Hume, La politica

Hume procede all’analisi delle concezioni politiche seguendo il metodo di separare le teorie astratte dalla pratica della vita quotidiana: emerge cosí che anche in questo caso esiste una grande contraddizione fra l’elaborazione dei filosofi e la gestione reale degli stati.

 

D. Hume, Sul contratto originale

 

Come non c’è partito nell’età presente che possa mantenersi senza un sistema di princípi filosofico o speculativo annesso a quello pratico o politico, cosí vediamo che ciascuna delle fazioni in cui la nazione inglese è divisa ha messo su un edificio del primo tipo al fine di proteggere e coprire il piano d’azione che ha in vista. [...] L’un partito, facendo risalire il governo alla Divinità, cerca di renderlo talmente sacro e inviolabile che, per quanto tirannico possa diventare, sarà poco men che sacrilegio toccarlo o attaccarlo anche nella piú piccola cosa. L’altro partito, fondando il governo del tutto sul consenso del popolo, suppone che ci sia una specie di contratto originario per il quale i sudditi si sono tacitamente riservati il potere di resistere al loro sovrano tutte le volte che si trovino oppressi dall’autorità che gli hanno per certi scopi volontariamente affidata. Sono questi i princípi speculativi dei due partiti, e sono queste altresí le conseguenze pratiche che essi ne deducono.

Presumo di affermare che entrambi questi sistemi di princípi speculativi sono esatti, sebbene non nel senso inteso dai due partiti, e che entrambi i piani di pratiche conseguenze sono prudenti, benché non fino al punto estremo a cui ciascun partito ha di solito cercato di portarle in opposizione all’altro.

[...] La forza naturale di un uomo consiste soltanto nel vigore delle sue membra e nella saldezza del suo coraggio, che non basterebbero mai ad assoggettare delle moltitudini agli ordini di uno solo. [...]

Ma i filosofi che hanno aderito a un partito (se questa non è una contraddizione in termini) asseriscono non soltanto che il governo nella sua prima infanzia sorse dal consenso o piuttosto dall’acquiescenza volontaria del popolo, ma anche che persino oggi, quando ha raggiunto la piena maturità, non poggia su altro fondamento. Affermano che tutti gli uomini sono nati uguali e non devono obbedienza a nessun principe o governo a meno che non siano vincolati dall’obbligo e sanzione di una promessa. E poiché nessun uomo rinuncerebbe senza un equivalente ai vantaggi della libertà originaria, per sottomettersi al volere di un altro, questa promessa va sempre intesa in senso condizionale e non impone a lui obbligo alcuno, a meno che non riceva giustizia e protezione dal proprio sovrano. Questi sono i vantaggi che il sovrano gli promette in cambio, e se manca nell’adempimento ha infranto da parte sua gli articoli del patto, e pertanto ha liberato il suddito da ogni obbligo di obbedienza. Tale è, secondo questi filosofi, in ogni governo il fondamento dell’autorità, e tale il diritto alla resistenza posseduto da ogni suddito.

Ma questi ragionatori, se si guardassero intorno, non troverebbero nulla che corrisponda minimamente alle loro idee o possa giustificare un sistema cosí elaborato e filosofico. Al contrario troviamo ovunque dei pr’ncipi i quali pretendono che i sudditi siano loro proprietà e fanno derivare il loro indipendente diritto di sovranità da conquista o successione. E troviamo ovunque dei sudditi che riconoscono questo diritto nel loro principe, e si suppongono nati con l’obbligo di obbedire a un certo sovrano nella stessa misura in cui si considerano obbligati alla riverenza e al dovere verso i genitori. Queste connessioni sono sempre considerate ugualmente indipendenti dal nostro consenso in Persia e in Cina, in Francia e in Spagna, e persino in Olanda e in Inghilterra, dovunque le dottrine summenzionate non siano state accuratamente inculcate. Obbedienza o soggezione diventano cosí abituali che i piú degli uomini non se ne domandano mai l’origine o la causa, piú che non si chieda del principio di gravità, di attrito o delle leggi piú universali della natura. O se mai la curiosità li spinge, non appena apprendono che essi e i loro avi sono stati per diverse età o da tempo immemorabile soggetti a una tale forma di governo o una tale famiglia, immediatamente consentono e riconoscono il loro obbligo di obbedienza. Se andaste a predicare nella maggior parte dei Paesi che le connessioni politiche si fondano del tutto sul consenso volontario o su una promessa reciproca, presto il magistrato vi imprigionerà come sediziosi perché allentate i vincoli dell’obbedienza, se non saranno i vostri amici a ricoverarvi come pazzo per aver avanzato idee cosí assurde. È strano che un atto della mente compiuto, si suppone, da ogni individuo, per giunta dopo che egli è pervenuto all’uso della ragione (altrimenti non avrebbe autorità), è strano, dico, che questo atto sia talmente sconosciuto a tutti loro, che sulla faccia della Terra a stento ne rimane traccia o ricordo.

 

(D. Hume, Opere, Il Mulino, Bologna, 1962, pagg. 88-89)