Huizinga
afferma che l’uomo di una volta sapeva l’essenziale, che è proprio ciò che
l’uomo d’oggi ha perduto. La prima conseguenza è un indebolimento del giudizio.
Inoltre il consumismo, distraendo continuamente, ha indebolito la capacità di
concentrazione e di riflessione. Infine oggi “l’istruzione rende
sottoistruiti”.
J. Huizinga, La crisi della civiltà,
Einaudi, Torino, 1978, pagg. 43-46
Il contadino, il marinaio, l’artigiano di una volta, nel tesoro delle sue conoscenze pratiche trovava anche lo schema spirituale con cui misurare la vita e il mondo. A meno di essere un chiacchierone – in ogni tempo ce ne furono! – sapeva di essere inadatto a giudicare delle cose estranee al suo ambito. Dove capiva che non arrivava il proprio giudizio, s’inchinava all’autorità. Poteva, nella sua limitatezza, essere saggio. La limitatezza dei suoi modi di esprimersi, puntellata dalla conoscenza delle Sacre Scritture e dei proverbi, gli dava precisamente uno stile e, a volte, lo faceva parere eloquente.
La moderna organizzazione per la diffusione del sapere conduce, ahimè, alla perdita dei salutari effetti di quelle limitazioni. L’uomo medio dei paesi occidentali oggi sa un po’ di tutto, e altre cose ancora. Ha il giornale con la colazione, e il bottone della radio a portata di mano. La sera, dopo aver trascorso la giornata in un lavoro o in un negozio che non gli hanno insegnato nulla di essenziale, lo aspetta un film, un giuoco di carte o un’assemblea.
[...]
Anche dove l’individuo sia animato da un sincero impulso verso il sapere e la bellezza, dato l’ossessionante sviluppo dei mezzi di diffusione meccanica dello scibile, difficilmente egli potrà sottrarsi alla noia di ricevere, bell’e confezionati o strombazzati, giudizi e nozioni. Un sapere, che è a un tempo vario e superficiale, e un orizzonte spirituale che per un occhio non protetto dalla critica è troppo ampio, devono portare inevitabilmente a un indebolimento del giudizio.
[...]
Il meccanismo dei moderni divertimenti di massa costituisce inoltre, essenzialmente, un impedimento alla concentrazione. L’elemento dell’abbandono e della trasfusione nell’opera d’arte, data la riproduzione meccanica di ciò che si vede e si ode, vien meno per forza. Manca quel ripiegamento su quanto vi è in noi di piú profondo e il senso di ciò che, nel momento, vi è di sacro, sono cose che non possono mancare all’uomo che voglia possedere una cultura.
La suggestibilità visiva sempre pronta è il punto attraverso il quale la pubblicità afferra l’uomo moderno, e lo colpisce nel lato debole della sua diminuita capacità di giudicare. Questo vale ugualmente per la pubblicità commerciale come per la propaganda politica. L’annunzio reclamistico con un’immagine impressionante risveglia in noi il pensiero della soddisfazione di un desiderio. Esso dà all’immagine la veste piú sentimentale possibile. Stabilisce uno stato d’animo, e con ciò fa appello alla formazione di un giudizio, che si compie tutto in un rapido istante. Se ci si chiede come di fatto la pubblicità agisca sugli individui, e compia in modo rimunerativo la sua funzione, la risposta non è cosí semplice. L’individuo si risolve egli effettivamente all’acquisto della merce vedendo o leggendo l’annunzio? O questo non fa altro che confermare nel cervello dei piú un ricordo, a cui essi reagiscono meccanicamente? O fa parte del giuoco una tal quale intossicazione cerebrale?
Ancor piú difficile da definire è l’effetto della propaganda politica. Quando un individuo si reca alle urne, può egli essere indotto a votare in un senso anziché in un altro dalla vista delle varie spade, falci e martelli, ruote dentate, pugni, soli che spuntano, mani insanguinate ecc., che i partiti gli fanno balenare dinanzi? Non lo sappiamo e possiamo lasciare insoluto il problema. Certo la pubblicità, in tutte le sue forme, specula su un raziocinio indebolito e, grazie alla sua enorme diffusione e importunità, coopera all’indebolimento.
Il nostro tempo è pertanto dinanzi al fatto umiliante che due grandi progressi culturali, da cui molto ci si aspettava, l’istruzione obbligatoria e la pubblicità, invece di concorrere all’elevazione del livello culturale, come pareva ovvio, portano con sé, nella loro applicazione, alcuni sintomi di degenerazione e d’indebolimento. Nozioni d’ogni genere, in una misura non mai pensata finora, e allestite in modi non mai immaginati, vengono messe a portata delle masse; ma c’è qual cosa che non va nell’attitudine ad assimilare l’istruzione ricevuta in modo che giovi veramente a vivere. Una sapienza non elaborata è d’ostacolo al raziocinio e sbarra la via alla saggezza. L’istruzione rende sottoistruiti. È un orribile giuoco di parole; ma purtroppo contiene un senso profondo.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. V, pagg. 76-79