La ragione condanna la guerra
anche fra gli Stati. La soluzione definitiva del problema, cioè la pace
perpetua, non sta per Kant nella stesura di patti fra gli Stati, ma in una
federazione di Stati con una costituzione repubblicana. Anche in questa lettura
egli esprime la sua distanza dal mito del buon selvaggio.
I. Kant, Per la pace perpetua,
parte II, art. II
I popoli, in quanto Stati,
possono essere giudicati come singoli uomini che si fanno reciprocamente
ingiustizia già solo per il fatto di essere l’uno vicino all’altro nel loro
stato di natura (ossia nell’indipendenza da leggi esterne); e ciascuno di essi
può e deve esigere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile a
quella civile, nella quale a ciascuno sia garantito il suo diritto. Questo
costituirebbe una federazione di popoli, che tuttavia non dovrebbe
essere uno Stato di popoli. Questa sarebbe una contraddizione perché ogni Stato
ha dentro di sé il rapporto di un superiore (il legislatore) con un inferiore
(che obbedisce, il popolo cioè); molti popoli però in uno Stato farebbero
solamente un popolo che (dato che noi qui dobbiamo valutare i reciproci diritti
dei popoli, in quanto devono costituire esattamente Stati differenti, e non
fondersi in uno Stato), contraddice la premessa.
Ora, cosí come noi consideriamo
con profondo disprezzo l’attaccamento dei selvaggi alla loro sfrenata libertà,
che consiste nell’essere continuamente in lotta tra loro invece che sottoporsi
a una costrizione legale stabilita da loro stessi, e a preferire quindi una
libertà folle a una libertà ragionevole, e la giudichiamo come una rozzezza,
una brutalità e una degradazione animalesca dell’umanità, verrebbe spontaneo di
pensare che i popoli civili (ognuno dei quali riunito a sé in uno Stato)
dovrebbero affrettarsi per uscire al piú presto possibile da una condizione
cosí abbietta, al contrario invece ogni Stato ripone la sua maestà
(infatti la maestà popolare è un’espressione senza senso) proprio nel fatto di
non essere soggetto a nessuna costrizione legale, e lo splendore del suo capo
supremo sta nel fatto che, senza che egli si esponga a nessun pericolo, sotto
il suo comando stanno molte migliaia di uomini che sono costretti a sacrificare
la loro vita per una cosa che non li riguarda, e la differenza tra i selvaggi
dell’Europa e quelli americani consiste principalmente in questo: in America
molte tribú sono state interamente divorate dai loro nemici, gli europei invece
sanno utilizzare meglio i loro sconfitti che mangiarli, e preferiscono
accrescere attraverso di loro il numero dei loro sudditi, e quindi anche la
quantità degli strumenti da utilizzare per guerra ancora piú grandi […].
D’altra parte, per gli Stati non
può valere secondo il diritto internazionale proprio ciò che vale secondo il
diritto naturale per gli uomini che sono nello stato della mancanza di leggi,
cioè “il dovere di uscire da questo stato” (poiché essi come Stati hanno già al
loro interno una costituzione legale e quindi sfuggono alla costrizione degli
altri Stati che secondo le loro idee del diritto volessero portarli sotto una
costituzione giuridica allargata); nondimeno la ragione, dall’alto del trono
del supremo potere che dà le leggi morali, condanna assolutamente la guerra
come procedimento giuridico e fa invece dello stato di pace un dovere
immediato, che però senza un patto reciproco tra gli Stati non può essere
fondato o garantito: cosí deve necessariamente esserci una federazione di tipo
particolare, che si può chiamare federazione di pace (foedus
pacificum), che si differenzierebbe dal trattato di pace (pactum
pacis) per il fatto che questo cerca di porre fine semplicemente a una
guerra, quella invece a tutte le guerre per sempre. Questa federazione
non si propone la costruzione di una potenza politica, ma semplicemente la
conservazione e la garanzia della libertà di uno Stato preso a sé e
contemporaneamente degli altri Stati federati, senza che questi si sottomettano
(come gli individui nello stato di natura) a leggi pubbliche e alla costrizione
da esse esercitata. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la
realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere
progressivamente a tutti gli Stati e che conduce cosí alla pace perpetua.
I. Kant, Per la pace perpetua,
Feltrinelli, Milano 1991, pagg. 37-41