Jaspers, I nuovi rapporti tra filosofia e scienza

Secondo Jaspers finalmente si è chiarito il rapporto fra scienza e filosofia. Esso passa attraverso la constatazione che la conoscenza scientifica ha limiti precisi.

 

K. Jaspers, Existenzphilosophie. Drei Vorlesungen, Berlin 1938, trad. it. di O. Abate, La filosofia dell’esistenza, Bompiani, Milano, 19674, pagg. 25-31

 

La nostra attività filosofica attuale è subordinata alle condizioni di queste esperienze della scienza. Il cammino che va dalla delusione provocata dalla falsa filosofia alle scienze reali, e dalle scienze di nuovo alla vera filosofia, è di tale specie da influire in modo decisivo sul metodo di filosofare oggi possibile. Prima di rifarci alla filosofia dobbiamo determinare obiettivamente il rapporto per nulla equivoco fra la filosofia attuale e la scienza. Anzitutto sono divenuti chiari i limiti della scienza; essi possono essere cosí brevemente caratterizzati:

a) la conoscenza scientifica delle cose non è conoscenza dell’“Essere”; la conoscenza scientifica è particolare, diretta su oggetti determinati, non è diretta sulla realtà stessa. Perciò la scienza rappresenta dal punto di vista filosofico, proprio per mezzo del sapere, il sapere piú radicale del “non sapere”, cioè il non sapere ciò che è l’Essere stesso;

b) la conoscenza scientifica non è in grado di dare nessuna direzione per la vita. Non stabilisce valori validi; la scienza come scienza non può guidare la vita; per la sua chiarezza e decisione, essa rimanda a un altro fondamento della nostra vita;

c) la scienza non può dare nessuna risposta alla domanda riguardante il suo vero e proprio senso: il fatto che la scienza esista è basato su impulsi che non possono essere neppure essi dimostrati scientificamente, come veri e come tali da dovere esistere.

Nello stesso tempo insieme coi limiti della scienza si chiarisce l’importanza positiva e l’indispensabilità della scienza per la filosofia.

In primo luogo, la scienza, metodicamente e criticamente purificata in questi ultimi secoli, se anche soltanto raramente realizzata dagli indagatori nella sua totalità, ha avuto per la prima volta la possibilità di riconoscere, mediante il suo contrasto con la filosofia, la torbida contaminazione fra filosofia e scienza e di superarla.

La via della scienza è indispensabile per la filosofia, perché soltanto la conoscenza di questa via impedisce che un’altra volta si affermi, in un modo poco chiaro e oggettivo, esservi nella filosofia la conoscenza obiettiva delle cose, che ha invece la sua sede nella ricerca metodicamente esatta.[...]

Contemporaneamente a questa chiarificazione dei limiti e del senso intimo delle scienze, si sviluppò l’indipendenza del principio filosofico. Per il solo fatto che questo principio, nel chiaro orizzonte delle scienze, fu illuminato dall’acutezza critica della loro luce e liberato da ogni affrettata determinazione, esso divenne consapevole della propria autonomia, cosi che l’unica, antichissima filosofia parlò dalle grandi opere del passato. Era come se testi da lungo tempo conosciuti ritornassero dalla oscurità alla luce, come se si imparasse a leggerli soltanto allora con occhi nuovi; Kant, Hegel, Schelling, Nicolò di Kues, Anselmo, Plotino, Platone e pochi altri erano a noi cosí presenti che si sentiva la verità del detto di Schelling “essere la filosofia un aspetto segreto”. Si possono conoscere i testi, riprodurre esattamente le costruzioni del pensiero e pertanto “non comprendere”.

Da questo principio noi apprendiamo ciò che nessuna scienza ci insegna; poiché la filosofia non può realizzarsi solamente mediante il modo di pensare scientifico e nel sapere scientifico; essa richiede un altro tipo di pensiero, un pensiero che nel pensare mi fa presente a me stesso, mi rende vigilante, mi conduce verso me stesso, mi trasforma.

Ma con la riscoperta del principio filosofico nelle tradizioni antiche, si manifestò anche l’impossibilità di trovare nel tempo passato la vera filosofia nella sua completezza. L’antica filosofia non può, cosí come è stata, essere la nostra.

Se noi in essa scorgiamo il principio storico del nostro filosofare, e se sviluppiamo il nostro pensiero nel suo studio – perché questo raggiunge la sua chiarezza soltanto praticando i filosofi antichi – il pensiero filosofico è tuttavia sempre originale e deve in ogni epoca realizzarsi storicamente sempre sotto nuove condizioni.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 311-312