Bello e sublime sono entrambi
oggetti di un giudizio estetico e quindi hanno alcuni aspetti in comune; ma,
piú che questi aspetti, “saltano agli occhi” “le differenze considerevoli”: il
bello è legato alla forma e alla qualità, il sublime alla mancanza di forma e
alla quantità (infinita).
I. Kant, Critica del giudizio,
libro II, sez. I, par. 23
Il bello si accorda con il
sublime in questo, che entrambi piacciono per se stessi. Inoltre, entrambi non
presuppongono un giudizio determinato dal senso o dall'intelletto, ma un
giudizio di riflessione; per conseguenza, in essi il piacere non dipende da una
sensazione, come per il piacevole, né da un concetto determinato, come per il
buono; nondimeno si riferiscono a concetti, sebbene indeterminati, per cui il
piacere è legato alla pura esibizione o alla facoltà della esibizione, in modo
che questa facoltà, o in altri termini, l'immaginazione, è considerata in
accordo, in una intuizione data, con la facoltà dei concetti dell'intelletto o della
ragione, e a vantaggio di essa. Perché entrambi i giudizi [bello e sublime]
sono particolari, ma si danno come giudizi universali rispetto a ogni soggetto,
sebbene pretendano solo al sentimento di piacere e non alla conoscenza
dell'oggetto.
Ma saltano agli occhi anche delle
differenze considerevoli. Il bello della natura riguarda la forma dell'oggetto,
la quale consiste nella limitazione; il sublime, invece, si può trovare anche
in un oggetto informe, se però la mancanza di limiti che è in esso, o da esso
occasionata, sia rappresentata insieme con la totalità: sicché pare che il
bello debba esser riguardato come l'esibizione di un concetto indefinito della
ragione. Nel primo caso il piacere è legato alla rappresentazione della
qualità, nel secondo alla quantità. Ancora, la seconda specie di piacere è
distinta dalla prima, perché mentre il bello produce direttamente un senso di
esaltamento della vita, e perciò si può unire con le attrattive e con il gioco
dell'immaginazione, il sublime invece è un piacere che ha una origine
indiretta, cioè è prodotto dal senso di una momentanea sospensione, seguita
subito dopo da una piú forte effusione delle forze vitali e perciò, in quanto
emozione, non mostra di essere un gioco, ma qualcosa di serio dell'impiego dell'immaginazione.
Quindi il sublime non si può unire alle attrattive; e poiché l'animo non è
semplicemente attratto dall'oggetto, ma alternativamente attratto e respinto,
il piacere del sublime non è una gioia positiva, ma piuttosto contiene
meraviglia e stima, cioè merita di essere chiamato un piacere negativo.
Ma ecco la piú importante e
intima differenza tra il sublime e il bello: se, come è giusto, prendiamo in
considerazione prima di tutto il sublime degli oggetti naturali (quello
dell'arte è imitato sempre dalla condizione dell'accordo con la natura)
troveremo che la bellezza naturale (per sé stante) include una finalità nella
sua forma, per cui l'oggetto sembra come predisposto per il nostro giudizio e
perciò costituisce essa stessa un oggetto di piacere; mentre ciò che, senza
ragionamento, nella semplice apprensione, produce in noi il sentimento del
sublime, può apparire, riguardo alla forma, come in contrasto con la nostra
immaginazione, inadeguato alla nostra facoltà di esibizione e quasi come violento
contro l'immaginazione stessa; nondimeno però soltanto per essere giudicato
tanto piú sublime, per quanto maggiore è tale violenza.
(I. Kant, La concezione del
bello e dell'arte, Paravia, Torino, 1975, pagg. 54-55)