James, Il lato psicologico delle parole

Il filosofo americano osserva che una parola risulterebbe “pallida e senza espressione” senza l’“ipertono” (o tono addizionale) di carattere psichico, senza una relazione con il contesto. Egli poi ne distingue il significato statico e quello dinamico.

 

W. James, Principi di psicologia

 

Colui che pensa per mezzo di parole deve far sí che la sua parola o la sua frase conclusiva sia tradotta nel pieno valore sensoriale immaginativo, perché, nel caso contrario, il pensiero resterebbe pallido e senza espressione.

Tutto questo dovevamo dire circa la continuità sensibile e l’unità del nostro pensiero, in contrapposto a quelle apparenti interruzioni che vediamo nelle parole, nelle immagini, e in tutti quei mezzi di cui il pensiero pare servirsi per procedere. Fra tutti i suoi elementi sostantivi c’è coscienza “transitiva” e le immagini e le parole hanno una frangia e non sono cosí distinte come a prima vista potrebbe sembrare. [...]

C’è attorno ad ogni parola 1’“ipertono” (tono addizionale) psichico, costituito dal sentire che esso ci fa avvicinare ad una conclusione che sta presentandosi. Circondate tutte le parole di una proposizione, mentre passano, con queste frange o aloni di relazioni, fate che la conclusione sembri degna di essere raggiunta, e tutti ammetteranno che quella proposizione è l’espressione di un pensiero completamente continuo, uno e razionale. Ogni parola di una simile proposizione è sentita non soltanto come una parola, ma come avente un significato.

Il “significato” di una parola che si trovi in modo dinamico in una proposizione, è differente da quello che essa avrebbe quando fosse considerata in modo statico, fuori di ogni contesto di frasi. Il significato dinamico di una parola ordinariamente si riduce alla frangia, che abbiamo descritto, per cui si sente se essa è concorde o discorde rispetto al contesto e rispetto alle conclusioni. Il significato statico, quando la parola è concreta, come “tavola”, “Boston”, consiste in immagini sensoriali risvegliate; e quando è astratto, come “legislazione criminale”, “errore”, ecc., consta di altre parole che vengono in mente e formano la cosiddetta “definizione”.

 

P. Brondi, Ferdinand de Saussure e il problema del linguaggio nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1979, pagg. 338-339