L’analisi della matematica e
della fisica consente a Kant di individuare in esse la presenza di “giudizi
sintetici a
priori”: queste scienze aprono quindi la via a un possibile incremento della
conoscenza a priori, cioè della conoscenza svincolata dall’esperienza.
Una volta individuata questa via sarà possibile anche una ricostruzione della
“metafisica come scienza”, dal momento che - come si sa - la “metafisica” nasce
naturalmente nella mente dell’uomo ma si sottrae al confronto con l’esperienza.
Il compito della ragione, quindi, è ora quello di rispondere alla domanda:
“Come sono possibili giudizi sintetici a priori?”.
I. Kant, Critica della ragion
pura, Introduzione alla seconda edizione
1. I
giudizi matematici sono tutti quanti sintetici. Questa proposizione sembra
finora sfuggita alle osservazioni degli anatomisti della ragione umana, anzi
essere esattamente opposta a tutte le loro supposizioni; sebbene essa sia
incontestabile, e nel seguito, di grande importanza. [...]
Anzitutto si deve osservare che le proposizioni matematiche vere e proprie sono ognora giudizi a priori e non empirici, perché esse recano con sé necessità, che non può essere tolta dall’esperienza.
Anche se ciò non si voglia concedere, bene: io limito la
mia proposizione alla matematica pura, il cui concetto già porta con sé, che
essa non contenga conoscenza empirica, ma solo conoscenza pura a priori.
Anche se inizialmente si dovrebbe pensare che la
proposizione 7 + 5 = 12 è una proposizione semplicemente analitica che segue
dal concetto di una somma di 7 e 5 secondo il principio di contraddizione,
tuttavia, se si guarda meglio, si scopre che il concetto della somma di 7 e 5
non contiene null’altro che l’unificazione dei due numeri in uno solo, senza
che in alcun modo si pensi quale sia questo unico numero che raccoglie gli
altri due. Il concetto del numero 12 non è in alcun modo già pensato con il
fatto che io pensi quell’unificazione di 7 e 5, e per quanto a lungo io
scomponga il mio concetto di una possibile somma, non vi incontrerò mai il
numero 12. Bisogna uscire da questi concetti, chiedendo aiuto all’intuizione
che corrisponde a uno dei due, per esempio a quella delle cinque dita, o a
quella dei cinque punti, e aggiungere al concetto del 7, una dopo l’altra, le
unità del numero 5 dato nell’intuizione. Infatti, prendo prima il numero 7 e
poi, chiedendo aiuto per il concetto del cinque alle dita della mia mano come
intuizione, aggiungo in quella mia immagine le unità, che avevo precedentemente
prese per formare il numero 5, una dopo l’altra al numero 7, assistendo cosí
alla nascita del numero 12. Per quanto avessi pensato nel concetto di una somma
= 7 + 5 che il 7 dovesse essere aggiunto al 5, non avevo però pensato che
questa somma fosse uguale a 12. La proposizione aritmetica, quindi, è sempre
sintetica; il che diventa tanto piú chiaro quanto piú grandi sono i numeri
considerati, perché allora salta agli occhi che, per quanto girassimo e
rigirassimo i nostri concetti in qualunque modo ci venga in mente, non potremmo
mai, servendoci della semplice scomposizione dei nostri concetti, trovare la
somma senza chiedere aiuto all’intuizione.
Tanto meno è analitico un principio fondamentale della pura
geometria. Che la linea retta sia la piú breve tra due punti, è una
proposizione sintetica. Perché il mio concetto della retta non contiene nulla
che riguardi la grandezza, ma solo una qualità. Il concetto del piú breve viene
dunque interamente aggiunto, e non può essere ricavato mediante nessuna analisi
dal concetto della linea retta. Quindi deve esser qui chiamata in aiuto
l’intuizione, per mezzo della quale soltanto la sintesi è possibile.
Solo un piccolo numero di princípi fondamentali, che i
geometri sogliono premettere, sono effettivamente analitici e si fondano sul
principio di non contraddizione; ma essi servono anche soltanto come
proposizioni identiche per la concatenazione metodica, e non come princípi; per
esempio: a = a (il tutto è uguale a se stesso); oppure (a + b) > a
(il tutto è maggiore della sua parte). E però anche questi, sebbene essi
abbiano valore di meri concetti, sono ammessi nella matematica solo perché essi
possono venir esposti in forma intuitiva.
2. La scienza della natura (la fisica) contiene in sé
giudizi sintetici a priori come princípi. Io addurrò ad esempio
soltanto un paio di proposizioni; come quella, che in tutti i mutamenti del
mondo corporeo la quantità della materia rimane invariata, o quella, che in
ogni trasmissione del movimento, l’azione e la reazione devono essere ognora
uguali fra loro. Per entrambe è in chiaro non solo la necessità, anzi la sua
origine a priori, ma altresí che esse sono proposizioni sintetiche. Poiché nel
concetto della materia io non penso, per me, la persistenza, ma solo la sua
presenza nello spazio mediante il riempimento di questo. Dunque io procedo
effettivamente oltre il concetto di materia, per attribuirgli a priori qualche
cosa, che in esso non pensavo. La proposizione non è dunque analitica, ma
sintetica, e tuttavia pensata a priori: e cosí per le altre proposizioni della
parte pura della scienza della natura.
3. Nella metafisica, anche a considerarla soltanto
per una scienza fin qui solo tentata, ma pure indispensabile per la natura
della ragione umana, debbono essere contenute conoscenze sintetiche a priori.
Quindi essa non ha il compito di analizzare semplicemente concetti, che noi
formiamo a priori delle cose, e con ciò dichiararli analiticamente. Bensí è che
noi vogliamo ampliare la nostra conoscenza a priori, per il quale scopo ci
dobbiamo servire di tali princípi fondamentali che aggiungano oltre il concetto
dato qualche cosa che in esso non era contenuto, e mediante giudizi sintetici a
priori procedano pure cosí oltre, che la stessa esperienza non ci può seguire
cosí lontano; per esempio, nella proposizione: il mondo deve avere un primo
cominciamento, e cosí via. Cosí la metafisica consiste, almeno secondo il suo
scopo, di evidenti proposizioni sintetiche a priori.
Il problema proprio della ragion pura è allora contenuto
nella questione: Come sono possibili giudizi sintetici a priori?
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano,
1971, vol. XVII, pagg. 206-208)