Johan
Huizinga (1872-1945), storico olandese, è autore di un celebre saggio su Erasmo
pubblicato nel 1924. Nelle pagine conclusive del libro traccia in maniera
sintetica un ritratto del filosofo umanista. Quella che emerge è una figura
contraddittoria: un idealista (nel senso di un “sognatore”) che desidera
cambiamenti profondi, ma che non si impegna fino in fondo per metterli in atto,
una sorta di rivoluzionario moderato. Nessuno dei suoi sogni si è realizzato,
eppure il suo pensiero è stato un punto di riferimento per quanti, anche nei
secoli successivi, si sono impegnati per costruire una società piú tollerante.
In alcuni casi, come in Olanda nel XVII secolo, la lezione di Erasmo ha
sicuramente favorito la cessazione delle persecuzioni contro le “streghe”. Chi
vuole lavorare seriamente alla costruzione di una società multietnica e
multiculturale può trovare ancora oggi uno stimolo nelle riflessioni erasmiane.
J.
Huizinga, Erasmo, XXI
[Erasmo]
si preoccupava troppo degli uomini, e non poteva tacere. Aveva una mente troppo
ricca e versatile, che gli poneva sempre sotto mano troppi argomenti, troppi
casi, troppi esempi, troppe citazioni. Non poteva lasciare andar nulla per il
suo verso. In tutta la sua vita non si concesse mai il tempo per riposare e per
riflettere, e non poté quindi constatare con quanta indifferenza il mondo si
muoveva intorno a lui, mentre egli proseguiva coraggiosamente il suo cammino.
Desiderava piú ardentemente di ogni cosa la tranquillità e l'indipendenza, e
nessuno fu mai piú irrequieto e meno indipendente di lui. Agiva come chi si
avventura nella tempesta con una costituzione troppo delicata. La sua forza di
volontà era assai grande: lavorava giorno e notte fra le piú acute sofferenze
fisiche, con un grande ideale sempre davanti a sé, non mai soddisfatto di quel
che faceva. Soddisfatto di sé non fu mai. Non si vantò mai nemmeno delle sue
cose migliori.
Come
tipo intellettuale Erasmo appartiene al gruppo, indubitabilmente piccolo, di
coloro che sono nello stesso tempo assoluti idealisti e pur tuttavia moderati.
Essi non possono sopportare l'imperfezione del mondo e devono opporvisi, ma
quando si giunge agli estremi, non si sentono a loro agio, hanno paura
dell'azione, perché sanno che essa distrugge altrettanto di quanto costruisce,
e si ritirano; continuano a gridare che tutto deve cambiare, ma quando viene la
crisi esitano, e scelgono il partito della tradizione e della conservazione.
Anche questo è uno degli aspetti tragici della vita di Erasmo: aver visto
meglio di ogni altro il nuovo che stava per venire e non averlo potuto
accettare, pur essendo entrato in conflitto con il vecchio. Volle rimanere
nella vecchia Chiesa dopo averla straordinariamente danneggiata, e rinnegò la
Riforma, ed in un certo senso anche l'umanesimo, dopo aver favorito
straordinariamente l'una e l'altro. Finora il nostro giudizio finale su Erasmo
è dunque stato negativo. Quale è stata la sua importanza positiva?
[...]
Egli fu l'unico degli umanisti che scrivesse veramente per tutti, cioè per
tutte le persone colte; abituò tutto un mondo a una forma di espressione piú
sciolta, diede un'altra direzione agli interessi culturali, agí con la sua
perfetta chiarezza di esposizione, anche attraverso il latino, e indipendentemente
dalle infinite traduzioni dei suoi libri, sullo stile delle lingue volgari;
aprí ai suoi contemporanei una quantità di nuovi registri nel grande organo
dell'espressione umana come doveva fare Rousseau due secoli dopo. [...]
La sua
parola significava qualche cosa di piú che spirito classico e amore per la Bibbia.
Era anche il primo annuncio di una nuova fede nella bontà, educabilità e
perfettibilità dell'umana natura, di un nuovo caldo senso sociale, di un nuovo
spirito di pacifica benevolenza e di tolleranza. [...]
Egli
non fu un anello dello sviluppo delle scienze naturali o della nuova filosofia,
e non aprí certamente vie nuove nel campo delle dottrine politiche, della
storia e dell'economia. Ma finché qualcuno professerà l'ideale che l'educazione
morale e la generale tolleranza possano far felice l'umanità, questa ne dovrà
essere grata ad Erasmo. [...]
Nella
Repubblica delle Sette Provincie l'orrore delle esecuzioni di stregoni e
fattucchiere cessò piú di un secolo prima che in tutti gli altri paesi. Questo
non fu merito dei predicatori riformati. Essi erano partecipi della credenza
popolare che spingeva alle persecuzioni. Erano i magistrati che fin dal
principio del secolo XVII erano troppo illuminati per permettere queste cose.
Possiamo ripetere che lo spirito che si esprime qui è quello di Erasmo, anche
se egli non fu uno di quelli che per primi combatterono quelle crudeltà.
L'umanità
civile ha ragione di tenere in onore il nome di Erasmo, se non altro perché
egli fu il predicatore infinitamente sincero di quella mitezza di costumi di
cui il mondo oggi ha ancora tanto bisogno.
(J.
Huizinga, Erasmo, Mondadori, Milano, 1958, pagg. 224-229)