HOBBES, DELLA CONDIZIONE NATURALE DELL'UMANITA' PER QUANTO CONCERNE LA SUA FELICITA' E LA SUA MISERIA

 

La NATURA ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che, sebbene si trovi talvolta un uomo manifestamente più forte fisicamente o di mente più pronta. di un altro, pure quando. si calcola tutto insieme, la differenza tra uomo e uomo non è così considerevole, che un uomo possa di conseguenza reclamare per sé qualche beneficio che un alte non possa pretendere, tanto quanto lui. Infatti riguardo alla forza corporea, il più debole ha forza sufficiente per uccidere il più forte, o con segreta macchinazione o alleandosi con altri che sono con lui nello stesso pericolo. E quanto alla facoltà della mente, (...), io trovo tra gli uomini una eguaglianza ancora più grande di quella della forza. Infatti la prudenza non è che esperienza, ed un tempo eguale la conferisce in egual misura a tu, gli uomini, in quelle cose in cui si applicano in egual misura. Ciò che può forse rendere incredibile una tale eguaglianza non è che un vano concetto della propria saggezza, che quasi tutti gli uomini pensano di avere in un grado maggiore del volgo, cioè di tutti gli uomini, tranne se stessi e pochi altri che approvano per la loro fama, o perché concordano con essi. Tale è infatti la natura degli uomini, che, per quanto possano riconoscere che molti altri sono più saggi o più eloquenti, o più dotti, pure difficilmente crederanno che ci siano molti saggi tanto quanto lo sono essi, poiché vedono ! loro ingegno da vicino e quello degli altri uomini a distanza. Ma questo prova che gli uomini sono eguali in quel punto, piuttosto che disegual, Infatti ordinariamente non c'è segno più grande di egual distribuzione di qualcosa, del fatto che ogni uomo è contento della propria parte.

 

Da questa eguaglianza di abilità sorge l'eguaglianza nella speranza di conseguire i nostri fini. E perciò, se due uomini desiderano la stessa cosa, e tuttavia non possono entrambi goderla, diventano nemici, e sulla via del loro fine (che è principalmente la loro propria conservazione, e talvolta solamente il loro diletto) si sforzano di distruggersi o di sottomettersi l'un l'altro. (...) Cosicché nella natura umana troviamo tre cause principali di contesa: in primo luogo, la competizione, in secondo luogo, la diffidenza, in terzo luogo la gloria.

 

La prima fa sì che gli uomini si aggrediscano per guadagno, la seconda per sicurezza, e la terza per reputazione. Nel primo caso gli uomini usano violenza per rendersi padroni delle persone di altri uomini, delle loro donne, dei loro figli, del loro bestiame, nel secondo caso per difenderli; nel terzo caso per delle inezie, come una parola, un sorriso, un'opinione differente, e qualunque altro segno di scarsa valutazione, o direttamente nei riguardi delle loro persone, o di riflesso nei riguardi della loro parentela, dei loro amici, della loro nazione, della loro professione o del loro nome.

 

Da ciò è manifesto che durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La GUERRA, infatti, non consiste solo nella battaglia o nell'atto del combattere, ma in un tratto di tempo, in cui è sufficientemente conosciuta la volontà di contendere in battaglia; perciò la nozione del tempo va considerata nella natura della guerra, come lo è nella natura delle condizioni atmosferiche. Infatti, come la natura delle condizioni atmosferiche cattive non sta solo in un rovescio o due di pioggia, ma in una inclinazione a ciò di parecchi giorni insieme, così la natura della guerra non consiste nel combattimento effettivo, ma nella disposizione verso di esso che sia conosciuta e in cui, durante tutto il tempo, non si dia assicurazione del contrario. (...) In tale condizione non c'è posto per l'industria, perché il frutto di essa è incerto, e per conseguenza non v'è cultura della terra, né navigazione, né uso dei prodotti che si possono importare per mare, né comodi edifici, né macchine per muovere e trasportare cose che richiedono molta forza, né conoscenza della faccia della terra, né calcolo del tempo, né arti, né lettere, né società, e, quel che è peggio di tutto, v'è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell'uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve.

 

Può sembrare strano a chi non abbia bene ponderato queste cose che la natura abbia così dissociato gli uomini e li abbia resi atti ad aggredirsi e distruggersi l'un l'altro e perciò, non fidandosi di questa inferenza, tratta dalle passioni, può desiderare forse che gli sia confermata dall'esperienza. Perciò, consideri tra sé che, quando intraprende un viaggio, si arma e cerca di andare bene accompagnato; che quando va a dormire, chiude le porte; che anche quando è nella sua casa, chiude i forzieri e ciò quando sa che ci sono leggi e pubblici ufficiali armati per vendicare tutte le ingiurie che gli dovessero essere fatte; quale opinione egli ha dei suoi consudditi, quando cavalca armato; dei suoi concittadini, quando chiude le porte; dei suoi figli e dei suoi servitori, quando chiude i forzieri. Non accusa egli l'umanità con le sue azioni, come faccio io con le mie parole? Ma nessuno di noi accusa in ciò la natura dell'uomo. I desideri e le altre passioni dell'uomo, in se stessi, non sono peccato. Neppure lo sono le azioni che procedono da quelle passioni, finché non si conosce una legge che le vieta; tali leggi, finché non si sono fatte, non possono essere conosciute, e non si può fare alcuna legge, finché non ci si è accordati sulla persona che la deve fare. (...)

 

A questa guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo, consegue anche questo, che niente può essere ingiusto. Le nozioni di ciò che è retto e di ciò che è torto, della giustizia e dell'ingiustizia non hanno luogo qui. Dove non c'è potere comune, non c'è legge; dove non c'è legge, non c'è ingiustizia. La forza e la frode sono, in guerra, le due virtù cardinali. La giustizia e l'ingiustizia non sono facoltà né del corpo né della mente. Se lo fossero, potrebbero essere in un uomo che fosse solo al mondo, così come i suoi sensi e le sue passioni. Esse sono qualità che sono relative agli uomini in società, non in solitudine. Consegue anche alla medesima condizione che non ci sia né proprietà né dominio, né- un mio e un tuo distinti, ma che ogni uomo abbia solo quello che può prendersi e per tutto il tempo che può tenerselo. E ciò basti per quel che riguarda la triste condizione in cui è effettivamente posto l'uomo dalla pura natura, benché egli abbia una possibilità di uscirne: essa si trova in parte nelle passioni e in parte nella sua ragione.

 

Le passioni che inclinano gli uomini alla pace sono il timore della morte, il desiderio di quelle cose che sono necessarie per condurre una vita comoda, e la speranza di ottenerle mediante la loro industria. La ragione poi suggerisce convenienti articoli di pace su cui gli uomini possono essere tratti ad accordarsi. Questi articoli sono quelli che vengono altrimenti chiamati leggi di natura; di esse parlerò più particolarmente nei due capitoli seguenti.

 

(T. Hobbes, Il Leviatano)