Hobbes, da filosofo, non si
interessa di quello che è celato nel segreto delle coscienze e che riguarda la
fede; egli considera soltanto ciò che risulta manifesto, e, per quanto riguarda
le questioni religiose, ciò che accade negli atti di culto. Hobbes afferma che
il culto è “un segno del rispetto interiore”, che si manifesta davanti a Dio,
ma anche davanti agli uomini. Tanto maggiore sarà quindi l'efficacia del segno
quanto maggiore è il numero di coloro che lo riconoscono come tale.
L'imposizione di un unico culto da parte del sovrano, quindi, è il modo
migliore per rendere onore a Dio. Lo scopo principale di Hobbes è comunque
quello di sottolineare che anche per quanto riguarda i culti religiosi il fine
del sovrano è quello di garantire la pace anche impedendo gli scontri fra le
confessioni e le sètte religiose.
Th. Hobbes, Elementi filosofici
sul cittadino, IV
Ebbene, delle leggi secolari,
cioè di quelle che riguardano la giustizia e il comportamento reciproco degli
uomini, abbiamo già dimostrato essere conforme a ragione che il giudice
competente sia lo Stato, secondo quanto abbiamo piú sopra detto; ora, poiché i
giudizi non sono altro che interpretazioni delle leggi, per conseguenza gli
Stati, cioè i governanti, sono dovunque gli interpreti delle leggi stesse.
Invece, per le leggi sacre, si deve prendere in considerazione il fatto che i
singoli cittadini hanno trasferito nell'uomo o negli uomini che hanno il
supremo potere politico tutti i diritti che era possibile trasferire. Siccome
tra i diritti che era possibile trasferire vi era anche quello di stabilire le
modalità del culto da tributare a Dio, ne viene che anche questo diritto deve
essere devoluto al sovrano. Che tale diritto potesse essere trasferito, risulta
dal fatto che, prima della costituzione dello Stato, la scelta del modo di
onorare Dio era lasciata alla ragione privata; ma ciascuno può sottomettere la
ragione privata alla ragione di Stato. Inoltre, se gli individui seguissero le
proprie idee sul modo con cui rendere onore a Dio, data la grande diversità
delle persone, ciascuno potrebbe giudicare indecorose, o perfino empie, le
pratiche religiose di un altro e all'uno non sembrerebbe neppure che l'altro
onorasse Dio. Quindi non vi sarebbe un culto; neppure sarebbe tale quello tra
tutti piú conforme alla ragione, perché il culto consiste per sua natura in un
segno del rispetto interiore; ora, non essendo il segno se non il mezzo con cui
si rende visibile agli altri un determinato atto, non è un segno onorifico se
non quello che appare tale anche agli altri. Inoltre, un segno è efficace
quando tutti lo ritengono veramente un segno ed è quindi anche onorifico quando
tutti lo considerano tale, cioè quando tale diventa per ordine dello Stato. Non
è dunque contrario alla volontà di Dio, manifestata attraverso la sola ragione,
offrirgli quei segni d'onore che lo Stato avrà stabilito. I cittadini possono
quindi trasferire ai loro governanti il diritto di regolare il culto dovuto a
Dio; anzi, lo devono; altrimenti, si potrebbero vedere, in un medesimo Stato,
incrociarsi tutte le opinioni piú assurde sulla natura di Dio, tutte le piú
ridicole cerimonie che possano mai essere esistite presso i popoli piú
disparati, e ciascuno potrebbe credere che tutti gli altri vogliano mancar di
rispetto a Dio. E cosí non si potrebbe dire di nessuno con esattezza che onora
Dio, perché effettivamente nessuno lo onora, ossia mostra segni esteriori di
rispetto, se quello che egli fa non appare onorifico anche agli altri.
Dunque possiamo concludere che
l'interpretazione delle leggi naturali, tanto sacre che secolari, quando Dio
regna attraverso la sola natura, dipende dall'autorità dello Stato, cioè
dell'uomo o dell'assemblea cui è stato affidato il potere supremo sullo Stato:
onde Dio comanda tutto quello che vuole attraverso la voce dei sovrani, e
viceversa, quel che costoro comandano circa il culto di Dio e in materia
secolare, si deve intendere come comandato da Dio.
(Th. Hobbes, Opere politiche,
UTET, Torino, 1959, pagg. 303-304)