URSS,
Cina, Cuba e Vietnam sono stati le mete preferite dei pellegrini politici di
questo secolo. Nei loro pellegrinaggi molti intellettuali occidentali hanno
messo in evidenza i loro valori, desideri, aspirazioni. Inoltre essi hanno
influenzato l’opinione pubblica in patria fino a soffocare le voci critiche
verso i paesi mete dei loro pellegrinaggi. Nel fenomeno preso nella sua
globalità appare evidente quanto possa essere forte il pregiudizio, piú delle
stesse tecniche di manipolazione a cui questi pellegrini venivano sottoposti.
P. Hollander, Political Pilgrims [Pellegrini
politici, 1981]
In tempi recenti, gli intellettuali in cerca di utopie politiche hanno manifestato interesse per quattro paesi in particolare. Come ovvio l’Unione Sovietica è stata, in seguito alla Rivoluzione di ottobre del 1917, il primo centro d’attrazione, sebbene gran parte delle visite in quel paese abbiano avuto luogo soltanto dopo la metà degli anni ’20 e in particolare agli inizi e alla metà degli anni ’30. Certamente meno numerosi, ma determinati dagli stessi motivi furono, verso la metà e la fine degli anni ’60, i viaggi intrapresi verso Cuba, specialmente dopo la rivoluzione del ’58, e verso il Vietnam del Nord.
L’interesse per la Cina tra gli intellettuali americani crebbe e si intensificò, invece, in seguito alle iniziative diplomatiche del 1972, le quali determinarono un aumento straordinario del numero dei viaggiatori. Gli intellettuali europei occidentali visitarono la Cina in gruppi piú sostanziosi già nel corso degli anni ’50 e ’60.
Questi viaggi e pellegrinaggi politici sono significativi sotto molti punti di vista. Prima di tutto, perché forniscono documenti che possono aiutare a capire i valori, le aspirazioni, i desideri e le avversioni di una parte importante ed influente degli intellettuali occidentali. In secondo luogo, perché i racconti dei viaggiatori hanno in definitiva contribuito a formare le nostre concezioni delle società da essi descritte, nonché di quelle dei viaggiatori stessi da cui essi, però, si sentivano estraniati. Come minimo, infatti, l’ondata di valutazioni favorevoli a proposito delle società visitate ha contribuito a sopraffare le voci piú critiche (o per lo meno ridotto la loro credibilità) e senza dubbio neutralizzato l’opinione di coloro che esprimevano dei dubbi. Cosí, a forza di mera ripetizione, sono cresciute insulsaggini e assiomi apparentemente inattaccabili, che hanno guadagnato via via sostegno, e hanno acquistato sempre piú plausibilità.
I resoconti di viaggio testimoniano inoltre, in maniera stupefacente, di come la conoscenza nonché l’indignazione e la compassione morali fossero influenzati dal pregiudizio; e sono proprio questi atteggiamenti a costituire il principale oggetto di questo studio.
Come è stato possibile che intellettuali sensibili, colti e dotati di spirito critico riuscissero a trovare tanto affascinanti società come la Russia staliniana, la Cina maoista e la Cuba castrista, a ignorare tanto facilmente i loro difetti (o nel caso in cui li vedevano a scusarli)? A considerarle tanto straordinariamente superiori alle proprie? Come è stato possibile per molti di loro che hanno visitato quei paesi nei loro momenti storici piú bui (come è stato sicuramente il caso della Russia degli anni ’30 e la Cina durante la rivoluzione culturale), non averne colto il carattere oppressivo? O, quand’anche lo hanno fatto, qual è il meccanismo psicologico e ideologico che ha permesso loro di prendere una posizione tanto indulgente? Davanti a simili domande si viene afferrati da un senso di smarrimento profondo, perché si dà per scontato, di solito, che la qualità principale degli intellettuali sia una disposizione mentale profondamente critica, pronta a cogliere ogni contraddizione, ogni ingiustizia e ogni difetto del mondo sociale.
Gli intellettuali critici delle loro società si sono però dimostrati profondamente sensibili alle rivendicazioni avanzate dai leaders e dai portavoce delle società che hanno visitato nei loro viaggi.
Sono stati inclini, cioè, a concedere ogni giustificazione a quei sistemi sociali e nello stesso tempo abili a scartare ogni elemento che avrebbe potuto offuscare la loro visione positiva. Come possono simili atteggiamenti contraddittori coesistere ed essere conciliati fra loro in un modo costruito cosí bene? Come riescono a convivere stati d’animo intensamente critici (fino ad essere talvolta sospetti) con atteggiamenti mentali cosí decisamente influenzabili e acritici? Riescono a formare questi opposti modi di essere una qualche unità dialettica? Si sostengono reciprocamente e sono possibili l’un l’altro o rappresentano contraddizioni irrisolvibili?
O non è invece possibile che quell’impulso a prima vista spietato, ma critico e realistico – mostrato da questi intellettuali nei confronti della loro società di appartenenza – sia in realtà falsato dalla loro predisposizione ad attribuire il peggio all’ambiente sociale a loro piú familiare, ignorandone sistematicamente le caratteristiche positive? E ancora, fino a che punto le opinioni e i giudizi favorevoli erano indotti dal modo in cui gli ospiti controllavano e manipolavano le impressioni e le esperienze dei visitatori?
Sebbene le manipolazioni delle esperienze dei visitatori – o come io le chiamo, le tecniche dell’ospitalità – e cioè selezionare con cura la realtà da mostrare e manifestare nei confronti degli ospiti attenzioni personali molto lusinghiere – ne influenzassero senza dubbio i giudizi, non credo che queste tecniche fossero decisive. Ciò che era decisivo era la predisposizione degli intellettuali stessi. E questo ci riporta, ancora una volta, alla questione cruciale: in quali circostanze e per quali motivi gli “intellettuali critici” diventano acritici? Quali pressioni conducono, in certe situazioni, all’apparente sospensione di giudizio critico? Come può la sensibilità per l’ingiustizia sociale e l’indignazione per gli abusi del potere politico cedere il passo cosí bruscamente alla lieta accettazione, o negazione, dei guasti che si riscontrano in altri sistemi sociali?
Per rispondere a queste domande bisogna rendersi conto che gli intellettuali, come molta altra gente, usano nei loro giudizi due pesi e due misure e che l’origine della loro indignazione morale e compassione è determinata dalle ideologie e dalle scelte di campo.
P. Hollander, Pellegrini politici, Il
Mulino, Bologna, 1988, pagg. 31-33