L’inglese Erich John Hobsbawm è uno dei piú
importanti storici marxisti del marxismo. In occasione del 150° anniversario
della pubblicazione del Manifesto di Marx e di Engels, egli ha redatto
una interessante introduzione alla nuova edizione Rizzoli del testo marxiano.
Il Manifesto del partito comunista, dopo la Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino, è quasi certamente l’opera che ha piú
influenzato le vicende politiche e culturali fino ai nostri giorni; eppure la
fortuna editoriale del Manifesto non è stata immediata, anzi, agli
inizi, il lavoro fu quasi un “fiasco”.
Oggi, 1998, commemoriamo il
centocinquantesimo anniversario della pubblicazione di questo opuscolo che è
quasi certamente il piú influente scritto politico dopo la Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese. Per un caso
fortunato, il Manifesto venne divulgato solo una o due settimane prima
dello scoppio delle rivoluzioni del 1848, che si propagarono come un incendio
da Parigi in tutta l’Europa continentale. Anche se il suo orizzonte era
internazionale [...], l’impatto iniziale fu avvertito soltanto nel mondo
tedesco. Per quanto la Lega dei comunisti fosse piccola, giocò un ruolo
rilevante nella rivoluzione tedesca, non da ultimo grazie al quotidiano Neue
Rheinische Zeitung [“Nuova Gazzetta Renana”] (1848-1849) diretto da Karl
Marx. La prima edizione del Manifesto fu ristampata tre volte in pochi
mesi, venne pubblicata a puntate sulla Deutsche Londoner Zeitung
[“Gazzetta Tedesco-londinese”], fu ricomposta tipograficamente e corretta
nell’aprile o nel maggio 1848 in 30 pagine, ma scomparve dalla circolazione con
il fallimento delle rivoluzioni del 1848.Nel 1849, quando Marx iniziò il suo
esilio in Inghilterra, che sarebbe durato tutta la vita, l’opuscolo era
diventato cosí raro che egli pensò valesse la pena di ristampare la Sezione III
(“Letteratura socialista e comunista”) nell’ultimo numero della sua rivista
londinese Neue Rheinische Zeitung, politisch-ökonomische Revue [“Nuova
Gazzetta Renana, Rivista politico-economica”] (novembre 1850), che era quasi
priva di lettori.
Nessuno avrebbe pronosticato un grande
futuro per questo scritto negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta
dell’Ottocento. Una nuova edizione di modesta tiratura venne pubblicata
privatamente a Londra, forse nel 1864, da uno stampatore tedesco emigrato e
un’altra edizione limitata comparve a Berlino nel 1866: fu la prima pubblicata
in Germania. Fra il 1848 e il 1868 non sembrano esserci state traduzioni, a
prescindere da una versione in svedese, probabilmente pubblicata alla fine del
1848, e da una inglese nel 1850, importante nella storia editoriale del Manifesto
solo perché sembra che la traduttrice abbia consultato Marx o (visto che
abitava in Lancashire) piú probabilmente Engels. Entrambe le versioni
scomparvero senza lasciare traccia. A metà degli anni Sessanta quasi nulla di
ciò che Marx aveva scritto in precedenza era piú in circolazione.
Il ruolo di primo piano di Marx
nell’Associazione internazionale degli operai (la cosiddetta “Prima
internazionale”, 1864-1872) e il sorgere in Germania di due importanti partiti
della classe operaia, entrambi fondati da ex membri della Lega dei comunisti,
suoi grandi estimatori, portarono a una rinascita di interesse per il Manifesto
come per gli altri scritti di Marx. In particolare la sua eloquente difesa
della Comune di Parigi del 1871 (nota con il titolo La guerra civile in
Francia) gli valsero le attenzioni della stampa che videro in lui un
pericoloso capo della sovversione internazionale temuta dai governi. Piú
precisamente il processo per tradimento contro i capi della socialdemocrazia
tedesca [...] nel marzo 1872 valse al Manifesto una pubblicità inattesa.
La pubblica accusa ne lesse il testo in aula facendolo includere tra i verbali
del processo e cosí offrí ai socialdemocratici la prima opportunità di
pubblicarlo legalmente e in larga tiratura come parte degli atti del processo.
Essendo evidente che un documento pubblicato prima della rivoluzione del 1848
poteva necessitare di qualche aggiornamento e di qualche commento esplicativo,
Marx ed Engels stesero la prima della serie di prefazioni che da allora in poi
hanno solitamente accompagnato le nuove edizioni del Manifesto. [...]
Nel frattempo, tra il 1871 e il 1873, comparvero almeno nove edizioni del Manifesto
in sei lingue.
Nei quarant’anni successivi il Manifesto
conquistò il mondo, propagato dal sorgere dei nuovi partiti operai (socialisti)
nei quali l’influenza marxista crebbe rapidamente durante gli anni Ottanta.
Nessuno di questi partiti scelse di chiamarsi partito comunista finché i
bolscevichi russi tornarono alla denominazione originale dopo la rivoluzione
d’ottobre, ma il titolo Manifesto del partito comunista rimase immutato.
Anche prima della rivoluzione russa del 1917 era stato pubblicato in circa
trenta lingue, in diverse centinaia di edizioni, di cui tre in giapponese e una
in cinese. Tuttavia l’area principale dove esercitò la sua influenza fu la
fascia dell’Europa centrale, estesa dalla Francia a ovest fino alla Russia a
est. [...] Ci furono 55 edizioni in tedesco [...], 34 in lingua inglese
(compresi gli Stati Uniti dove la prima traduzione comparve nel 1871), 26 in
francese e 11 in italiano, di cui la prima solo nel 1889. L’impatto sull’Europa
sudoccidentale fu modesto [...]. Scarso anche l’impatto sull’Europa
sudorientale [...]. L’Europa settentrionale è discretamente rappresentata con 6
edizioni in danese, 5 in svedese e 2 in norvegese.
Questa distribuzione geografica poco
uniforme non solo rifletteva lo sviluppo disomogeneo del movimento socialista e
dell’influenza personale di Marx, distinti da altre ideologie rivoluzionarie
quali l’anarchismo. Essa dovrebbe anche rammentarci che non esisteva una forte
correlazione fra la dimensione e la potenza dei partiti laburisti e
socialdemocratici e la circolazione del Manifesto. Per esempio, fino al
1905 il Partito socialdemocratico tedesco (SPD) con le sue centinaia di
migliaia di iscritti e i suoi milioni di elettori pubblicò nuove edizioni del Manifesto
in tirature di non oltre 2-3000 copie. Nel 1891 l’SPD pubblicò il proprio Programma
di Erfurt in 120.000 copie, mentre sembra aver stampato poco piú di 16.000
copie del Manifesto negli undici anni che vanno dal 1895 al 1905, anno
in cui la diffusione della rivista teorica del partito, Die Neue Zeit
[“Il Tempo Nuovo”], era di 6400 copie. Da un normale iscritto a un partito
socialdemocratico-marxista di massa non si pretendeva che sapesse superare
esami di teoria. Viceversa le 70 edizioni russe prima della rivoluzione
rappresentavano un insieme di organizzazioni, per la maggior parte del tempo
rimaste illegali, i cui aderenti in totale non possono aver superato le poche
migliaia. Analogamente le 34 edizioni inglesi furono pubblicate da e per un
pugno di sette marxiste sparse nel mondo anglosassone, che agivano alla
sinistra dei partiti laburisti e socialisti esistenti. Era quello l’ambiente in
cui “la chiarezza di idee di un compagno poteva essere misurata invariabilmente
dal numero di “orecchie” della sua copia del Manifesto” [R. R. La Monte,
“The New Intellectuals”, in P. Buhle, Marxism in the USA: From 1870 to the
present day, London, 1967, p. 56]. In breve i lettori del Manifesto,
sebbene facessero parte dei nuovi partiti e movimenti socialisti e operai che
stavano sorgendo, quasi certamente non erano un campione rappresentativo della
massa degli iscritti. Erano uomini e donne con un particolare interesse per la
teoria che stava alla base di quei movimenti. [...]
La situazione cambiò dopo la rivoluzione
d’ottobre, almeno all’interno dei partiti comunisti. Diversamente dai partiti
di massa della Seconda internazionale (1889-1914), quelli della Terza
(1919-1943) pretendevano da tutti i loro iscritti che comprendessero o almeno
facessero mostra di comprendere in qualche misura la teoria marxista. Svaní la
dicotomia fra i dirigenti politici effettivi, non interessati a scrivere libri,
e i “teorici” come Karl Kautsky [1854-1938], noto e rispettato in questa sua
veste ma non come dirigente in grado di prendere decisioni politiche pratiche.
Seguendo l’esempio di Lenin, tutti i capi dovevano essere anche teorici di
spicco, poiché ogni decisione politica veniva giustificata facendo appello
all’analisi marxista o, come piú spesso accadeva, richiamandosi all’autorità
testuale dei “classici”: Marx, Engels, Lenin e a suo tempo Stalin. La
pubblicazione e la diffusione popolare dei testi di Marx ed Engels divenne
pertanto una questione assai piú importante per il movimento di quanto non lo fosse
stata nei giorni della Seconda internazionale. [...]
Visto che un grande
stato affermava ora di rappresentare l’ideologia marxista, la posizione del Manifesto
come testo di scienza politica venne rafforzata: il libretto venne inserito nel
programma di insegnamento delle università, destinate a una rapida espansione
dopo la Seconda guerra mondiale e dove il marxismo intellettuale doveva trovare
il suo pubblico piú entusiasta negli anni Sessanta e Settanta.
L’URSS emerse dalla Seconda guerra mondiale
come una delle due superpotenze mondiali, a capo di una vasta area di stati
comunisti. I partiti comunisti occidentali (con la notevole eccezione di quello
tedesco) uscirono dalla guerra piú forti di quanto fossero mai stati o di
quanto avessero mai sperato di essere. Anche se era cominciata la guerra
fredda, nell’anno del suo centenario il Manifesto non era pubblicato
soltanto da editori comunisti o da altri editori marxisti, ma, in grosse
tirature, da editori non politici con introduzioni di accademici di spicco. In
breve non era piú soltanto un classico documento marxista, ma era diventato un
classico del pensiero politico tout court.
Tale resta anche dopo la fine del comunismo
sovietico e il declino dei partiti e dei movimenti marxisti in molte parti del
mondo. Negli stati dove non esiste la censura, quasi certamente il testo è a
disposizione di chiunque possa recarsi in una buona libreria o accedere a una
buona biblioteca. Lo scopo di una nuova edizione nel suo centocinquantesimo
anniversario non è perciò tanto quello di rendere disponibile il testo di
questo stupefacente capolavoro e ancor meno di rivisitare un secolo di
dibattiti dottrinali sulla “corretta” interpretazione di questo fondamentale
documento del marxismo. È invece di ricordare a noi stessi che il Manifesto
ha ancora molto da dire al mondo alla vigilia del ventunesimo secolo.
(K. Marx-F. Engels,
Manifesto del partito comunista,
Rizzoli, Milano, 1998, pagg. 8-18)