Kant confronta le due nozioni
anticipando alcuni concetti chiave del romanticismo.
Il bello della natura si riferisce alla forma
dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione. Il sublime invece può
riferirsi anche ad un oggetto informe, in quanto in esso, o per suo motivo, sia
rappresentata un'illimitatezza a cui si aggiunga il pensiero della sua
totalità. L'oggetto stesso può essere rappresentato come sublime in duplice
modo: sublime matematico e sublime dinamico. Noi diciamo sublime
matematico ciò che è assolutamente grande, ciò che è grande al di là di ogni
comparazione. Se poi la Natura deve essere giudicata da noi dinamicamente
sublime, deve essere rappresentata come tale da provocare timore. Il piacere
del sublime è diverso da quello del bello; questo infatti produce direttamente
un sentimento di esaltazione della vita; quello invece è un piacere che ha solo
un'origine indiretta, giacché esso sorge dal sentimento di un momentaneo
arresto delle energie vitali, seguito da una più intensa loro esaltazione.
Possiamo aggiungere alle formule precedenti della definizione del sublime anche
questa: Sublime è ciò di cui la sola possibilità di esser pensato dimostra la
presenza di una facoltà dell'animo nostro che trascende ogni misura sensibile.
Il sentimento del sublime nella Natura è dunque rispetto per la nostra propria
destinazione, che ci rende per così dire intuibile la superiorità della determinazione
razionale delle nostre facoltà conoscitive anche sul massimo potere della sensibilità.
La sublimità dunque non sta in nessuna cosa della Natura, ma solo nell'animo
nostro, in quanto noi possiamo riconoscerci superiori alla Natura.
(Critica
del Giudizio)