Secondo
Keynes i fenomeni psicologici non sono né prevedibili, né controllabili da una
teoria economica.
J. M.
Keynes, The General Theory of Employment, [La teoria generale
dell’occupazione, 1937], in Collected Writings, vol. IV, London
1972, pag. 115, trad. it. R. W.
Clower, La teoria monetaria, Angeli, Milano, 1972, pag. 193
La psicologia di una società di individui, ciascuno dei quali sta cercando di copiare gli altri, conduce a ciò che potremmo rigorosamente chiamare una valutazione convenzionale [...]. In particolare, essendo basata su cosí inconsistenti fondamenta, essa è soggetta a improvvisi e violenti cambiamenti. La norma della calma e dell’immobilismo, della certezza e della sicurezza, improvvisamente viene meno. Nuovi timori e speranze, senza preavviso, guideranno il comportamento umano. La forza della delusione potrebbe improvvisamente imporre una nuova base di valutazione convenzionale. Tutte queste graziose, gentili tecniche adatte a una camera di consiglio affollata di bravi tecnici e a un mercato appropriatamente regolato, hanno buone probabilità di crollare. In ogni momento, dei lievi timori e delle ugualmente lievi e ingiustificate speranze non sono del tutto acquietate e giacciono solo a poca distanza dalla superficie.
Forse al lettore sembra che queste disquisizioni filosofiche di carattere generale sul comportamento dell’umanità sono in un certo senso lontane dalla teoria economica in discussione. Ma io non lo credo. Sebbene questo sia il nostro modo di comportarci sul mercato. Io accuso la teoria economica classica di essere essa stessa una di queste graziose e gentili tecniche che si dedica allo studio del presente, astraendo dal fatto che sappiamo molto poco del futuro.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. IV, pag. 57