Hume ha suddiviso in sette tipi
le relazioni fra le idee; fra queste, le “relazioni matematiche” sono le uniche
che consentono “di portare avanti una serie di ragionamenti anche molto
intricati con perfetta esattezza e certezza”. Un livello cosí elevato di
certezza non è però riferibile a tutte le relazioni matematiche, ma soltanto a
quelle descritte dall’algebra e dall’aritmetica. L’esattezza della matematica
nasce dalla possibilità di usare modelli astratti; anche le idee matematiche,
però, hanno una origine empirica.
D. Hume, Trattato sulla natura
umana, I, III, 1
La geometria, ossia l’arte
con cui stabiliamo le proporzioni delle figure, benché superi di molto in
universalità ed esattezza gli slegati giudizi dei sensi e dell’immaginazione,
tuttavia non raggiunge mai una precisione perfetta. I suoi primi princípi
derivano pur sempre dalla comune apparenza degli oggetti; e questa apparenza,
se uno considera la prodigiosa sottigliezza di cui è capace la natura, non può
mai fornire la certezza. Le nostre idee sembrano rassicurarci sul fatto che due
linee rette non possono avere un segmento comune; ma se esaminiamo queste idee
troviamo che in realtà esse suppongono sempre una sensibile inclinazione delle
due linee e che, quando l’angolo tra esse è piccolissimo, non disponiamo di
alcun modello di retta tanto preciso da garantirci la verità di quella
proposizione.
L’algebra e l’aritmetica sono le
uniche scienze, nelle quali possiamo portare avanti una serie di ragionamenti
anche molto intricati con perfetta esattezza e certezza. Noi possediamo un
modello preciso con cui giudichiamo dell’uguaglianza e della proporzione dei
numeri e, a seconda che essi corrispondano o no a quel modello, ne determiniamo
i rapporti senza possibilità di errore. Quando due numeri sono combinati in
modo che uno abbia sempre una unità corrispondente a ciascuna unità dell’altro,
noi diciamo che sono uguali; ed è appunto per la mancanza di un simile modello
di uguaglianza nell’estensione che la geometria non può ritenersi una scienza
perfetta e infallibile.
Qui occorre nondimeno eliminare
la difficoltà derivante dall’affermare che la geometria, benché manchi della
precisione e della certezza proprie dell’algebra e dell’aritmetica, superi pur
sempre di molto il giudizio dei sensi e dell’immaginazione. La ragione per cui
imputo questo difetto alla geometria è che i suoi princípi originari e
fondamentali sono derivati semplicemente dalle apparenze; cosí si potrebbe
pensare che tale mancanza debba sempre accompagnarla e le impedisca di
ottenere, nel confronto degli oggetti o delle idee, una esattezza maggiore di
quella conseguita dagli occhi e dalla immaginazione. Ora io ammetto che quel
difetto l’accompagni sempre, tanto da impedirle una completa certezza; ma poiché
i suoi princípi fondamentali dipendono da apparenze piú facili e meno
ingannevoli, essi godono nelle loro conseguenze di un grado di esattezza che
queste non riuscirebbero ad avere per se stesse: l’occhio non può determinare
che gli angoli di un chilogono sono uguali a 1996 angoli retti e neppure
avvicinarsi con congetture a questa proporzione; ma quando esso stabilisce che
due rette non possono coincidere o che fra due punti dati non passa che una
sola retta, i suoi errori non sono di grande rilievo. La natura e la utilità
della geometria consistono nel tenerci fermi a tali apparenze, che per la loro
semplicità non possono indurre in grave errore. [...]
La matematica pretende che le
idee costituenti i suoi oggetti siano di natura troppo alta e spirituale per
essere concepite dalla fantasia, e che debbano essere considerate da un punto
di vista puro e intellettuale di cui soltanto le facoltà superiori dell’anima
sono capaci. La stessa nozione si incontra spesso in filosofia, dove si adopera
soprattutto per spiegare le idee astratte e mostrare come possiamo, per
esempio, farci idea di un triangolo che non sia né isoscele né scaleno, né
abbia alcuna particolare lunghezza o proporzione di lati. È facile capire
perché i filosofi amino tanto questa nozione di spirituali e pure concezioni;
essi nascondono, in questo modo, molte delle loro assurdità e possono ricorrere
a idee oscure e incerte invece di sottomettersi a quelle chiare. Ma per
eliminare questo artificio, basta riflettere sul principio, già richiamato piú volte,
che tutte le nostre idee sono copie di impressioni. Ne possiamo subito
concludere che, essendo le impressioni sempre chiare e precise, le idee, le
quali ne rappresentano la copia, lo debbano essere ugualmente e non possono, se
non per colpa nostra, contenere alcunché di oscuro e di confuso. Un’idea è per
sua natura piú debole e languida di una impressione; ma poiché essa è identica
a questa per ogni altro riguardo, non può implicare niente di tanto misterioso.
(D. Hume, Trattato sulla natura
umana, in Il pensiero di David Hume, a cura di A. Santucci,
Loescher, Torino, 1972, pagg. 67-70)