A completare il quadro del
processo conoscitivo - dall’intuizione sensibile alla sintesi operata dall’“io
penso” -, per chiarire come i concetti entrano in relazione con i dati
dell’esperienza sensibile, Kant introduce un nuovo elemento: lo “schematismo
trascendentale”. Ad esso Kant dedica una delle pagine piú complesse della Critica della ragion pura e
avverte il lettore: “Questo schematismo del nostro intelletto, rispetto ai
fenomeni e alla loro semplice forma, è un’arte celata nel profondo dell’anima
umana, i cui veri strumenti noi difficilmente strapperemo alla natura per
esporli scopertamente innanzi agli occhi”.
I. Kant, Critica della ragion
pura, Parte II, Analitica trasc., II, cap. I
In ogni
sussunzione di un oggetto sotto un concetto la rappresentazione del primo deve
essere omogenea con quella del secondo: cioè, il concetto deve contenere
ciò che è rappresentato nell’oggetto da assumersi sotto di esso; questo,
infatti, è pure il significato dell’espressione: “un oggetto è contenuto sotto
il suo concetto”. Cosí il concetto empirico di un piatto è uniforme con
quello geometrico puro di un cerchio, in quanto la rotondità che nel
primo è pensata, nel secondo può essere intuita.
Ma i
concetti puri dell’intelletto, a paragone delle intuizioni empiriche (in
generale sensibili), non sono loro affatto omogenei, né possono mai venir
trovati in alcuna intuizione. Nessuno potrà però dire, allora, come sia
possibile l’assunzione delle ultime sotto i primi, e pertanto l’applicazione
della categoria ai fenomeni: questa, per esempio la causalità, potrebbe mai
essere anche intuita mediante i sensi ed essere contenuta nel fenomeno? Questa
questione cosí naturale e importante è poi, propriamente, la causa che rende
necessaria una dottrina trascendentale del giudizio, per mostrare appunto la
possibilità: come concetti puri dell’intelletto possano essere applicati
a fenomeni. [...].
Allora è
chiaro, che ci deve essere un terzo elemento, che deve stare in omogeneità da
un lato con le categorie, dall’altro con il fenomeno, e rende possibile
l’applicazione delle prime al secondo. Questa rappresentazione mediatrice deve
essere pura (senza nulla di empirico), e tuttavia essere da un lato
intellettuale, dall’altro sensibile. Tale rappresentazione è lo schema
trascendentale. [...].
Lo schema è
in se stesso ognora un prodotto dell’immaginazione; ma in quanto la sintesi di
questa non ha in vista alcuna singola intuizione, bensí solo l’unità nella
determinazione della sensibilità, lo schema è pertanto da distinguere
dall’immagine. Cosí, se io metto cinque punti uno dopo l’altro: •••••, questa è
un’immagine del numero cinque. Invece, se io penso soltanto a un numero in
generale, che può essere poi cinque o cento, questo pensiero è piuttosto la
rappresentazione di un metodo, per rappresentare in una immagine una
molteplicità (per esempio, mille) in conformità di un certo concetto, che non
questa immagine stessa, che io in quest’ultimo caso difficilmente potrei
contemplare e comparare al concetto. Ora, questa rappresentazione di un
processo generale dell’esperienza rivolto a procurare a un concetto la sua
immagine, è quella che denomino lo schema per questo concetto.
[...] Il
concetto del cane significa una regola, secondo la quale la mia immaginazione
può designare la figura di un certo animale quadrupede, senza essere limitata
ad alcuna singola particolare figura propostami dall’esperienza o a qualsiasi
possibile immagine, che io possa proporre in concreto. Questo schematismo del
nostro intelletto, rispetto ai fenomeni e alla loro semplice forma, è un’arte
celata nel profondo dell’anima umana, i cui veri strumenti noi difficilmente
strapperemo alla natura per esporli scopertamente innanzi agli occhi.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 239-240)