
hanno il potere sovrano possono commettere una iniquità; ma non una
ingiustizia, o una ingiuria nel vero significato dell'espressione.
In
quinto luogo e come conseguenza di quello che è stato detto ultimamente nessuno
che abbia il potere sovrano può essere giustamente mandato a morte o punito in
altro modo dai suoi sudditi. Infatti dato che ogni suddito è autore delle
azioni del sovrano, egli punirebbe cosí un altro per le azioni commesse da lui
stesso.
E
poiché lo scopo di questa istituzione è la pace e la difesa di tutti, e
chiunque ha diritto al fine ha diritto anche ai mezzi, appartiene di diritto a
quell'uomo o a quell'assemblea che detiene la sovranità il compito di giudicare
sia dei mezzi che giovano alla pace e alla difesa come anche di quelli che sono
un impedimento o un ostacolo ad esse, e di fare tutto ciò che riterrà
necessario che sia fatto, o in anticipo per preservare la pace e la sicurezza,
col prevenire le discordie all'interno e le ostilità dal di fuori, o, quando la
pace e la sicurezza sono perdute, per riconquistarle.
Da ciò
deriva, in sesto luogo, che è connesso con la sovranità il diritto di giudicare
quali opinioni e quali dottrine sono di ostacolo o conducono invece alla pace;
e di conseguenza in quali occasioni, fino a che punto, e quali uomini meritano
fiducia quando parlano all'insieme del popolo e chi debba esaminare le dottrine
di tutti i libri prima che questi siano pubblicati. Poiché le azioni degli
uomini procedono dalle loro opinioni, e dal buon governo delle opinioni
consiste il buon governo delle azioni degli uomini riguardo alla loro pace e
alla loro concordia. E sebbene in fatto di dottrine non si debba cercare se non
la verità, tuttavia questo non contrasta con il fatto di regolare le dottrine
stesse in considerazione della pace, poiché una dottrina che va contro la pace
non può essere vera piú che la pace e la concordia possano essere contro la
legge di natura. È vero che in uno Stato dove per negligenza o per incapacità
dei governanti e degli insegnanti da tempo sono state accettate dalla
generalità delle false dottrine, le verità contrarie a queste possono essere
generalmente dannose; tuttavia il subitaneo e violento irrompere di una nuova
verità, quale che possa essere, non rompe la pace ma provoca spesso la guerra,
poiché quegli uomini i quali sono governati cosí debolmente da osare scendere
in armi per difendere o introdurre un'opinione sono ancora nello stato di
guerra, e la loro condizione non è quella di pace ma solo una cessazione dei
combattimenti per reciproco timore, ed essi vivono come in una continua vigilia
di battaglia. Tocca perciò a colui che detiene il potere sovrano il diritto di
giudicare o di nomimare coloro che debbono giudicare le opinioni e le dottrine,
come cosa necessaria per la pace; per prevenire cosí discordie e guerre civili.
In settimo luogo, è connesso con la sovranità
il pieno potere di prescrivere regole in base alle quali ognuno sappia di quali
beni può godere e quali azioni può compiere senza essere molestato da alcuno degli
altri sudditi; e questo è ciò che gli uomini chiamano proprietà. Infatti
prima della costituzione del potere sovrano, come è stato già mostrato, gli
uomini avevano diritto su tutte le cose, il che necessariamente provocava la
guerra; e perciò l'istituzione della proprietà, essendo una cosa necessaria per
il mantenimento della pace, è un atto che appartiene a quel potere che deve
mantenere la pace pubblica. Queste regole riguardanti la proprietà, o il meum
e il tuum, e il bene, il male, il legittimo e l'illegittimo
nelle azioni dei sudditi, sono le leggi civili, cioè le leggi di ciascuno
Stato in particolare: sebbene il nome di legge civile sia ora limitato alle
antiche leggi civili di Roma, la quale dominando allora una gran parte del
mondo, le sue leggi erano a quei tempi le leggi civili di quei paesi.
Come ottavo punto, è legato alla sovranità il
diritto di giudicare; il che vuol dire ascoltare e decidere sulle controversie
che possano sorgere intorno alla legge, civile o naturale, o intorno ai fatti.
Infatti senza la decisione delle controversie non c'è protezione per il suddito
contro le ingiurie dell'altro; le leggi riguardanti il meum e il tuum
rimangono in questo caso vane, e ad ogni uomo rimane, dato il naturale e
necessario desiderio della propria conservazione, il diritto di proteggersi con
le sue forze private, il che è una condizione di guerra, ed è contrario allo
scopo per il quale ogni Stato viene istituito.
Come nono punto è legato alla sovranità il
diritto di fare guerra o di fare pace con le altre nazioni e Stati; il che vuol
dire giudicare quanto ciò è di pubblica utilità, e quali forze debbano essere
raccolte, armate e pagate per tale scopo, e di imporre dei tributi ai sudditi
per pagare le spese occorrenti a tale scopo. Poiché il potere con il quale il
popolo deve essere difeso consiste nelle sue armate, e la forza di un'armata
nell'unione delle sue forze sotto un comando, il quale comando è il sovrano che
lo istituisce, poiché il comando della militia, senza altra istituzione,
rende colui che lo possiede sovrano; e di conseguenza, chiunque sia fatto
generale di un'armata, colui che ha il potere supremo è sempre generalissimo.
Come decimo punto è connessa con la sovranità
la facoltà di scegliere tutti i consiglieri, i ministri, i magistrati e gli
ufficiali, sia in tempo di pace che in tempo di guerra; infatti, dato che il
sovrano ha il compito di assicurare il fine, cioè la comune pace e la difesa,
si intende che egli abbia il potere di usare quei mezzi che ritiene piú adatti
per ottenere queste cose.
Come undicesimo punto al sovrano è affidato il
compito di premiare con ricchezze e con onori, e di punire con pene corporali o
pecuniarie, o con l'ignominia, qualsiasi suddito in base alla legge che egli ha
già emanato, o, se non esiste una legge già stabilita, secondo il criterio che
egli giudica come il piú adatto a incoraggiare gli uomini a servire lo Stato e
a distogliere gli altri dall'operare a danno di esso.
Infine, considerando quale valore gli uomini
sono naturalmente portati ad attribuire a se stessi e quanto rispetto esigono
perciò dagli altri e come poco essi apprezzano gli altri, e che perciò sorgono
fra loro continui atti di emulazione, questioni, lotte e infine la guerra, che
li spinge a distruggersi reciprocamente, e riduce le loro forze nei confronti
dei loro comuni nemici, è necessario che ci siano leggi riguardanti gli onori,
e una pubblica misura del valore degli uomini che hanno meritato e che sono in
grado di meritare da parte dello Stato, e che vi sia una forza nelle mani di
qualcuno per mettere tali leggi in esecuzione. Ma è stato già mostrato che non
solo l'intera militia, cioè le forze dello Stato, ma anche la decisione
delle controversie è facoltà connessa con la sovranità. Al sovrano spetta
perciò la facoltà di conferire titoli onorifici, e di stabilire il grado e la
dignità che ognuno deve avere, e quali segni di rispetto ciascuno dovrà dare
all'altro nelle pubbliche e nelle private riunioni.
Sono questi i diritti che costituiscono
l'essenza della sovranità; essi sono i segni attraverso i quali ciascuno può
riconoscere in quale uomo o in quale assemblea di uomini il potere sovrano è
posto e risiede. Poiché tali diritti sono intrasferibili, e inseparabili. Il
potere di coniare monete, di disporre della proprietà e delle persone degli
eredi minori, di imporre un tributo sui mercati, e altre prerogative
statutarie, possono essere trasferite dal sovrano ad altre persone, ed essere
trattenuto nello stesso tempo il potere di proteggere i propri sudditi; ma se
egli trasferisce il suo potere sulla militia, invano poi mantiene il
potere di giudicare, non essendo in grado di fare eseguire le leggi, o se egli
rinunzia al diritto di esigere pagamenti dai sudditi, la mitilia esiste
invano, e se egli rinunzia alla facoltà di orientare le dottrine, gli uomini
saranno trascinati alla ribellione col timore dei fantasmi. E cosí se noi
consideriamo singolarmente ciascuno dei detti diritti, noi vedremo che
conservare tutti gli altri, senza di quello, non servirà a niente per quanto
riguarda la conservazione della pace e della giustizia, lo scopo cioè per il
quale ogni Stato viene fondato. E questa divisione è quella riguardo alla quale
si dice: un regno diviso in se stesso non può stare in vita; poiché, a
meno che questa divisione non preceda, una divisione in eserciti opposti non si
può mai avere. Se non ci fosse stata prima un'opinione accolta dalla maggior
parte degli inglesi secondo la quale questi poteri erano divisi fra il Re, i
Lords e la Camera dei Comuni, il popolo non si sarebbe mai diviso e non sarebbe
stato trascinato in questa guerra civile, prima fra coloro che non erano
d'accordo sul piano della politica, e poi fra quelli che dissentivano riguardo
alla libertà di religione; il che ha istruito cosí bene gli uomini su questo punto
riguardante il diritto del sovrano che sono pochi oggi in Inghilterra quelli
che non credono che questi diritti sono inseparabili, e tali saranno
riconosciuti da tutti al prossimo ritorno della pace, e lo saranno ancora fino
a quando quelle miserie saranno dimenticate; e non ci vorrà molto, a meno che
il volgo non sia istruito meglio di come essi non lo siano stati fino ad ora.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 475-481)
__________
L'istituzione
dello stato assoluto è un atto sostanzialmente democratico: è una moltitudine,
o “popolo riunito in assemblea”, che detiene il potere sovrano e lo trasferisce
- con una decisione a maggioranza a un
individuo o a una assemblea. Chiunque sia investito del diritto a esercitare la
sovranità diventa un “uomo artificiale”: in lui e attraverso di lui agiscono
tutti i cittadini che gli hanno conferito il potere.
Il punto centrale
nella istituzione dello stato (cioè nella scelta del sovrano) consiste nella
rinuncia di tutti i cittadini all'uso della forza, che è un diritto naturale
dell'uomo e che viene delegato interamente al sovrano. Anche a questo proposito
è da sottolineare il distacco razionale con cui Hobbes analizza la questione: i
patti sono parole e fiato e non hanno alcuna forza per obbligare qualcuno al
loro rispetto; ma quelle stesse parole possono diventare potenza straordinaria
quando sono utilizzate per conferire a qualcuno il diritto all'uso della forza.
Le parole che costituiscono il legame comunicativo tra gli uomini hanno il
potere non soltanto di costruire un universo convenzionale, ma di trasformare
questo universo in realtà quando esso diventa stato e quando qualcuno (in virtœ
delle parole del patto) può esercitare concretamente la forza. La passività
dell'uomo rispetto al mondo esterno degli oggetti diventa attività creatrice
nel mondo interno dell'uomo e nelle relazioni con gli altri uomini: lo stato
non è naturale, è un prodotto dell'uomo, ma è un prodotto estremamente
concreto. Fra i diritti del sovrano elencati da Hobbes è particolarmente
significativo il diritto alla censura, che ripropone il problema del rapporto
fra le parole e le cose: le parole sono, è vero, suono e fiato e non hanno
forza, ma sono anche lo strumento con il quale gli uomini costruiscono il loro
mondo, le idee e il ragionamento sono il motore delle azioni, perché, come
scrive lo stesso Hobbes, “le azioni degli uomini procedono dalle loro
opinioni”; è quindi opportuno che il sovrano colpisca le idee dannose per lo
stato, cioè per ciascuno dei sudditi. Infine il potere non deve essere diviso:
Hobbes rigetta con decisione la teoria della divisione dei poteri (fondamento
del moderno stato liberale), da una parte per motivi storici contingenti (la
guerra civile che si sta svolgendo sotto i suoi occhi è la conseguenza della
divisione dei poteri e della lotta per il potere fra re e Parlamento),
dall'altra perché il potere del sovrano non scaturisce dalla somma del potere
dei singoli sudditi, ma perché esso è il potere di ciascuno dei sudditi; e
l'individuo non può essere diviso: ogni uomo esercita tutto intero il proprio
potere su tutte le cose e, attraverso il patto, trasferisce al sovrano questo
potere nella sua unità e integrità.