Hume rifiuta i libri di teologia
e di metafisica scolastica non in maniera aprioristica, ma soltanto perché essi
non legano il ragionamento astratto alle questioni pratiche e il ragionamento
sperimentale alla riflessione piú generale.
D. Hume, Ricerca
sull’intelletto umano, Sez. dodicesima, Parte prima
La scienza del divino o teologia,
in quanto prova l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, risulta in parte
di ragionamenti su fatti particolari, in parte di ragionamenti su fatti
generali. Essa ha un fondamento nella ragione, in tanto in quanto è
sostenuta dall’esperienza. Ma il suo fondamento migliore e piú solido è la fede
e la rivelazione divina.
La morale e la critica non sono
propriamente oggetti dell’intelletto, quanto del gusto e del sentimento. La
bellezza, sia morale che naturale, è piú propriamente sentita, che percepita
con l’intelletto. O, se ragioniamo intorno ad essa e cerchiamo di stabilirne il
criterio, consideriamo un fatto nuovo, cioè i gusti generali degli uomini, o
qualche fatto del genere, che possa esser oggetto di ragionamento e di ricerca
speculativa.
Quando scorriamo i libri di una
biblioteca, persuasi di questi princípi, che cosa dobbiamo distruggere? Se ci
viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica
scolastica, domandiamoci: Contiene qualche ragionamento astratto sulla
quantità o sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale su
questioni di fatto e di esistenza? No. E allora, gettiamolo nel fuoco,
perché non contiene che sofisticherie ed inganni.
(D. Hume, Opere, Laterza,
Bari, 1971, vol. II, pag. 175)