Il principio di causa non
presuppone “qualità particolari” negli oggetti; esso esprime una relazione per
la quale è necessario che i due oggetti siano fra loro contigui: quello che
costituisce la causa deve precedere nel tempo l’altro e fra i due deve esserci una connessione necessaria.
D. Hume, Trattato sulla natura
umana, Libro primo, Parte terza, Sez. seconda
Dobbiamo anzitutto considerare
l’idea di causalità e vedere quale ne è l’origine. Non si può infatti ragionare
bene, se non s’intende l’idea di cui si ragiona; cosí è impossibile intendere
perfettamente un’idea se non si rintraccia l’origine e non si analizza quella
prima impressione da cui essa nasce. L’esame dell’impressione dà chiarezza
all’idea e l’esame dell’idea dà un’uguale chiarezza a ogni nostro ragionamento.
Diamo dunque uno sguardo a due di quegli oggetti che chiamiamo causa ed
effetto, e rivolgiamoli da tutti i lati per trovare quell’impressione che
produce un’idea d’importanza tanto prodigiosa. Vedo subito che non devo
cercarla in nessuna delle particolari qualità, poiché, qualunque di
queste io scelga, trovo oggetti che non la possiedono e nondimeno sono chiamati
cause ed effetti. Ed invece non esiste nulla nell’oggetto, né esternamente né
internamente, che non si possa considerare o come causa o come effetto, sebbene
sia evidente che non c’è alcuna qualità che appartenga universalmente a tutte
le cose e dia loro diritto a questa denominazione.
L’idea di causalità deve quindi
derivare da qualche relazione esistente tra gli oggetti, ed è questa
relazione che dobbiamo cercare di scoprire. Trovo in primo luogo che gli
oggetti considerati come causa ed effetto sono contigui; e che niente
potrebbe agire su altro se tra essi ci fosse il minimo intervallo di tempo e di
spazio. Sebbene oggetti distanti possono talora sembrare produttivi l’uno dell’altro, si scopre di
solito che sono uniti da una catena di cause contigue tra loro; e anche quando
non la possiamo trovare, presumiamo che esista. Dobbiamo dunque considerare il
rapporto di contiguità essenziale a quello di causalità, o almeno
supporlo tale, fin quando non avremo un’occasione piú propizia per chiarire la
questione esaminando quali sono gli oggetti capaci di giustapposizione e di
congiungimento.
Il secondo rapporto che io stimo
essenziale a quello di causalità non è ammesso da tutti, anzi è controverso, e
consiste nella priorità di tempo della causa sull’effetto.
[...]
Ci contenteremo allora di questi
due rapporti di contiguità e di successione, come se ci offrissero un’idea
completa della causalità? Assolutamente no. Un oggetto può essere contiguo e
anteriore a un altro, senza venire considerato come la sua causa. Occorre
esaminare il rapporto di connessione necessaria, che ha un’importanza
ben maggiore dei due precedenti. Guardo ancora l’oggetto da tutti i lati, per
scoprire la natura di questa connessione necessaria e la impressione, o le
impressioni, da cui può essermi venuta la sua idea. Scopro subito che il
rapporto di causa e di effetto non dipende affatto dalle qualità conosciute
degli oggetti. Delle loro relazioni vedo solo quelle di contiguità e di
successione, che ho già dichiarato imperfette ed insoddisfacenti. La
disperazione mi farà dire che io sono qui in possesso di una idea non preceduta
da un’impressione somigliante? Sarebbe una prova troppo grande di leggerezza e
di incostanza: il principio contrario è stato già cosí solidamente stabilito da
non ammettere dubbi, almeno fino a quando non abbiamo esaminata la presente
difficoltà.
Dobbiamo allora procedere come
coloro che, cercando una cosa nascosta e non trovandola nel posto sperato,
frugano tutt’attorno senza una meta definita, nella speranza che la buona
fortuna li guidi. Bisogna abbandonare l’analisi diretta della connessione
necessaria, che fa parte della nostra idea di causa ed effetto; e cercare
qualche altra questione, di cui l’esame possa giovarsi a chiarire la presente
difficoltà. Due sono le questioni che mi accingo a esaminare: I. Per quale
ragione diciamo necessario che tutto ciò che ha un cominciamento deve
avere una causa? 2. Perché affermiamo che certe cause particolari devono necessariamente,
avere certi particolari effetti? Qual è la natura di quest’inferenza,
onde passiamo dalle une agli altri, e della credenza che riponiamo in
essa?
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol.
XIII, pagg. 869-871