HAUSER, SOCIOLOGIA DELL'ARTE


Le opere d’arte sono segmenti di esperienze e, come tutte le prestazioni culturali, sono dirette a scopi pratici. Solo con particolare sforzo e in particolari condizioni storico-sociali l’arte si lascia strappare al nesso di vita in cui è radicata, dalla prassi alla noesis universale con cui è intrecciata, ed esercitare e giudicare come attività autonoma, seguente proprie leggi e valori. Essa non si separa affatto dalle esperienze pratiche e della conoscenza teoretica nella maniera radicale che si suole ritenere. Nella misura in cui entrambe, arte e scienza, si occupano della soluzione di problemi che risultano dai compiti, dalle cure e dalle necessità della vita e hanno a che fare con la lotta per l’esistenza, costituiscono piuttosto una unità salda e in ultima analisi indissolubile.

L’arte è una fonte di conoscenza non solo in quanto essa prosegue immediatamente l’opera della scienze e completa la loro scoperte, in particolar modo quelle della psicologia, bensì anche in quanto addita i limiti oltre i quali la scienza fallisce, subentrandole lì dove si possono acquisire ulteriori conoscenze soltanto seguendo vie che al di fuori dell’arte sono impercorribili. Grazie all’arte noi perveniamo a conoscenze che ampliamo il nostro sapere, sebbene esse non abbiano alcun carattere astratto-scientifico; infatti seppure, tanto per fare un esempio, la spiegazione dei rapporti spaziali oppure delle stereometriche dovuta alla pittura non regge sempre in senso scientifico, essa però, per quel che concerne la concezione della visualità, contiene nondimeno informazioni il cui valore supera di molto il significato della dottrina della prospettiva centrale o della struttura cubista degli oggetti.

Di particolare importanza è quanto stabilisce l’arte a proposito di manifestazioni per la cui disamina la scienza non possiede ancora i mezzi adeguati, mentre invece l’intuito artistico anticipa delle conoscenze che alla ricerca servono come segnavia. Marx deve aver avuto in mente conoscenze di questo genere quando disse di aver appreso sulla storia della Francia moderna più dai romanzi di Balzac che dai tutti libri di storia del suo tempo. Certo non saranno stati fatti storici, quelli a cui pensava, bensì l’analisi del processo sociale postrivoluzionario e l’interpretazione della moderna lotta di classe, rispetto ai quali la scienza storica dell’epoca la dottrina sociale dell’epoca non mostravano una retta comprensione né disponevano di un adeguato apparato concettuale, mentre Balzac vi riconosceva forze e leggi di movimento che solo più tardi si fu capaci di formulare e spiegare scientificamente. Si ebbe così la coincidenza degli inizi del romanzo moderno con la fondazione della sociologia nel senso moderno e si ebbe identità di linguaggio fra arte e scienza, a dimostrazione che le più sfrenate fantasie di un vero artista non possono essere tanto audaci da mancare di qualunque verità.

Non c’è niente di più evidente del fatto che l’arte comincia come arte lì dove si allontana dalla pura e semplice verità della scienza. Essa non comincia come scienza comincia come arte lì dove si allontana dalla pura e semplice verità della scienza. Essa non comincia come scienza e non finisce come tale. Tuttavia essa nasce con gli inizi del sapere e dell’immaginare per la necessità della vita e si trova con la scienza sulla medesima, infinita via dello spiegare e guidare l’esistere umano. Ma mentre l’opera d’arte come forma raggiunge sempre il suo scopo, l’arte, in quanto dottrina e verità, non lo raggiunge mai.

Arte e scienza sono strettissimamente collegate in quanto entrambe, e di tutte le formazioni spirituali soltanto esse due, sono mimesis, riproduzione della realtà, mentre le altre, più o meno consapevolmente e di proposito, modificano le manifestazioni, le sottopongono a forme, principi ordinativi e misure di valore esterni. Naturalmente anche l’arte modifica, stilizza e idealizza la realtà, al modo in cui anche la più esatta delle scienze le impone le proprie categorie spontanee e creative; entrambe però restano legate alle datità obiettive, ai fatti decisivi della prassi di vita. In questo senso l’arte è tanto rigorosamente realistica quanto la scienza. Ciò naturalmente non significa affatto assenza di ogni tensione fra visione artistica e realtà empirica oppure ogni negazione di ogni distanza fra il soggetto creatore e i fatti obbiettivi, bensì semplicemente è decisiva la regola secondo cui gli elementi di cui un’opera d’arte si compone — per quanto stilizzata, fantastica o assurda possa nel complesso essere la creazione — derivano dal mondo dell’esperienza e non dal mondo dell’idee sopramondano e soprasensoriale.

Lo stesso Balzac, che viene ritenuto il primo classico del romanzo naturalista e il vero e proprio garante del realismo artistico come lo intendevano Marx ed Engels, spesso espone, come è noto, semplici finzioni invece di osservazione e inventa caratteri e fisionomie, paesaggi e scenari che egli dà a credere di aver carpito alla natura e alla vita. Cionondimeno il suo metodo serve ad Engels come paradigma per il "trionfo del realismo" e come esempio maestro dell'"astuzia" con il cui aiuto la verità penetra nell’arte attraverso la porta di servizio, quando le rimane chiuso ogni altro acceso.

(Arnold Hauser, 1974, Soziologie der Kunst, München, Oscar Beck; tr.it. Sociologia dell’arte, Torino, Einaudi, 1979, pp.7-9)