Hobbes si distacca dalla
convinzione generalmente diffusa che l'uomo sia per natura un essere sociale: e
domanda beffardamente come mai tutte le sere chiudiamo la porta a chiave, come
mai teniamo i nostri soldi in cassaforte e a quale concezione dell'uomo si
ispirano questi nostri comportamenti quotidiani.
Th.
Hobbes, Leviatano, I, cap. XIII
Può sembrare strano a chi non
abbia riflettuto bene su queste cose che la natura abbia fatto gli uomini cosí
poco socievoli e capaci di aggredirsi e di distruggersi a vicenda; e per
conseguenza costui, non credendo a queste conclusioni, ricavate dalle passioni
umane, desidera forse che esse siano confermate dall'esperienza.
Consideri egli dunque con se
stesso che quando fa un viaggio egli si arma, e cerca di andare bene
accompagnato, quando va a dormire chiude a chiave le porte, e anche nella
stessa casa chiude a chiave le casseforti, e ciò sebbene egli sappia che ci
sono leggi, e pubblici funzionari armati per punire tutte le ingiurie che gli
possano essere arrecate; veda quale opinione egli ha dei suoi connazionali
quando egli viaggia armato, e dei suoi concittadini quando chiude le
casseforti. Non accusa costui il genere umano con le sue azioni cosí come io lo
accuso con le mie parole? Ma nessuno di noi due accusa la natura umana in se
stessa. I desideri e le altre passioni dell'uomo non sono in se stessi peccati.
E non lo sono nemmeno le azioni che sono provocate da queste passioni fino a
quando gli uomini non conoscono una legge che le proibisca, il che essi non
possono sapere fino a quando le leggi non sono fatte; d'altra parte nessuna
legge può essere stabilita fino a quando gli uomini non si sono messi d'accordo
sulla persona a cui dare il potere di fare le leggi.
[...]
La maggior parte di coloro che
hanno scritto intorno ai problemi dello stato o suppongono, o ammettono
senz'altro, o postulano che l'uomo sia un animale nato già adatto alla vita
sociale (i Greci dicono zóon politikón) e su questa premessa
costruiscono la loro teoria politica, come se per il mantenimento della pace e
per l'ordine di tutto il genere umano non occorresse altro se non che gli
uomini si accordassero su certi patti e certe condizioni che essi stessi
chiamano leggi. Il quale assioma, sebbene accettato da un'infinità di gente, è
falso; e l'errore deriva da una considerazione troppo superficiale della natura
umana. E infatti considerando piú attentamente le ragioni per le quali gli
uomini si associano e godono dei vantaggi di una reciproca associazione, si vedrà
facilmente che ciò non avviene perché non possa essere altrimenti, ma si
verifica invece per ragioni contingenti.
Se l'uomo infatti amasse ogni
altro uomo per natura, cioè a dire in quanto uomo, non si spiegherebbe perché
ognuno non ama tutti gli altri uomini nella stessa maniera, dato che sono tutti
uomini alla stessa maniera, e perché invece ognuno preferisce frequentare
quelli dalla cui amicizia egli ricava onore e vantaggio.
La nostra natura quindi non ci
spinge a cercare amici, ma a poter ottenere per mezzo di essi onore e vantaggi;
questa è la prima cosa che cerchiamo, gli amici solo in via subordinata.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 457-458, 460-461)