Hume, Ragione e scetticismo

Lo scettico usa la ragione come arma contro le certezze della ragione stessa. Vari tipi di scetticismo. Lo scetticismo moderato. Il realismo “naturale” e la critica filosofica.

D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, Sez. dodicesima, Parte prima

 

Non v’è quantità di ragionamenti filosofici, dispiegati su un soggetto qualsiasi, maggiore di quella che prova l’esistenza di Dio e che confuta gli errori degli atei; e tuttavia i filosofi piú vicini alla religione discutono ancora se un uomo qualsiasi possa essere cosí cieco da professarsi ateo dal punto di vista speculativo. Come concilieremo queste contraddizioni? I cavalieri erranti che andarono vagando per liberare il mondo dai draghi e dai giganti, non furono mai toccati dal minimo dubbio intorno all’esistenza di questi mostri.

Lo scettico è un altro nemico della religione, che provoca naturalmente l’indignazione di tutti i teologi e dei filosofi austeri; sebbene sia certo che nessun uomo si è mai imbattuto in un essere tanto assurdo, né ha potuto avere rapporti con qualcuno che non avesse opinione alcuna o alcun principio intorno a qualche argomento, sia di ordine pratico che di ordine speculativo. Ciò dà luogo ad una domanda molto naturale: che cosa s’intende per scettico? E fin dove è possibile spingere avanti questi princípi filosofici del dubbio e dell’incertezza? V’è una specie di scetticismo, antecedente ad ogni studio ed ad ogni filosofia, che è molto raccomandata da Descartes e da altri, come sommamente atta a salvare dall’errore e dal giudizio precipitoso. Costoro raccomandano un dubbio universale, non soltanto su tutte le nostre iniziali opinioni e princípi, ma anche sulle nostre stesse facoltà; della cui veracità, dicono, dobbiamo assicurarci mediante una serie di ragionamenti dedotti da qualche principio originario che non possa essere falso o ingannevole. Ma non c’è un principio originario del genere, che abbia una prerogativa rispetto agli altri princípi, quella di essere auto-evidente e convincente; o, se ci fosse, non potremmo fare un passo al di là di esso, se non usando proprio quelle stesse facoltà di cui si è già detto che dobbiamo diffidare. Perciò il dubbio cartesiano, anche se si potesse conseguire da parte di qualcuno (il che evidentemente non è), sarebbe assolutamente irrimediabile e nessun ragionamento potrebbe mai portarci ad uno stato di sicurezza e di convinzione su un oggetto qualsiasi.

Bisogna, tuttavia, confessare che questa specie di scetticismo, quand’è piú moderato, si può intendere in un senso molto ragionevole ed è un avviamento necessario allo studio della filosofia in quanto conserva ai nostri giudizi una giusta imparzialità ed allontana la nostra mente da tutti quei pregiudizi che possiamo aver assorbito per via dell’educazione e delle opinioni accolte senza riflessione. Incominciare con princípi chiari ed evidenti in se stessi, avanzare con passi cauti e sicuri, rivedere spesso le nostre conclusioni ed esaminare attentamente tutte le loro conseguenze; anche se in questo modo faremo dei progressi lenti e modesti nei nostri sistemi, sono questi gli unici metodi coi quali possiamo sempre sperare di conseguire la verità e di raggiungere nelle nostre determinazioni una stabilità e una certezza adeguate.

C’è un’altra specie di scetticismo, conseguente alla scienza ed alla ricerca quando gli uomini suppongono di aver scoperto o l’assoluta fallacia delle loro facoltà mentali, o la loro incapacità a conseguire qualsiasi determinazione fissa in tutti quei caratteristici argomenti di speculazione nei quali le facoltà mentali vengono solitamente impiegate. Anche i nostri stessi sensi sono messi in discussione da certi filosofi; e le massime che regolano la vita quotidiana vengono sottoposte allo stesso dubbio cui vanno incontro i princípi o le conclusioni piú profonde della metafisica o della teologia. Poiché queste opinioni paradossali (se pur si possono chiamare opinioni) si incontrano in alcuni filosofi ed in parecchi altri filosofi si trova la loro confutazione, gli uni e gli altri eccitano naturalmente la nostra curiosità e ci spingono a ricercare gli argomenti sui quali possono fondare le loro asserzioni.

Non ho bisogno di insistere sui piú comuni argomenti adoperati dagli scettici di tutti i tempi contro l’evidenza dei sensi; come quelli che sono desunti dall’imperfezione e dalla fallacia dei nostri organi in innumerevoli casi; il remo che appare spezzato se immerso nell’acqua; i vari modi in cui gli oggetti si mostrano a seconda della diversa distanza in cui si trovano; la doppia immagine che si ha con la pressione su un occhio; e molte altre apparenze della stessa natura. Questi argomenti scettici, in verità, servono solo a provare che non bisogna fare implicitamente affidamento soltanto sui sensi, ma che dobbiamo correggere la testimonianza dei sensi per mezzo della ragione e per mezzo di considerazioni derivate dalla natura del mezzo, dalla distanza dell’oggetto, dalla disposizione dell’organo, allo scopo di rendere i sensi, entro il loro ambito, criteri appropriati di verità e di falsità. Vi sono altri profondi argomenti contro i sensi, che non ammettono una soluzione cosí facile.

Sembra evidente che gli uomini sono portati da un istinto o prevenzione naturale a porre fede nei loro sensi; e che, senza alcun ragionamento, o almeno prima dell’uso della ragione, noi ammettiamo sempre che esista un mondo esterno e che non dipende dalla nostra percezione, ma esisterebbe anche se noi e qualsiasi essere sensibile non ci fossimo o fossimo annientati. Anche gli altri animali sono governati da un’opinione simile e conservano questa fede negli oggetti esterni in tutti i loro pensieri, intendimenti ed azioni.

Sembra evidente anche che, quando gli uomini seguono questo istinto di natura, cieco e potente, suppongono sempre che le stesse immagini presentate dai sensi siano gli oggetti esterni e non nutrono mai alcun sospetto che le prime siano soltanto rappresentazioni dei secondi. Questa stessa tavola, che vediamo bianca e che sentiamo dura, si crede che esista indipendentemente dalla nostra percezione e che sia qualche cosa di esterno alla nostra mente che la percepisce. La nostra presenza non le conferisce l’essere; la nostra assenza non la annienta. Essa conserva la sua esistenza uniforme e completa, indipendente dalla situazione degli esseri intelligenti che la percepiscono o la contemplano.

Ma quest’opinione universale e primaria di tutti gli uomini è presto distrutta dalla piú sottile filosofia che ci insegna che alla mente non può esser presente se non un’immagine o percezione che i sensi sono soltanto le porte attraverso cui queste immagini passano, senza che riescano a produrre alcuna relazione immediata fra la mente e l’oggetto. La tavola che vediamo, sembra diminuire se ce ne allontaniamo; ma la tavola reale, che esiste indipendentemente da noi, non subisce alterazioni; era, perciò, soltanto la sua immagine che era presente alla mente. Questi sono gli ovvi dettami della ragione e nessuno che non rinunci a riflettere ebbe mai a dubitare che le esistenze che consideriamo quando diciamo questa casa e quest’albero non siano le percezioni della mente, e copie evanescenti o rappresentazioni di altre esistenze, che restano uniformi ed indipendenti.

Fin qui, dunque, siamo costretti dal ragionamento a contraddire o ad allontanarci dagli istinti primari della natura, e ad abbracciare un nuovo sistema riguardo all’evidenza dei nostri sensi. Ma qui la filosofia si trova molto imbarazzata quando vuol giustificare questo nuovo sistema ed evitare i cavilli e le obiezioni degli scettici. Essa non può piú a lungo addurre a pretesto l’infallibile ed irresistibile istinto di natura, poiché questo ci porta ad un sistema completamente diverso, che si riconosce per fallibile e perfino erroneo. Ed il giustificare questo preteso sistema filosofico, con un seguito di argomenti chiari e convincenti, o anche con qualche cosa che ne abbia la parvenza, supera il potere della capacità umana presa in blocco.

Con qualche argomento si può provare che le percezioni della mente devono essere causate da oggetti esterni, completamente diversi da esse per quanto ad esse somiglianti (se ciò è possibile), e che non potrebbero venire né dall’energia della mente stessa, né dall’intervento di qualche spirito invisibile e sconosciuto, né da qualche altra causa ancor piú sconosciuta a noi? Si ammette che si fatto molte di queste percezioni non provengono da qualche cosa di esterno, come nei sogni, nella follia ed in altre malattie. E non c’è nulla di piú inesplicabile del modo in cui il corpo dovrebbe operare sulla mente per trasmettere continuamente un’immagine di se stesso ad una sostanza che si suppone sia di natura cosí diversa e perfino contraria.

È una questione di fatto se le percezioni dei sensi sono prodotte da oggetti esterni che assomigliano ad esse o no; come risolveremo questa questione? Certamente per mezzo dell’esperienza, come tutte le altre questioni simili. Ma qui l’esperienza è, e deve essere, interamente muta: La mente non ha mai presenti se non percezioni e non è possibile che le riesca di conseguire esperienza alcuna della connessione delle percezioni cogli oggetti. La supposizione d’una simile connessione è, perciò, senza alcun fondamento razionale.

Far ricorso alla veracità dell’Essere supremo, per provare la veracità dei nostri sensi, è certamente fare un giro molto imprevisto. Se la veracità di Dio avesse a che fare con questa materia, i nostri sensi sarebbero del tutto infallibili, perché non è possibile che essa possa mai ingannare. Senza ricordare che, una volta che il mondo esterno sia messo in questione, saremmo imbarazzati a trovare argomenti coi quali poter provare l’esistenza di quell’Essere o qualcuno dei suoi attributi. Questo è un argomento, perciò, nel quale gli scettici piú profondi in filosofia trionferanno sempre, quando cercheranno di introdurre un dubbio universale in tutti gli oggetti della conoscenza e della ricerca umane. Essi possono dire: seguite gli istinti e le propensioni della natura accettando la veracità dei sensi? Ma gli istinti vi portano a credere che la percezione o immagine sensibile è essa stessa l’oggetto esterno. Sconfessate questo principio per accogliere un’opinione piú razionale, che le percezioni sono soltanto rappresentazioni di qualche cosa di esterno? Allora vi allontanate dalle vostra naturali inclinazioni e dai vostri sentimenti piú ovvi; e tuttavia non riuscite a soddisfare la vostra ragione la quale non può trovare mai alcun argomento convincente desunto dall’esperienza per provare che le percezioni sono connesse con degli oggetti esterni.

V’è un altro argomento scettico simile a questo, derivato dall’indagine filosofica piú profonda; ed esso potrebbe meritare la nostra attenzione, se fosse necessario penetrare cosí in profondità per scoprire argomenti e ragionamenti, che possono cosí poco servire a dei propositi seri. Si ammette universalmente da parte dei ricercatori moderni che tutte le qualità sensibili degli oggetti, quali duro, molle, caldo, freddo, nero ecc. sono soltanto secondarie, e non esistono negli oggetti stessi, ma sono percezioni della mente, senza alcun archetipo o modello esterno, di cui siano rappresentazioni. Se si ammette questo, riguardo alle qualità secondarie, deve anche seguirne la stessa conclusione riguardo alle supposte qualità primarie dell’estensione e della solidità; né queste ultime possono essere in alcun modo piú qualificate delle prime ad essere chiamate primarie. L’idea di estensione si deriva completamente dai sensi della vista e del tatto; e se tutte le qualità, percepite dai sensi, sono nella mente e non nell’oggetto, la stessa conclusione deve applicarsi all’idea di estensione, che dipende interamente dalle idee di sensazione e dalle idee di qualità secondarie. A questa conclusione non può sottrarci se non l’asserire che le idee delle qualità primarie si conseguono per mezzo di astrazione, opinione che, se la esaminiamo accuratamente, troveremo che è inintelligibile e perfino assurda. Un’estensione che non è né tangibile né visibile, non si può concepire; ed un’estensione tangibile o visibile che non sia né dura, né molle, né bianca, né nera, è egualmente fuori dell’ambito di quanto gli uomini possono concepire. Qualcuno provi a concepire un triangolo in generale, che non sia né isoscele, né scaleno, e che non abbia alcuna particolare lunghezza o proporzione nei lati; e si accorgerà tosto dell’assurdità di tutte le nozioni scolastiche riguardanti l’astrazione e le idee generali.

Sicché la prima obiezione filosofica all’evidenza dei sensi o all’opinione dell’esistenza di oggetti esterni consiste in questo, che una tale opinione, se fondata sull’istinto naturale, è contraria alla ragione, e se riferita alla ragione, è contraria all’istinto naturale e nello stesso tempo non reca con sé alcuna evidenza razionale capace di convincere un ricercatore imparziale. La seconda obiezione va piú innanzi e rappresenta quest’opinione come contraria alla ragione, almeno se è principio di ragione che tutte le qualità sensibili sono nella mente, non nell’oggetto. Spogliate la materia di tutte le sue qualità intelligibili, tanto primarie che secondarie, e voi in certo modo la annientate, e lasciate soltanto un qualcosa di sconosciuto ed inesplicabile, quale causa delle nostre percezioni; nozione tanto imperfetta che nessuno scettico la considererà degna di essere combattuta.

D. Hume, Opere, Laterza, Bari, 1971, vol. II, pagg. 159-165