Secondo
Jaspers il rapporto tra filosofia e religione è conflittuale ed è una battaglia
che ha per scopo la verità. Per la filosofia esiste un suo specifico approccio
alla verità, che Jaspers denomina “philosophia perennis”, la quale non
appartiene a nessuno in esclusiva. La religione comunque è utile alla filosofia
perché la mantiene nell’inquietudine.
K. Jaspers, Der philosophische Glaube,
München-Zürich, 1948-19817, trad. it. di U. Galimberti, La fede filosofica,
Marietti, Torino, 1973, pagg. 119-112
Da millenni filosofia e religione sono in un rapporto di reciproca alleanza o di ostile opposizione.
All'origine esse procedono insieme nei miti e nelle cosmogonie, piú tardi nella teologia, in quanto la filosofia ne assume talvolta le vesti cosí come spesso assume quelle della poesia e piú ancora quelle della scienza.
Ma quando si separano, la religione diventa per la filosofia il mistero piú grande che in nessun modo essa riesce a concepire. Il culto, la pretesa di una comunità religiosa di fondarsi sulla Rivelazione e di aver quindi diritto al potere, la sua organizzazione, la sua politica, il significato che la religione attribuisce a se stessa, sono per la filosofia oggetto di studio.
In questo atteggiamento di ricerca è già presente il germe del conflitto. Dal punto di vista filosofico, la lotta è solo un conflitto che si combatte, coi mezzi dello spirito, per la verità.
Religione e filosofia non sono due creazioni univoche che possono essere confrontate tra loro come due punti fissi. Al contrario esse si trovano in un processo di trasformazione storica, anche se entrambe acquistano in ogni tempo il loro significato solo in relazione a una verità eterna che la rispettiva veste storica, a un tempo occulta e le trasmette. Io non posso parlare di una verità religiosa eterna. La verità filosofica è la philosophia perennis che nessuno può pretendere di far sua in esclusiva, perché è ciò intorno a cui agisce ogni pensare filosofico, è ciò che è presente ovunque, questo pensiero è reale e autentico.
[...]
Enumeriamo alcuni tratti che caratterizzano la differenza tra religione e filosofia.
La religione implica un culto che la lega a quella particolare comunità di uomini che lo praticano; è strettamente legata a un mito; alla sua essenza appartiene quel reale rapporto che si instaura tra gli uomini e la Trascendenza; si tratta; di un rapporto che nel mondo si presenta nella forma del sacro, completamente separato da ogni realtà profana. Se il sacro non esiste o viene rifiutato, svanisce il tratto caratteristico della religione. Per lontano che si spinga la nostra memoria storica, non possiamo non constatare che l’umanità intera vive ed è vissuta religiosamente; questo fatto è un indizio non trascurabile della verità e dell’essenzialità presente nella religione.
La filosofia, invece, non conosce come tale alcun culto, alcuna comunità diretta da preti, alcuna santità che nel mondo sia in grado di distinguersi da ogni altra realtà del mondo. La filosofia ha presente ovunque e in ogni tempo ciò che la religione localizza in qualche luogo. Nel singolo essa si sviluppa in libere relazioni umane, che non sono sociologicamente condizionate, e non necessitano della garanzia di una comunità. La filosofia non ha riti e non dispone di miti intesi come originariamente reali. A trasmetterla, onde consentirne l’appropriazione, è una libera tradizione che di volta in volta si trasforma. Anche se appartiene all’uomo in quanto uomo, essa si rivolge solo al singolo.
La religione tende ad incarnarsi, la filosofia tende solo a una certezza efficace. Per la religione il Dio dei filosofi è povero, scolorito, vuoto, con disprezzo essa chiama l’atteggiamento filosofico “deismo”; per la filosofia le incarnazioni religiose occultano ingannevolmente la divinità e danno la falsa impressione di avvicinarla. La religione considera il Dio della filosofia una mera astrazione, la filosofia diffida delle seducenti immagini religiose di Dio, essa teme l’idolatria per grandiosi che siano gli dei.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. II, pagg. 314-316