Husserl, Il compito del filosofo

Il compito del filosofo consiste nell’elaborare una “scienza universale del mondo”. (kathólon significa qui “visione d’insieme”)  per arrivare all’idea di “verità in sé”, che spinge l’uomo ad elevarsi ad un livello piú alto di quello che è per lui la vita quotidiana.

 

E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, a cura di W. Biemel, Tübingen, 1952, trad. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 1983, pagg. 284-285

 

Il compito del filosofo, lo scopo della sua vita di filosofo: una scienza universale del mondo, un sapere universale, definitivo, un universo delle verità in sé attorno a mondo, al mondo in sé. Che dire di questo scopo e della possibilità di raggiungerlo? È possibile cominciare con una verità – con una verità definitiva? Una verità definitiva, una verità attraverso cui io possa enunciare qualcosa su un essente in sé, nella certezza indubitabile di enunciare qualcosa di definitivo? Se io dispongo già di verità “immediatamente evidenti”, è possibile che da esse ne possano derivare mediatamente altre. Ma io dispongo veramente di queste verità? È possibile che un essente in sé sia per me tanto indubitabilmente certo in un'immediata esperienza, che io possa, mediante concetti descrittivi immediatamente adeguati all'esperienza e al suo contenuto, enunciare immediate verità in sé? Ma che dire di tutte le esperienze del mondano, di tutto ciò che io ho in una certezza immediata, che è nella spazio-temporalità? Tutto ciò è certo, ma questa certezza può modalizzarsi può diventare dubbia, può trasformarsi lungo il processo dell'esperienza, in apparenza: nessun enunciato sperimentale immediato mi dà un essente in sé; mi dà soltanto un che di supposto con certezza, che lungo la mia vita di esperienza deve verificarsi. Ma la mera conferma, costitutiva della concordanza dell'esperienza reale, non esclude la possibilità dell'apparenza.

Esperendo, vivendo in generale come io (pensando, valutando, agendo), io sono necessariamente un io, che ha un suo tu, un suo noi e un suo voi, l'io dei pronomi personali. Altrettanto necessariamente, io e noi nella comunità egologica, siamo correlati di tutto ciò che noi chiamiamo essente mondano, ciò che noi, nella denominazione, nel nominare e nel conferire, nel fondare conoscitivo, già sempre presupponiamo, ciò che è qui per noi, che è reale, che vale per noi ed è esperibile in comune, nella comunità della vita di coscienza, qualcosa che non può essere isolato individualmente, che è intimamente accomunato. E tuttavia il mondo è anche il nostro mondo comune, ed è necessariamente in una validità d'essere; tuttavia, sui dettagli io posso entrare in contraddizione con gli altri, entrare in una fase di dubbio e di negazione dell'essere, proprio come rispetto a me stesso. Come ho quindi un essente in sé definitivo? L'esperienza, l'esperienza della comunità e le vicendevoli rettifiche, come del resto la propria esperienza personale e le proprie auto-rettifiche, non eliminano la relatività dell'esperienza, che è relativa anche in quanto esperienza della comunità; perciò tutti gli enunciati descrittivi sono necessariamente relativi e tutti i passaggi conclusivi pensabili, sia quelli deduttivi sia quelli induttivi sono relativi. Come può il pensiero produrre altro che verità relative? L'uomo della vita quotidiana non è privo di ragione, è un essere pensante, ha, rispetto all'animale, il cathólon, e perciò ha una lingua, può compiere descrizioni, passaggi conclusivi e interroga la verità, verifica, argomenta e decide razionalmente – ma l'idea di “verità in sé” ha un senso per lui? Non si tratta forse, come del resto per il correlativo essente in sé, di un'invenzione filosofica? Eppure non è una finzione, un'invenzione irrilevante e superflua, bensí una scoperta che innalza, o è chiamata a innalzare l'uomo a un livello piú alto, in una nuova storicità della vita umana, una storicità la cui entelechia è appunto questa nuova idea e la prassi filosofica o scientifica che le è subordinata, la metodica di un pensiero scientifico di nuovo genere.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 219-220