Hume, pur rifiutando il principio
di causa e ogni forma di meccanicismo, riconosce la presenza di un “governo”
dell’Universo: non una forza ineludibile - come la forza di gravità - e nemmeno
leggi di tipo matematico che presumono relazioni sempre certe, sicure e vere,
ma una “forza gentile”, che crea una sorta di armonia in tutto il creato. E
quindi non è difficile ammettere attraverso un discorso razionale l’esistenza
di “un autore intelligente”. Il concetto di divinità sostenuto da Hume è quello
tipico del teismo.
Ciò che è intollerabile agli occhi di Hume è la discrepanza totale fra i
princípi delle religioni e i comportamenti pratici dei fedeli. Ciò che non può
dare la religione può darlo la filosofia, a condizione che ci si mantenga
all’interno delle sue facoltà.
D. Hume, Storia naturale della
religione, Introduzione, Corollario generale
Dato che ogni indagine
riguardante la religione è della massima importanza, due problemi si impongono
soprattutto alla nostra attenzione: il primo è quello dei suoi fondamenti
razionali, l’altro concerne le sue origini nella natura umana. Per fortuna il
primo - che è il piú importante - può essere risolto nel modo piú ovvio o
almeno piú chiaro. L’intera costituzione della natura rivela un autore
intelligente; e nessuno che indaghi secondo ragione può, dopo seria
riflessione, sospendere sia pure per un momento la sua credenza nei primi
princípi dello schietto teismo e della religione. Ma il problema dell’origine
della religione nella natura umana va incontro a difficoltà maggiori. La
credenza in un potere invisibile e intelligente è sempre stata diffusa
largamente nella razza umana, in tutti i luoghi e in tutte le età, ma non è mai
stata cosí universale da non ammettere eccezioni, né ha suggerito idee affatto
uniformi. Si è scoperto qualche popolo privo di sentimenti religiosi, se c’è da
credere a quello che dicono i viaggiatori e gli storici; ma non esistono due
popoli, e neppure due uomini qualsiasi, che siano perfettamente convinti della
medesima opinione. Sembra, dunque, che questi preconcetti non sorgano da un
istinto o da un impulso spontaneo della natura, come quello donde nascono
l’amor proprio, l’affezione fra i due sessi, l’amore per i figli, la gratitudine,
il risentimento: giacché ogni istinto di questo genere risulta per esperienza
assolutamente universale in tutti i popoli e in tutte le età e ha sempre un
oggetto preciso e determinato che persegue inflessibilmente. I primi princípi
religiosi devono essere secondari, poiché varie cause ed accidenti possono
pervertirli, ed anche i loro effetti, in alcuni casi - per un concorso
straordinario di circostanze - possono essere totalmente pervertiti. [...]
La tendenza generale a credere in
un potere invisibile e intelligente, se non è un istinto originario, è almeno
qualcosa di generalmente connesso alla natura umana, e lo si può considerare
una sorta di marchio con il quale l’artefice ha contrassegnato la propria
opera; e non c’è cosa che possa fare piú onore all’uomo del fatto di
distinguersi cosí dalle altre parti della creazione e di recare in sé
l’impronta del creatore universale. Ma osservate come tale immagine si presenta
nelle religioni popolari di tutto il mondo: come viene sfigurata la divinità nelle
nostre rappresentazioni! Quanti capricci, quante assurdità e immoralità le
vengono attribuite! Come è degradata anche al di sotto dell’indole degli uomini
ai quali di solito, nella vita comune, attribuiamo buon senso e virtú!
Quale nobile privilegio della
specie umana è quello di poter attingere la conoscenza dell’essere supremo e di
inferire dalle opere visibili della natura la sublime idea della creazione! Ma
rovesciate la medaglia. Percorrete varie età e vari popoli. Esaminate i
princípi religiosi che sono prevalsi di fatto: non vi potrete persuadere che
siano qualcosa di piú che morbosi sogni dell’uomo. O forse li crederete
immaginazioni capricciose di scimmie travestite, non asserzioni serie, positive
e dogmatiche di esseri che si fregiano dell’attributo di ragionevoli.
Ascoltate le proteste di tutti
gli uomini: nulla è piú saldo della loro religione. Esaminate la loro vita: non
riuscirete a persuadervi che abbiano la benché minima fede in tale religione.
Lo zelo piú grande e autentico
non ci salva dall’ipocrisia. La piú aperta empietà va congiunta al terrore
segreto e alla compunzione. Non esistono madornali assurdità teologiche che non
siano state accolte, a volte, anche dalle persone piú intelligenti e cólte. Non
ci sono precetti rigorosi che non siano stati adottati dagli uomini piú
voluttuosi e scapestrati.
L’ignoranza è madre della
devozione: è una
massima proverbiale, che l’esperienza generale conferma. Ma cercate un popolo
interamente privo di religione. Se lo troverete, siate certi che vi apparirà di
poco superiore ai bruti. C’è cosa piú pura di certe massime morali, incluse in
certi sistemi teologici? C’è cosa piú turpe delle pratiche che codesti sistemi
comportano?
Le confortanti prospettive
suggeriteci dalla certezza di una vita futura sono seducenti e piacevoli. Ma
come si dissolvono rapidamente dinanzi ai connessi terrori, che
s’impadroniscono dell’animo umano in modo ben piú saldo e durevole!
Tutto è ignoto: un enigma, un
inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono
l’unico risultato della nostra piú accurata indagine in proposito. Ma tale è la
fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile delle opinioni,
che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non
guardando piú lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar
tenzone; intanto, mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle
regioni della filosofia, oscure ma tranquille.
(D. Hume, Storia naturale della
religione, Laterza, Bari, 1994, pagg. 45-46, 147-149)