Johan
Huizinga (1872-1945) storico di grande e originale personalità, ha inteso il
suo lavoro come un tentativo di far rivivere un’epoca in tutta la sua
completezza e complessità. Egli è importante anche per i suoi studi sulla
dimensione ludica, che considera un’espressione fondamentale della vita umana e
della storia. Le sue opere piú famose sono L’autunno del Medioevo (1919)
e Homo ludens (1938).
In questa
lettura Huizinga tratta dell’importanza storica che possiede un sogno
ricorrente nella vita dell’uomo, quello di “una vita piú bella”.
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo,
Sansoni, Firenze, 19856, pagg. 44-46
L’aspirazione a una vita piú bella ha in ogni tempo visto dinanzi a sé tre vie verso la lontana meta. La prima conduceva fuori del mondo: il sentiero della rinunzia. La vita piú bella vi appare raggiungibile soltanto nell’al di là; può essere soltanto una redenzione da ogni cosa terrena; ogni partecipazione al mondo è dissipazione e ritarda la salute promessa. In ogni civiltà superiore questa strada è stata battuta; il Cristianesimo aveva inculcato questa tendenza, come sostanza della vita individuale e sociale, cosí fortemente negli spiriti che per molto tempo la possibilità di seguire la seconda via fu completamente preclusa.
La seconda era la via che conduceva al miglioramento e al perfezionamento del mondo stesso. Il Medioevo l’ha conosciuta appena. Per esso il mondo era buono ed era cattivo nella misura che poteva esserlo, vale a dire che tutte le istituzioni poiché volute da Dio, erano buone, ed era il peccato degli uomini a tenere il mondo nella miseria. Quell’epoca ignora uno sforzo cosciente per il miglioramento e la riforma delle istituzioni sociali e politiche, come stimolo al pensiero e all’azione. Esercitare la virtú nella propria professione è l’unica cosa che possa giovare al mondo, e anche in questo caso il vero scopo è la vita nell’al di là. Persino quando si crea in effetti una nuova forma sociale, la si considera sostanzialmente come la reintegrazione del buon diritto antico o come l’abolizione di abusi operata da una magistratura a bella posta delegata per tale faccenda. L’istituzione cosciente di organismi veramente nuovi è rara, perfino nella grande opera legislativa che la monarchia francese aveva iniziato da San Luigi in poi e che i duchi di Borgogna continuarono nei loro Stati. Essi non sono ancora consapevoli, o lo sono appena, che, con quel lavoro, si attua uno sviluppo dell’ordinamento statale verso forme piú efficaci. Emanano ordinanze e insediano magistrature, perché il loro compito immediato di promuovere il benessere comune lo richiede, non perché si tenda seriamente verso un ben definito avvenire politico.
Niente ha cosí fortemente contribuito a creare lo stato di pessimismo e di disperazione quanto questa assenza di una ferma volontà di costruire un mondo migliore e piú felice. Nel mondo stesso non c’era promessa alcuna di cose migliori. Chi anelava al meglio e tuttavia non sapeva dire addio al mondo e alle sue gioie, non aveva altro davanti a sé che la disperazione, non era piú capace né di speranza né di letizia; al mondo era riservata ancora una breve durata e in questa non lo attendeva che miseria.
Quando si prenderà a battere la via del miglioramento positivo del mondo, si inizierà una nuova epoca, in cui l’angoscia cederà il posto al coraggio e alla speranza. Realmente, è soltanto il secolo decimottavo che ha posto questa idea. Il Rinascimento aveva ancora attinto ad altre sorgenti la sua risoluta affermazione della vita. Solo il secolo decimottavo erige a suo dogma centrale l’idea della perfettibilità dell’uomo e della società, e il secolo seguente ha perduto soltanto quell’ingenuità, non il coraggio e l’ottimismo.
Il terzo sentiero verso un mondo piú bello conduce nel regno dei sogni. È la via piú comoda, ma sulla quale la meta si mantiene sempre ugualmente lontana. Se la realtà terrena è cosí penosa e senza speranze, e la rinunzia al mondo cosí difficile, coloriamo la vita di belle apparenze, viviamo in un paese di sogni e di luminose fantasie, mitighiamo la realtà colle estasi dell’ideale. Basta un semplice tema, un unico accordo purché risuoni la fuga rasserenante: basta uno sguardo gettato sulla felicità fiabesca in un passato piú bello, sul suo eroismo e sulla sua virtú, oppure anche basta il giocondo raggio di sole della vita in mezzo alla natura, il piacere della natura. Su questi pochi temi, il tema eroico, quello della saggezza e quello bucolico, si è formata tutta la cultura letteraria dall’antichità in poi. Medioevo, Rinascimento, secolo decimottavo e decimonono, tutti insieme trovano poco piú che nuove variazioni della vecchia canzone.
Quel terzo sentiero verso una vita piú bella, la evasione dalla dura realtà verso una bella illusione, è però soltanto un motivo letterario? Certamente è qualcosa di piú. Esso influisce sulla forma e sul contenuto della vita sociale non meno delle due altre tendenze, e tanto piú là dove la civiltà è piú primitiva.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. V, pagg. 72-73