Huizinga, Regole e trasgressioni

A) Una caratteristica del gioco consiste nel suo essere ben delimitato nello spazio e nel tempo. Inoltre esso è una forma di cultura, necessita di regole precise ed infine possiede una sua armonia e bellezza.

 

J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino, 1972, pagg. 13-14

 

Il gioco s’isola dalla vita ordinaria in luogo e durata. Ha un terzo contrassegno nella sua indole conchiusa, nella sua limitazione. Si svolge entro certi limiti di tempo e di spazio. Ha uno svolgimento proprio e un senso in sé.

Ecco qui dunque una caratteristica nuova e positiva del gioco. Il gioco comincia e a un certo momento è finito. Mentre ha luogo c’è un movimento, un andare su e giú, un’alternativa, c’è il turno, l’intrigo e il distrigo. Ora, alla sua limitazione nel tempo si collega immediatamente un’altra qualità curiosa. Il gioco si fissa subito come forma di cultura. Giocato una volta, permane nel ricordo come una creazione o un tesoro dello spirito, è tramandato, e può essere ripetuto in qualunque momento, sia subito, sia anche dopo un lungo intervallo. Questa possibilità di ripresa è una delle qualità essenziali del gioco. Vale non solo per il gioco come un tutto, ma anche per la sua struttura interna. In quasi tutte le forme piú sviluppate del gioco si possono riscontrare gli elementi della ripresa del ritornello, del cambio di turno.

Notevole piú ancora della sua limitazione nel tempo è la sua limitazione nello spazio. Ogni gioco si muove entro il suo ambito, il quale, sia materialmente, sia nel pensiero, di proposito o spontaneamente, è delimitato in anticipo. Come formalmente non vi è distinzione tra un gioco e un rito, e cioè il rito si compie con le forme stesse d’un gioco, cosí formalmente non si distingue il luogo destinato al rito da quello destinato al gioco. L’arena, il tavolino da gioco il cerchio magico, il tempio, la scena, lo schermo cinematografico, il tribunale, tutti sono per forma e funzione dei luoghi di gioco, cioè spazio delimitato, luoghi segregati, cinti, consacrati sui quali valgono proprie e speciali regole. Sono dei mondi provvisori entro il mondo ordinario, destinati a compiere un’azione conchiusa in sé.

Entro gli spazi destinati al gioco, domina un ordine proprio e assoluto. Ed ecco qui un nuovo e piú positivo segno del gioco: esso crea un ordine, è ordine. Realizza nel mondo imperfetto e nella vita confusa una perfezione temporanea limitata. L’ordine imposto dal gioco è assoluto. La minima deviazione da esso rovina il gioco, gli toglie il suo carattere e lo svalorizza. In quello stretto rapporto con l’idea dell’ordine sta indubbiamente la ragione per cui il gioco, come già osservammo di sfuggita qui sopra, pare situato per tanta parte sul terreno dell’estetica. Dicemmo che il gioco tende a essere bello. Questo fattore è forse identico a quell’impulso a creare forme ordinate da cui è penetrato il gioco in tutti i suoi aspetti. I termini coi quali possiamo definire gli elementi del gioco provengono, in gran parte, dalla sfera dell’estetica. Sono i termini con i quali cerchiamo d’esprimere anche effetti di bellezza: tensione, equilibrio, oscillamento, scambio di turno, contrasto, variazione, intreccio e soluzione. Il gioco vincola e libera. Attira l’interesse. Affascina, cioè incanta. È ricco delle due qualità piú nobili che l’uomo possa riconoscere nelle cose ed esprimere egli stesso: ritmo e armonia.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. V, pag. 81

 

B) Il gioco ha le sue regole, la cui trasgressione è contemplata e tollerata. Ma il porsi fuori dal gioco è un elemento di distruzione del gioco stesso.

 

J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino, 1972, pagg. 15-16

 

Ogni gioco ha le sue regole. Esse determinano ciò che varrà dentro quel mondo temporaneo delimitato dal gioco stesso. Le regole del gioco sono assolutamente obbligatorie e inconfutabili. Paul Valéry l’ha detto incidentalmente, ed è un’idea di portata assai grande: riguardo alle regole del gioco non è possibile lo scetticismo. Infatti la base che le determina viene rivelata qui come irremovibile. Non appena si trasgrediscono le regole, il mondo del gioco crolla. Non esiste piú il gioco. Il fischietto dell’arbitro scioglie la malía e ristabilisce il “mondo normale”. Il giocatore che s’oppone alle regole o vi si sottrae, è un guastafeste. L’idea della lealtà è inerente al gioco. Il guastafeste è tutt’altra cosa che non il baro. Quest’ultimo finge di giocare il gioco. In apparenza continua a riconoscere il cerchio magico del gioco. I partecipanti al gioco gli perdonano la sua colpa piú facilmente che al guastafeste, perché quest’ultimo infrange il loro mondo stesso. Sottraendosi al gioco questi svela la relatività e la fragilità di quel mondo-del-gioco in cui si era provvisoriamente rinchiuso con gli altri. Egli toglie al gioco l’illusione, l’inlusio (che corrisponde in realtà a l’essere nel gioco), espressione pregna di significato. Perciò egli deve essere annientato; giacché minaccia l’esistenza della comunità “giocante”. La figura del guastafeste è rappresentata con chiarezza maggiore che altrove nel gioco dei ragazzi. La piccola comunità non si domanda se il guastafeste diventi un rinnegato perché non osa o perché gli manca invece il permesso paterno. O piuttosto la comunità non riconosce un “non avere il permesso”, e lo chiama un “non osare”. Il problema dell’ubbidienza e della coscienza per i ragazzi in generale non va oltre il timore del castigo. Il guastafeste infrange il loro mondo magico, perciò è vile e viene espulso. Anche nel mondo della grave serietà i bari, gli ipocriti, i mistificatori hanno sempre incontrato piú facilitazioni dei guastafeste: cioè gli apostati, gli eretici, gli innovatori, i catturati nella propria coscienza.

A meno che, e ciò accade sovente, questi ultimi non creino a loro volta immediatamente una nuova comunità con una propria regola nuova. Proprio l’outlaw (il fuori legge), il rivoluzionario, il carbonaro, l’eretico hanno una fortissima tendenza a formare gruppo, e quasi sempre hanno contemporaneamente un carattere profondamente ludico.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. V, pagg. 82-83