David Katz (1884-1953), psicologo svedese famoso per le sue
ricerche sulla percezione del colore, in Psicologia
della forma (1949) considera il significato della scuola della Gestalt
sul piano teorico e su quello metodologico. Nel primo capitolo, qui riportato
integralmente, Katz esamina il contrasto fra questa scuola e la psicologia
tradizionale, generalmente definita “atomistica” in quanto riprendeva dalle
scienze naturali il presupposto che il contenuto della percezione fosse il
risultato di una somma di sensazioni singole (ciascuna della quali
costituirebbe un “atomo sensoriale”). Al contrario, per la scuola della Gestalt
“il tutto è piú della somma delle singole parti” e i processi della coscienza
non possono essere ridotti a meccaniche associazioni nel tempo e nello spazio
di elementari sensazioni e immagini. La vita psichica è considerata in modo
dinamico e appare caratterizzata dal processo di organizzazione dei dati in una
struttura di insieme – detta appunto “forma” o “configurazione” – di cui gli
psicologi della Gestalt si propongono di studiare le leggi.
D. Katz, La psicologia della
forma
Secondo Hegel, l’evoluzione della conoscenza scientifica si
svolge nel triplice ritmo di tesi, antitesi e sintesi. Non si può comprendere
lo sviluppo della psicologia della forma (la quale sarà esposta in questo
libro) che come movimento opposto alla cosiddetta psicologia atomistica. Chi sa
se finirà un giorno per formare una sintesi (quale è da aspettarsi secondo Hegel)
con il sistema contro il quale attualmente ancora combatte? I principali
rappresentanti della psicologia della forma probabilmente ritengono impossibile
una tale sintesi. Nessuno però negherebbe che è difficile spiegare la
psicologia che essi rappresentano senza riferirsi alla psicologia atomistica.
Perciò cominceremo prima di tutto coll’esporre nei suoi punti cardinali il
contrasto tra la psicologia della forma e la psicologia tradizionale.
Non si rimprovera alla psicologia tradizionale, ora
condannata a morte, solamente il fatto che fosse atomistica. Per
caratterizzarla, i rappresentanti principali della psicologia della forma la
chiamano anche “associazionistica”, “positivistica”, “sommativa-aggregativa”,
“psicologia a mosaico”, “additiva”, “frammentativa”, “meccanicista” e
“meccanica”, e ciascuno di questi epiteti vuole colpire una debolezza della
psicologia tradizionale. Inoltre si rimprovera alla psicologia tradizionale che
sarebbe estranea alla vita, aspirituale, cieca, e astratta. C’è da domandarsi,
come mai una psicologia scientifica con delle proprietà cosí mostruose abbia
potuto esistere anche solo per un po’ di tempo. Sta di fatto che gli accusatori
hanno indubbiamente esagerato un poco, e ci dànno una caricatura piuttosto che
un corretto ritratto della psicologia tradizionale. Nessuno vorrà negare che
questa avesse i suoi punti deboli; ma, come dice Goethe, ognuno odia, tra tutti
i difetti, anzitutto quelli ch’egli stesso aveva una volta; e cosí pure per i
principali rappresentanti della psicologia della forma deve considerarsi come
attenuante il fatto che anche tutti loro una volta hanno seguito la strada
della psicologia tradizionale prima di trovare la panacca nella nuova forma
della psicologia.
Che cosa significa “psicologia atomistica”? Il modo di
pensare atomistico che deriva dal materialismo greco e che immagina il mondo
come composto da elementi minutissimi, non divisibili e dotati di determinate
forze, questo modo di pensare ha ottenuto magnifici trionfi nelle scienze
naturali, specie nella chimica. Dalle scienze naturali, il punto di vista
atomistico venne trasferito alla fisiologia. L’organismo venne rappresentato
come un aggregato di elementi minutissimi, cioè delle cellule; una volta capita
la funzione della singola cellula, la comprensione della funzione
dell’organismo totale doveva risultare per cosí dire automaticamente, per
addizione. L’elemento base dei movimenti dell'organismo, secondo questa teoria,
è il riflesso. Nell’organismo agiscono insieme sistemi di riflessi, che si possono
separare uno dall’altro, che posseggono struttura costante e presentano
reazioni costanti agli stimoli ambientali. I riflessi funzionano in modo tale
che si eccitano o si inibiscono a vicenda. Quello che realmente succede
nell’organismo è il risultato di queste funzioni individuali raggiunto per
addizione o per sottrazione. Il rappresentante piú radicale di questo modo di
pensare fu Pavlov colla sua riflessologia. La psicologia tradizionale si
incorporò la riflessologia per i suoi fini. Con ciò si è meritata il rimprovero
di essere meccanica; infatti, in un organismo controllato esclusivamente da
riflessi, tutto ha l’aspetto di una macchina, sia pure d’una macchina molto
complessa.
La maggior parte degli studiosi pionieri della psicologia
moderna proveniva dalle scienze naturali. Perciò è facile comprendere come essi
si portassero dietro, insieme col metodo sperimentale, il punto di vista
atomistico. Mentre, però, il metodo sperimentale si affermò nel campo della
psicologia cosí splendidamente che nessuno gli negò mai il diritto di
cittadinanza, contando anche gli psicologi della forma tra i suoi piú fervorosi
avvocati, il punto di vista atomistico – nell’analisi critica – non sembrò
dimostrarsi del tutto confacente alle particolarità specifiche della vita psichica.
Non era soltanto il modo di pensare riflessologico che determinava la posizione
atomistica della psicologia tradizionale. Vi era di piú. L’interesse dei padri
della psicologia sperimentale in un primo tempo si rivolse essenzialmente al
campo delle sensazioni. Infatti, fino al giorno d’oggi, la teoria delle
sensazioni è rimasta uno dei campi limitrofi piú importanti tra la fisiologia e
la psicologia. Ed era precisamente nel campo delle percezioni sensoriali che,
secondo pareva, il modo di pensare atomistico incontrava una piena
giustificazione, mediante l’anatomia degli organi dei sensi, e specialmente
mediante la scoperta dei recettori puntiformi nella cute. I punti sensitivi
della cute: ecco dei fatti solidi; alla loro stimolazione isolata – cosí si
pensava – corrispondono percezioni singole, e cioè “atomi” sensoriali. È vero
che in realtà, maneggiando oggetti dell’ambiente, a differenza della
stimolazione isolata di singoli punti sensibili come si produce in laboratorio,
sono sempre gruppi globali di punti sensitivi della cute che vengono eccitati;
ma questo – cosí si pensava – non è altro che un processo
“sommativo-aggregativo”. L’impressione tattile totale, quale entra nella
coscienza, veniva interpretata come somma delle impressioni individuali puntiformi.
Questa interpretazione si ripercuoteva anche su altri campi sensoriali. Per
esempio: nella retina vi sono vari milioni di coni e un numero ancora maggiore
di bastoncelli. Con una tecnica sperimentale adeguata si riesce a stimolare
(sebbene non uno solo) alcuni di quei milioni di piccoli organi e, per
conseguenza, si percepisce un punto luminoso.
Quando si vede una superficie maggiore vuol dire che molti
di questi punti luminosi si sono sommati. Si tratta di un processo puramente
spaziale additivo. Le impressioni percettive, cosí si pensava, provengono dalla
somma delle eccitazioni degli elementi sensitivi singoli. Al modo di pensare
delle scienze naturali questo processo pare perfettamente chiaro e la
spiegazione della sua genesi sembra completamente soddisfacente. Col metodo
dell'esperimento si riesce a effettuare l’analisi artificiale e la resintesi
del processo naturale delle sensazioni. È ovvia l’analogia con i metodi
dell’analisi e della sintesi delle scienze naturali. Perciò si parlava talvolta
addirittura di “psico-chimica”. Il metodo della “psico-chimica” diviene
particolarmente evidente nell’interpretazione delle percezioni provenienti da
vari sensi differenti. Per esempio: qualcuno mangia un gelato alla vainiglia.
Come interpreta la “psico-chimica” l’impressione gustativa che si produce?
Prima di tutto constata un elemento percettivo proveniente dal senso termico,
cioè un’impressione di freddo. Ad esso si aggiungono l’elemento “dolce”
proveniente dal senso gustativo, l'odore di vainiglia dal senso olfattivo, e
l’elemento “molle” che proviene dal senso tattile. Chi vuole, può completare il
processo ancora col colore giallo fornito dal senso visivo. La psicologia
tradizionale dunque stabilisce la seguente equazione: gelato di vainiglia = “freddo”
+ “dolce” + “odore di vainiglia” + “molle” + “giallo”. Avendo formulato una
tale equazione la psicologia tradizionale crede di avere risolto il suo
còmpito. Trattandosi di una somma non organizzata, si può cominciare o
terminare la formula del gelato alla vainiglia da qualsiasi elemento, senza che
in essa avvengano modificazioni essenziali. Ecco quello che vuol dire la
psicologia della forma, quando taccia la psicologia tradizionale di essere
“sommativa-aggregativa”, “additiva-frammentativa”, e “psicologia dei piú”.
Teoricamente, si possono eliminare dal complesso additivo del “gelato alla
vainiglia” tutti gli elementi uno dopo l’altro. Se cade l’ultimo, nel modo di
pensare positivista, tutta la percezione sparisce.
La psicologia della forma non si accontenta dei risultati
ai quali conduce il modo di pensare della “psico-chimica”. Per la psicologia
della forma, il tutto è piú della somma delle sue singole parti, e non (come
per il positivismo) nient’altro che la somma di queste parti. Del perché di questo
parleremo piú tardi. Qui vogliamo per ora penetrare un po’ di piú nel punto di
vista atomistico.
A lato degli elementi sensoriali della psicologia, disposti
per ordine di tempo e di spazio, ne esistono altri. Ci sono in prima linea le
immagini, che sono interpretate dalla psicologia tradizionale, nel senso
dell’associazionismo inglese, come repliche piú deboli delle percezioni.
Secondo il concetto tradizionale, il processo della coscienza è una
progressione di sensazioni e d’immagini che si associano per contiguità nel
tempo e nello spazio. Questo è quello che si chiama “associazionismo”. Si
pensava, che – in forza del libero giuoco del caso – qualunque immagine può
collegarsi con qualsiasi altra. Si tentava di dare un contenuto piú preciso,
mediante investigazioni sperimentali, al concetto della “meccanica delle
immagini” introdotto in psicologia dallo Herbart. Uno dei piú brillanti
rappresentanti della psicologia sperimentale, G.E. Müller, per esempio, si
prefisse il còmpito di stabilire le leggi di una “meccanica delle immagini”
pura, sperimentando con materiale svuotato al massimo grado di valore
significativo (sillabe senza senso). Però non si può dire che questa meccanica
di elementi senza senso rendesse giustizia alla vitalità del pensiero sensato e
della fantasia. È precisamente questa contraddizione che vuole colpire la
psicologia della forma nella psicologia tradizionale, quando la taccia di
essere “meccanica”.
Le sensazioni e le immagini si associano – cosí si pensava
– nel tempo e nello spazio. La psicologia tradizionale ha risolto anche il
problema spazio-tempo nel senso dell’atomismo. Abbiamo già accennato
all’atomismo spaziale: secondo questa tesi l’impressione di superficie estesa
risulta, per addizione, da minutissimi elementi tattili od ottici. Adesso
parleremo dell’interpretazione atomistica del problema del tempo che è molto
piú importante del problema dello spazio.
In fondo, la psicologia tradizionale riteneva possibile una
specie di microtomia della corrente della coscienza in minute frazioni di tempo
senza deformare perciò la sua struttura. Cosí come si microtomizzano i
preparati anatomici per studiare la struttura di un organo, si credeva di poter
sminuzzare il processo cosciente in frammenti cronologici piccolissimi per
scoprirne la struttura. A questo modo di pensare corrisponde un metodo
preferito dalla psicologia tradizionale, il cosiddetto metodo tachistoscopico.
Consiste questo nel presentare gli stimoli, per esempio quegli ottici, solo
durante un brevissimo lasso di tempo, magari soltanto per una frazione di
secondo, e nello studio delle reazioni che si svolgono in tali circostanze. Si
potrebbe chiamare il metodo tachistoscopico anche “la crono-microscopia della
psicologia”. Fu inventato per sminuzzare, per disgregare, per ridurre. Fu
escogitato per scovare i punti di coesione tra gli “atomi psichici”, cioè tra
le sensazioni e le immagini, e con ciò i frammenti elementari stessi della
coscienza. È vero che pure la psicologia della forma adopera ancora oggi
sovente la tecnica tachistoscopica per la dimostrazione di forze “creatrici di
forme”; ma naturalmente essa si oppone al concetto atomistico del tempo che sta
alla base di questo metodo. Fu proprio il concetto atomistico del tempo che
impedí alla psicologia tradizionale di riconoscere tutta la ricchezza delle
forme psichiche naturali.
D. Katz, La psicologia della
forma, Boringhieri, Torino, 1973, pagg. 17-22