a) Nascita e tramonto
Il
grande storico olandese ricorda che nella storia accanto alle nascite e alle
rinascite, si incontrano anche i tramonti e i periodi di decadenza, sui quali
la storiografia spesso non si sofferma con la dovuta attenzione.
J.
Huizinga, L'autunno del Medioevo, Introduzione
La
storia si è sempre anche troppo preoccupata di problemi di origine piuttosto
che di quelli di decadenza e fine. Studiando un periodo, noi guardiamo sempre
alle promesse del futuro... Ma nella storia, come nella natura, nascita e morte
si corrispondono... E capita a volte che un periodo a cui si è guardato
soprattutto per la nascita di nuove cose, improvvisamente ci si rivela opera di
decadimento. Quest'opera tratta dei secoli decimoquarto e decimoquinto
considerati come periodi finali, come la conclusione del Medioevo.
(Grande
Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pag. 224)
b) Critica della teoria della
rottura epocale
Johan
Huizinga considera la teoria della rottura epocale fra Medioevo
e Rinascimento come una indebita semplificazione di una storia ben altrimenti
complessa.
J.
Huizinga, L'autunno del Medioevo
Il
rapporto fra Umanesimo nascente e lo spirito del Medioevo morente è molto piú
complicato di quanto siamo soliti credere. Abituati come siamo a vedere le due
civiltà come due complessi nettamente separati, ci sembra che la sensibilità
per l'eterna giovinezza dell'antichità classica e il ripudio del logoro
apparato con cui il Medioevo aveva dato espressione ai suoi pensieri si siano
diffusi come una improvvisa rivelazione. Come se gli animi, mortalmente stanchi
di allegorie e di stile altisonante, avessero compreso a un tratto: non piú
quello, ma questo! Come se l'aurea armonia dei classici fosse apparsa
improvvisamente ai loro occhi come una redenzione, come se essi avessero
accolto l'antichità classica col giubilo di un'anima che ha finalmente trovato
la sua salvezza.
Ma non
è cosí. In mezzo al giardino del pensiero medievale, tra la vecchia vegetazione
ancora lussureggiante, il classicismo è venuto su a poco a poco.
(Grande
Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pag. 226)
c) La “dimensione ludica”
nella cultura cavalleresca
Tanta
parte della storia dell'uomo può essere compresa prestando attenzione alla
“dimensione ludica”. Analizzando questo tema Huizinga constata la continuità
del “sogno dell'ideale cavalleresco” nel Medioevo e nel Rinascimento.
J.
Huizinga, L'autunno del Medioevo
Il
Basso Medioevo è uno di quei periodi terminali in cui la vita sociale delle
classi superiori è diventata quasi del tutto un giuoco di società. La realtà è
violenta, dura e crudele; la si riporta al bel sogno dell'ideale cavalleresco,
e su questo poi si crea il giuoco della vita [...]. In tutta la società
cavalleresca del '400 domina un labile equilibrio fra la serietà sentimentale e
il lieve scherno. Tutti quei concetti cavallereschi di onore, fedeltà, amore,
vengono trattati con perfetta serietà, sennonché di tanto in tanto il fiero
aspetto si spiana un istante in una risata. In Italia questo stato d'animo è
trapassato nella parodia consapevole: nel Morgante del Pulci e nell'Orlando
innamorato del Boiardo. Ma anche lí il sentimento romantico-cavalleresco
riprende talora il sopravvento; nell'Ariosto, all'aperta beffa si è sostituito
quel mirabile superamento tanto dello scherzo che della serietà, nel quale la
fantasia cavalleresca ha trovato la sua espressione piú classica.
(Grande
Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pag. 225)
d) La “dimensione ludica” nel
Rinascimento
Il
Rinascimento espresse la sua dimensione ludica nella ricerca della perfezione,
nell'imitazione degli antichi, nella mitologia, nell'astrologia, nell'idillio
pastorale, nella cavalleria. Ma il gioco non escludeva una profonda serietà
d'intenti.
J.
Huizinga, Homo ludens, cap. XI
Non
esiste nessuna élite conscia e ritirata in sé, che abbia cercato di
costringere la vita a un gioco di immaginata perfezione, cosí autentica come la
società del Rinascimento. Si ricordi sempre che gioco non esclude serietà. Lo
spirito del Rinascimento era tutt'altro che frivolo. Imitare l'antichità era
una questione di sacrosanta serietà. La passione di dedicarsi all'ideale di
creazione plastica e d'invenzione intellettuale era insolitamente intensa,
profonda e pura. È quasi impossibile rappresentarsi figure piú serie di
Leonardo e di Michelangiolo. Eppure tutto l'atteggiamento spirituale del
Rinascimento è gioco. Quell'aspirazione raffinata è al medesimo tempo fresca e
vigorosa verso una nobile e bella forma, è cultura fatta per gioco. Tutto lo
splendore del Rinascimento è una gioiosa o solenne mascherata coi paramenti di
un passato fantastico e ideale. La figura mitologica, l'allegoria e l'emblema
ricercati e sovraccarichi di nozioni astrologiche e storiche sono come le
pedine nel gioco agli scacchi. In architettura e arte grafica la fantasia
decorativa gioca molto piú consapevolmente, con quella sua applicazione di
motivi classici, che non facesse il miniatore medievale colle sue trovate
birichine. Il Rinascimento suscita a nuova vita i due ideali ludici per
eccellenza, l'idillio pastorale e la cavalleria, li suscita cioè a vita
letteraria e festiva. Sarebbe difficile citare un poeta che rappresenti piú puramente
dell'Ariosto il vero spirito ludico. L'Ariosto è inoltre l'uomo che piú
completamente di chiunque altro ci dice il tono e l'atteggiamento del
Rinascimento. Quale altra poesia si è aggirata cosí disinvolta in un assoluto e
perfetto spazio da gioco quanto quella dell'Ariosto? Con quel suo inafferrabile
fluttuare fra emozione patetico-eroica e senso comico, in una sfera di armonia
quasi musicale, tutto sottratto alla realtà eppure popolato delle piú visibili
figure, e soprattutto con quella sua infallibile letizia di timbro, l'Ariosto è
per cosí dire la dimostrazione dell'identità di gioco e poesia.
Al
termine dell'Umanesimo sogliamo unire nozioni meno colorite, magari piú serie
che a quello di Rinascimento. Eppure, considerando da presso, vale anche per
l'Umanesimo ciò che già abbiamo osservato del carattere ludico del
Rinascimento. Quasi ancora piú di quest'ultimo, l'Umanesimo è riservato ad un
cerchio di iniziati e di intenditori. Gli umanisti coltivarono un ideale di
vita e di spirito rigorosamente formulato. Anzi, mediante le loro antiche
figurazioni pagane e mediante la lingua classica seppero dare espressione anche
alla loro fede cristiana, introducendovi però in tal modo un accento fittizio
di cosa non presa completamente sul serio. Quella lingua umanistica non seppe
adattarsi bene al tono di Cristo. Calvino e Lutero non sopportarono in materia
di cose sacre il tono dell'umanista Erasmo. Erasmo: come tutto il suo essere
porta l'impronta del gioco! Che irradia non soltanto dall'Elogio della
Pazzia e dai Colloqui, ma anche dalle Adagia, dall'arguzia
voluttuosamente scherzosa delle sue lettere, anzi talvolta perfino dalle sue
opere piú serie.
(J.
Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino, 1949, pagg. 224-225)