In questo saggio, apparso nel 1920, Jung propone la sua
estensione del concetto di inconscio: bisogna infatti distinguere tra contenuti
dell’inconscio personale (che comprendono tutto ciò che è stato rimosso,
dimenticato, pensato e sentito al di sotto della soglia della coscienza) e
contenuti “collettivamente inconsci” che sono ereditati: questi sono da
riferire ai miti, ai motivi e alle immagini che si ripetono nella tradizione di
molte culture.
C. G. Jung, Tipi psicologici
Il concetto di inconscio è per me un concetto esclusivamente
psicologico, e non un concetto filosofico nell’accezione metafisica. A mio
modo di vedere l’inconscio è un concetto-limite psicologico che copre tutti
quei contenuti o processi psichici che non sono coscienti, ossia che non sono
riferiti all’Io in modo percettibile. Il diritto di parlare in genere
dell’esistenza di processi inconsci deriva per me unicamente dall’esperienza, e
precisamente in primo luogo dall’esperienza psicopatologica, la quale rivela
incontestabilmente che, per esempio, in un caso di amnesia isterica l’Io ignora
l’esistenza di estesi complessi psichici, ma che un semplice procedimento
ipnotico è in grado di dare nel momento successivo una perfetta riproduzione
del contenuto smarrito. Migliaia di esperienze di questo genere ci autorizzano
a parlare dell’esistenza di contenuti psichici inconsci. La questione dello
stato nel quale si trova un contenuto inconscio fino a che non è ancora
associato alla coscienza si sottrae a ogni possibilità di conoscenza. È
pertanto del tutto superfluo voler formulare supposizioni al riguardo. A simili
fantasie appartiene l’ipotesi della cerebrazione, del processo fisiologico ecc.
È anche assolutamente impossibile indicare quale sia l’ambito dell’inconscio,
ossia quali contenuti esso comprenda. Questo può essere deciso solo
dall’esperienza. In base a essa noi sappiamo anzitutto che contenuti coscienti
possono divenire inconsci per la perdita del loro valore energetico. Questo è
il normale meccanismo del dimenticare. Che questi contenuti non vadano
definitivamente perduti cadendo al di sotto della soglia della coscienza lo
sappiamo per esperienza, potendo essi riemergere, talvolta anche dopo decine di
anni, in circostanze adatte, per esempio nel sogno, nell’ipnosi, come
criptomnesia, o per il rinnovarsi di associazioni connesse con il contenuto
dimenticato.
Inoltre l’esperienza ci insegna che contenuti coscienti
possono finire per dimenticanza intenzionale al di sotto della soglia della
coscienza senza perdita troppo rilevante di valore, processo cui Freud ha dato
il nome di rimozione di un contenuto penoso. Un effetto analogo si ha
per dissociazione della personalità, cioè per dissolvimento dell’organicità
della coscienza in conseguenza di un violento affetto o d’uno shock nervoso,
oppure nella schizofrenia per la disgregazione della personalità (Bleuler).
Cosí pure sappiamo per esperienza che alcune percezioni
sensoriali, a causa della loro debole intensità o a causa di una deviazione
dell’attenzione, non raggiungono l’appercezione cosciente e tuttavia divengono
contenuti psichici mediante un’appercezione inconscia, il che può essere
ugualmente dimostrato, per esempio con l’ipnosi. La stessa cosa può verificarsi
nel caso di determinate conclusioni e altre combinazioni che rimangono inconsce
per troppo scarsa consistenza o per diversione dell’attenzione. Infine
l’esperienza ci insegna anche che vi sono connessioni psichiche inconsce, per
esempio immagini mitologiche, che non furono mai oggetto di consapevolezza e
che procedono quindi interamente da un’attività inconscia.
Fin qui l’esperienza ci fornisce degli indizi che
confortano l’ipotesi dell’esistenza di contenuti inconsci. Essa però non può
dir nulla su ciò che eventualmente potrebbe essere un contenuto inconscio.
È ozioso fare supposizioni al riguardo, perché non è dato determinare tutto
quello che potrebbe essere un contenuto inconscio. Dov’è il limite inferiore di
una percezione sensoriale subliminale? Esiste un qualsiasi criterio per
determinare l’esiguità o la portata di combinazioni inconsce? Quand’è che un
contenuto dimenticato è totalmente estinto? Per questi interrogativi non v’è
risposta.
L’esperienza che finora abbiamo circa la natura dei
contenuti inconsci ci consente però di compierne una certa classificazione
generale. Possiamo distinguere un inconscio personale che comprende in
sé tutte le acquisizioni dell’esistenza personale, dunque cose dimenticate,
rimosse, percepite, pensate e sentite al di sotto della soglia della coscienza.
Accanto a questi contenuti inconsci personali esistono però altri contenuti che
non provengono da acquisizioni personali, ma dalla possibilità di funzionamento
che la psiche ha ereditato, cioè dalla struttura cerebrale ereditata. Queste
sono le trame mitologiche, i motivi e le immagini che in ogni tempo e luogo
possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica.
Questi contenuti io li denomino collettivamente inconsci. L’esperienza
ci insegna che anche i contenuti inconsci, al pari di quelli coscienti, sono
impegnati in una determinata attività. Come dall’attività psichica cosciente
derivano determinati risultati o prodotti, cosí anche l’attività inconscia
svolge un’attività produttiva che si esprime per esempio nei sogni e nelle
fantasie. È ozioso speculare sul grado di compartecipazione della coscienza,
per esempio nei sogni. Un sogno ci si presenta, non siamo noi a produrlo
coscientemente. Certo, la riproduzione cosciente, o anche addirittura la stessa
percezione, apportano in esso molte modificazioni, senza però annullare in
alcun modo il fatto fondamentale di un impulso produttivo di provenienza
inconscia.
Il rapporto funzionale dei processi inconsci con la coscienza possiamo definirlo compensatorio. L’esperienza ci mostra infatti che il processo inconscio porta alla luce il materiale subliminale cosí com’esso è costellato dallo stato della coscienza: tutti quei contenuti, dunque, che, qualora tutto rientrasse nell’ambito della coscienza, non potrebbero mancare nel quadro della situazione cosciente. La funzione compensatrice dell’inconscio si manifesta tanto piú chiaramente quanto piú unilaterale è l’atteggiamento cosciente; fatto, questo, di cui la patologia fornisce copiosi esempi.
C. G. Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino,
1968, pagg. 460-463